contributi

Ad un Pranzo di festa Lucia è arrivata con i segnaposto per gli invitati. Molto apprezzati tanto da constatare che alcuni sono stati presi per ricordo. Sicuramente anche preziosi in attesa che la pittrice otterrà ln grande successo.

ho incontrato una persona che mi ha abbracciato prima ancora che avessi potuto riconoscerla.

Poi con qualche domanda mi è apparsa chiara la presenza di Valentina una studentessa degli anni dal 1993 al1997, indimenticabile soprattutto per l sua passione per il teatro. Così ci siamo potuti accordare per essere presente ad un suo interessante e ben partecipato lavoro, creato anche per promuovere la presentazione del libro da cui è tratto lo spettacolo.

COMPLIMENTI a Valentina e a tutto il gruppo. Il libro ancora non l’ho aperto ma presto una sua recensione sarà in questo sito alla voce ‘ ultimo libro letto .

Aspetto di essere avvisata per il prossimo evento.

Contributo di Laura

L’aia del Magro

Disegno di Laura del 1965, prezioso ricordo di un luogo dove ho passato tante ore piacevoli. Adesso non solo è completamente trasformato quel piazzale, ma è cambiato tutto quel mondo che c’era attorno.

Rimane vivo nel cuore.

Contributo di Viviana

Viviana incontrata dopo molti anni di silenzio, assieme a suo marito Ivo, mi fa dono di questa bella poesia. In passato ho avuto da lei spesso le poesie di Natale ed ho sempre apprezzato il suo talento, ma questa poesia ha una speciale grazia. La sua visita nella mia nuova casa infatti le ha rinnovato i ricordi di quando abitava proprio in questa strada, poco distante.

Davanti alla villa

   Mulino di Parisio, via Toscana

vie dell’infanzia

e di giorni speciali

marchiati a fuoco.

   Mille-Miglia

era un gioco alzarsi all’alba

poi aggrappata al collo di mio padre

aspettare che il rombo dei motori

nato là, oltre il mistero della curva

tuonasse fino a rimbalzarmi in petto.

   Ruggenti belve

che schizzavano grigie e polverose

tra due selve di folla.

   Ecco la Maserati, la più attesa

ecco un pezzo del cuore di Bologna!

   Ecco Taruffi

e Nuvolari, senza più la coda e lo schienale

rimasti in un tornante d’Appennino.

   Ecco gli eroi!

   Tutti mio padre li riconosceva

aveva respirato insieme a loro

quel profumo di olio e di benzina

nella fabbrica là sul Pontevecchio

e sugli asfalti.

   Io, con lui, annusavo quella polvere

e gioivo, e tremavo

come tremavano i vetri delle case

lì sulla strada, davanti alla Villa.

   Vie Toscana, Parisio

teatro dei miei giochi a nascondino

dietro il canale

tra i sacchi del Mulino.

                           Viviana Santandrea

Contributo di Paolo

Contributo di Paolo, amico di camminate.

I racconti di Paolo del suo viaggio, quasi una cronaca, sono talmente belli, interessanti e coinvolgenti tanto da fare partecipare chi legge alla sua esperienza di bellezza e di scoperta. Vorrei copiare tutti i testi dei resoconti che ha mandato in rete e pubblicare anche le bellissime foto, ma, visto che sono stata autorizzata a farlo, farò una selezione prendendomi così tutto il tempo di scegliere, cercare e rileggere. Avendo avuto negli anni passati l’occasione di sentire racconti a voce di altri suoi viaggi e sapendo che non ci potranno più essere altre possibilità di incontrarci, raccolgo alcuni brani di questo suo viaggio e mi sembrerà di tornare indietro di qualche anno, quando abbiamo condiviso delle camminate. Non potrò dimenticare anche il sostegno delle camminate con le eccezionali torte che Paolo preparava a beneficio di tutta la compagnia.

22 agosto

Le splendide gole del Virgin river mettono fine a ogni elucubrazione. Ce le godiamo avvicinandoci al confine con l’Arizona. Lo si capisce da un casinò isolato, nato lì perché in quello stato il gioco d’azzardo è proibito. Quello in Arizona è soltanto un breve passaggio. Il pullmann punta l’Utah, meta del giorno. E lo fa attraverso quegli spazi vuoti il cui fascino indescrivile mette letteralmente i brividi.

Confine Utah! La nazione mormona ci accoglie con l’ennesima gas station. Un cartello stradale porta un numero all’interno di un segno misterioso. È un’arnia, simbolo dei mormoni che considerano sé stessi come api operose (e un tempo poligame).

Distese infinite di salvia selvatica verde-grigia si estendono adesso a perdita d’occhio. Spuntano alberi e villaggi recintati per difendersi dagli animali del deserto (coyotes e quant’altro).

25 agosto

Due parchi in programma con ancora negli occhi la bellezza di the Arches. Mi domando se saranno all’altezza. All’altezza lo è senz’altro la strada che porta al primo: il Canyonland National Park. Dopo una serie di curve si arriva a un altopiano. Canyonland è immenso. Posto a circa 2000 metri slm, è uno dei più selvaggi. Ne cibo né acqua sono reperibili al suo interno.

È un compendio di tutti i grandi parchi: possiede spaccature vertiginose come quelle visibili al Grand View Point dove il Colorado accoglie le acque del Green River, torrioni, pinnacoli, Balance stones e un arco di pietra il Mesa Arch, che cambia colore a seconda dell’ora, affacciato su di un teatro di pietra indescrivibile. Manca solo di vederci passare sopra Willy coyote in eterna caccia di Roadrunner.

Uscendo da Canyonlands si entra poi nel piccolo, magnifico Dead Horse Point, orgoglio dello stato dell’Utah nonché set della scena finale di Thelma e Louise, che offre lo spettacolo in primo piano delle acque sempre più scarse del Colorado (sempre lui!), che si fanno pigramente strada disegnando una profonda curva dalle altre pareti rosse e dal fondo verdeggiante. Il posto è così bello che ci fermiamo per un lunch fugace.

 30 agosto

La bella strada verso Chinle prosegue con struggenti rettifili interrotti all’orizzonte dal ciglio piatto delle mesas. Di rado una curva a spezzare la noia del drivers finché si arriva a Chinle, porta d’ingresso alla Navajo Nation nonché al Canyon De Chelly. Gli abitanti di qui sono quasi tutti nativi, ma a giro non si vede anima viva. Il paese appare deserto e desolato. Preceduta dai tralicci e dagli isolatori di una centrale elettrica, compare una lunga sequenza di modesti edifici, sparpagliati in una landa polverosa. Inizia la bassa sagoma di un centro dialisi. Fanno poi bella mostra di sé le insegne di un campus scolastico, un Churchs Meal (fast-food) tristemente isolato, i prefabbricati azzurri del Chinle Youth correction Camp ovvero un riformatorio (per giovani Navajos). Il paese appare del tutto destrutturato e diffuso in tante casette di legno. Ad un tratto una chiesa appare sulla destra. Anch’essa in legno e con un annesso ottagonale a guisa di Hogan. Tanto per ribadire il sincretismo religioso che vige in queste zone.

Dopo qualche curva polverosa appare l’Holiday Inn, vera oasi in tanto abbandono. L’hotel è la porta d’accesso al Canyon de Chelly, dove andiamo la mattina successiva.

Questo Canyon ha due caratteristiche salienti.

La prima è che si pronuncia in modo assurdo (desciái), la seconda è che è di una bellezza sensazionale. Io me ne sono innamorato a prima vista. È costituito da due entità, Canyon de Chelly e Canyon de El Muertos. Le sue pareti cambiano durante il giorno da rosso scuro a rosa e arancione. Sono ripide sì, ma allo stesso tempo sinuose, ha guglie sorelle chiamate Spider Rocks e centinaia di altre straordinarie formazioni. Ma soprattutto è un posto vivo. Infatti è abitato da 4800 anni. Dopo i primi cacciatori, vi si insediarono, come a Mesa Verde,gli Anasazi, costruendo Pueblos a strapiombo, le cui rovine mozzafiato sono visibili anche oggi. Quando gli Anasazi sparirono misteriosamente, pian piano giunsero i Navajos che ne occuparono il fondo per coltivarlo. Cosa che fanno tutt’oggi malgrado gli spagnoli prima e Kit Karson dopo abbian fatto di tutto per scacciarli e cancellarli. Quindi questo è anche un luogo della memoria. Così come lo è il museo navajo di Windows Rock, capitale e sede del governo di Navajoland. Un bell’edificio, costruito accanto a una spettacolare roccia cava, che cela tutto il rimpianto per tempi felici e l’orgoglio e la volontà di riappropriarsi del proprio passato per creare un futuro meno amaro di un presente ancora assai problematico.

31 agosto

Fa già caldo quando il panorama inizia a cambiare. La vegetazione scompare come abbrustolita. Basse ondulazioni seguite da rughe sempre più profonde si susseguono e pian piano quella desolazione prende colore. La natura, sapiente imbianchino, accumula strati di sasso di tinte varie e mutevoli, disposti in orizzontale e poi sollevati e mossi in onde d’un lago minerale di cui si riconoscono i componenti. C’è il nero del basalto vulcanico, i toni rossi delle sabbie, il grigio-azzurro dell’argilla e in alto un deposito bianco a sigillare l’arcobaleno geologico. Un mondo a parte che pare lo sfondo di una graphic novel di Alex Raymond ambientata sul pianeta Mongo, dove aspetti di incrociare Flash Gordon. Magari in una foresta pietrificata come quella che “cresce” nel deserto dipinto. Rimane difficile immaginare tronchi di pini giganti di più di 200 milioni di anni, alti in origine quaranta metri, giacere intatti con i particolari della corteccia, le inserzioni dei rami, a volte perfino resti delle radici. Affascina avvicinarsi e distinguere gli anelli d’accrescimento. Soprattutto constatare che tutto quello che vedi è fatto di quarzo colorato. Quello che in gemmologia è chiamato diaspro. Pini di pietre dure…sul deserto dipinto, dietro un cielo turchese.

Contributo di Anna

Dovunque trovo il fiore che una volta chiamavo giaggiolo, conosciuto poi come Iris, trovo motivo di gioia. E così nel giardino di Anna ho fotografato i suoi bellissimi Iris, per poi trovarli dipinti in un quadro che a suo tempo ebbe in regalo dalla nonna.

Iris dal giardino di Anna
Iris del quadro di Anna

Contributo di Lia

La creazione di un pizzo eseguito con i ferri da calza, un giorno, è diventata per me una singolare voglia di realizzare qualcosa di speciale. Ho chiesto aiuto a Lia della quale conoscevo non solo competenza ma anche una decisa capacità di applicazione. La sua collaborazione è stata preziosa e sono riuscita a soddisfare il mio desiderio.

Fra le tante cose impegnative e importanti che ci siamo scambiate, questa potrebbe sembrare avere una importanza di scarso valore, invece, non ha valore solo simbolico, ma è stata una cosa perfetta fra noi due.

Contributo di Pietro

Conosciuto in cammino verso Santiago nel 2003, Pietro ha il merito di aver saputo mantenerci in contatto, di continuare tante riflessioni fatte, di raccontarci le opinioni del momento.  Con il dono della campanella di San Colombano ha dato onore al mio impegno sulla nascita della via di pellegrinaggio ‘La Via degli Abati’.

Un contributo di cui sono grata.

Contributo di Elisa

Elisa mi regala la foto di un ciuchino nato da pochi giorni. Per me riporta il ricordo del ciuco del Magro di San Baronto

in ricordo del Ciuco del Magro

Contributo di Fabiano

Sulla Via Vandelli

Verso Monserrat alle 8 del mattino

riproduzione della Madonna nera di Monserrat

all’ostello di Castellolì.

Contributo di Licia

Il ponte di Avignone

Come sempre Licia manda dai suoi viaggi scatti speciali, viste importanti e foto preziose. Questa volta, oltre al piacere della bella foto, ha creato l’effetto del ricordo di una canzoncina cantata chi a scuola, chi negli scout e nelle scampagnate : Sul le pont de Avignon on y dance, on y dance, tous en rond .

Contributo di Pally: croissant da artista

Contributo di Rossana: Atlanta e Ippomene

Contributo di Rossana, l’amica con la quale andare alle mostre, camminare, e insieme riflettere era, oltre ad un piacere, un privilegio .

Dipinto di Guido Reni, proveniente dal Museo di Capodimonte a Napoli in mostra a villa borghese a Roma, racconta un episodio tratto dalle metamorfosi di Ovidio.

Contributo di Fabio: La birra

La Birra è un liquor vinoso conosciuto da molti secoli, che si prepara coi semi cereali e segnatamente coll’orzo. Secondo i metodi e le diligenze particolari che si mettono in pratica in alcune Fabbriche, si hanno quelle diverse qualità di birra che differiscono, più o meno fra di loro nel sapore, nella gradazione di colore, nella proprietà di spumeggiare ec..

Essa però si ottiene in generale

1° con tener l’rzo immerso nell’acqua per lo spazio di 24 alle 48 ore.

2° Con l’ammucchiarlo di poi in modo, da farlo germogliare, onde si aumenti nel medesimo la quantità di materia zuccherata (1)

3° Con disseccarlo prontamente in una stufa riscaldata a circa 60 gradi, ventiquattro o trenta ore dopo che il suo germogliamento è principiato.

4° Con macinare grossamente l’orzo così germogliato, seccato ed anche separato dalle così dette barbe, o germi, che ha il nome di malt.

5° Con farne una infusione nell’acqua bollente.

6° Con concentrare a dovere in caldaia di rame una tal infusione, aggiungendovi dei luppoli, i quali con la loro amarezza servono a dare alla birra un sapore particolare e diminuiscono nella medesima la proprietà di passare alla fermentazione acetosa.

7° Con far raffreddare prontamente l’infusione così concentrata, che è chiamata mosto di birra e con farla fermentare prima in un gran tino, e quindi nelle botti, dopo averci aggiunto una bastevol quantità di lievito di birra, sotto il qual nome si conosce quella materia schiumosa che si forma nella fermentazione della medesima.

Contributo di Bruno: casa della pietra angolare

Dell’anno 2019 un bassorilievo creato con cartone cuoio, incollato a strati e dipinto con cementite sintetica, su un telaio di legno compensato è l’opera che porta questo titolo dell’amico Bruno De Angelis, un artista sempre al lavoro per necessità di esprimersi

Contributo di Giuliano: il cammino di Gandhi

Vi giunsi di mattina Avevo deciso di alloggiare da un panda ( prete ). Appena sceso dal treno fui circondato da numerosi bramini, ne scelsi uno che mi parve più pulito e più raccomandabile degli altri e non mi sbagliai. Nel cortile della su casa teneva una mucca, io fui alloggiato ad un primo piano; non volevo prendere cibo prima di essermi lavato nel Gange come era prescritto e il panda fece i necessari preparativi. Gli avevo detto che non potevo assolutamente dargli più di una rupia e 4 anne a titolo di dakshina, e che ne tenesse conto. Replicò subito: “Che il pellegrino sia ricco o povero “mi disse “il servizio non cambia”. L’entità della dakshina che ci viene donata varia secondo il buon cuore e l’abilità del pellegrino.” Non mi pare che tralasciasse niente di quello che c’era da fare.

Dalla autobiografia di Gandhi    La mia vita per la libertà     Parte III capitolo 20

Contributo di Nella: Ricordo dell’aia

Non potendo più sedermi appoggiata alla bica o al pagliaio nell’aia del Magro ho chiesto alla Nella se me ne disegnava uno.

Altro contributo di Nella. Uno dei suoi collage

Contributo di Vera

Le Carline

La carlina è una pianta selvatica che cresce aderente al terreno con lunghe foglie spinose disposte a rosetta.

Al centro si forma il frutto: un capolino del diametro di circa 8 cm., anch’esso disposto raso terra e completamente avvolto da foglioline appuntite.

Il capolino è commestibile, tipo il carciofo, e può essere mangiato sia crudo che cotto.

La superficie del capolino è densamente pelosa e quando la pianta sfiorisce il capolino si trasforma in una specie di spazzola rotonda ricoperta da migliaia e migliaia di sottilissimi filamenti della lunghezza inferiore al centimetro.

La carlina viene anche usata come pianta ornamentale nelle composizioni di fiori secchi. Le sue radici hanno proprietà curative.

Cresce in montagna in zone sassose e aride. La carlina è anche chiamata “pan de l’alpin”, “cardo San Pellegrino”, “pane del cacciatore”. 

Le montagne dell’Alto Casentino erano attraversate dall’antica Via Romea di Stade che era percorsa da viandanti e pellegrini che dal nord d’Europa si recavano a Roma. 

E ad ogni nuova primavera la carlina si faceva trovare lì, pronta per offrire ai camminanti il suo frutto prelibato.

Anche oggi il capolino di questo cardo è molto apprezzato dai nuovi pellegrini che percorrono i boschi e terreni aridi del Casentino per riscoprire l’antico percorso della Via Romea descritto settecento anni fa dal monaco Alberto di Stade.

Il nome generico di carlina sembra derivi da Carlo Magno che attribuì alla pianta il potere di curare la pestilenza. Gli antichi Sassoni consideravano la carlina un amuleto contro il malocchio e contro ogni malattia.

Nei piccoli paesi rurali del Casentino era costume lasciare sempre aperte le porte delle case in modo che ogni membro della comunità, senza bussare o chiedere permesso, in qualunque ora del giorno poteva far visita a questa o quella famiglia.

Non dappertutto, ma in alcuni di quei paesi, c’era la credenza e il timore che dalla porta sempre aperta potessero entrare le streghe, portatrici di eventi malefici. Ma il rimedio a questa eventualità c’era, ed era proprio la carlina: una bella carlina più grande possibile, inchiodata sulla porta, salvaguardava la casa dall’’evento tanto temuto che una strega potesse entrare e portare disgrazie.

Ancora oggi si possono trovare presenze delle antiche tradizioni. Ecco una Carlina appesa in un casa in località ‘Casenuove’

Si credeva infatti che le streghe per potersi introdurre in una casa dovessero prima contare ad uno ad uno, senza interruzioni, tutti i filamenti della carlina. E siccome per distrazione o per il sopraggiungere del sonno non era possibile portare a termine la conta tutta di seguito, il pericolo che le streghe entrassero in casa veniva così scongiurato.

Come sempre succede, fra le tante persone che avevano paura delle streghe, non mancava qualcuno che a queste storie non ci credesse e tuttavia, per rassicurare i compaesani che frequentavano la sua casa, finiva anch’esso per inchiodare sulla propria porta, una bella carlina.

Pertanto, ogni porta del paese, stalle comprese, non veniva mai lasciata sguarnita della sua carlina antisventure.

 E fu così che le case del Casentino rimasero sempre aperte per gli amici e per i pellegrini.

Si racconta intorno alla vita di San Pellegrino che si cibasse di quei cardi spinosi che i montanari della Garfagnana chiamano ‘prunache ‘ ed i botanici ‘ carline ‘.

Mirola Poggi Calzolari – Da: “ll parco naturale dell’Orecchietta in Garfagnana” ed.  Manfrini

Una grande emozione progettare questo manifesto

In ideale per quasi tutta la vita

Contributo di una alunna: il saluto yoga alla Luna

Quando alcuni elementi yoga sono entrati nel mio programma di insegnamento.

Un gradito contributo di una alunna

Contributo di Luciano

Il mio primo incontro con un pellegrino

Contributo di Sandro: i suoi auguri

La mano di un grande artista si rivela sempre