Il cammino alla ricerca di Simurgh

Il cammino alla ricerca di Simurgh

Vennero un giorno a Parlamento tutti gli uccelli della terra, i noti e gli ignoti. “Non esiste luogo al mondo” dissero “che non abbia un re: perché mai nel nostro paese non regna un sovrano? Una simile situazione è ormai inaccettabile. Dobbiamo unirci in fraterno sodalizio e partire alla ricerca di un re, essendo ormai chiaro che l’ordine e l’armonia non regnano fra sudditi privi di sovrano.”

Fu allora che l’upupa, eccitata e trepidante, balzò al centro dell’assemblea. Sul petto portava i simboli di chi conosce la via, sul capo la corona della verità.

L’upupa parlò agli uccelli:

Noi abbiamo un re senza rivali che vive oltre la montagna di Qàf. Il suo nome è Simurgh, ed è il sovrano di tutti gli uccelli. Egli ci è vicino ma noi siamo a distanza infinita da lui.

…ora chi di voi è pronto al viaggio rivolga i suoi occhi alla via e s’incammini.

Ma chi è l’Upupa? Da dove viene il suo prestigio? Dal Corano sappiamo che l’Upupa è stato l’uccello di cui servì Salomone per invitare la regina del regno di Saba ab abbracciare la sua fede. Rimane ancor oggi come simbolo perenne di acutezza intellettuale e il suo ciuffo inconfondibile è simbolo di importanza fra gli uccelli e per questo cingesti un’aurea corona di gloria

Gli uccelli erano sembrati coinvolti dall’invito ma, al momento della partenza, furono presi da timori e cominciarono a trovare delle scuse e dei pretesti.  L’Upupa allora parlò con ognuno:

all’ Usignolo disse che per la sua conoscenza dei segreti dell’amore non avrebbe dovuto perdersi in situazioni vane, al Pappagallo di non usare il suo verde manto dal collare dorato come una buccia, al Pavone con quel manto dorato che lo attirò al morso del serpente, di non farsi ingannare e di tendere al tutto, alla Pernice dall’elegante incedere instancabile nella ricerca di pietre preziose di uscire da quell’ombra che offusca tutti i sovrani, al Falcone di ritirarsi dall’ombra sotto la quale si sono nascosti tanti sovrani, e al Falco di liberarsi dal cappuccio che gli faceva ignorare la gente del mondo.

A ognuno ricordò il proprio valore e come sostegno alla decisione di partecipare al viaggio raccontò storie che mostravano le tipiche debolezze di ogni specie. Avendo udito questi racconti tutti gli uccelli si dichiararono pronti a sacrificare persino la vita.

Allora l’upupa continuò il suo compito e presentò le sette valli da attraversare per raggiungere la meta.                                  Lungo la via troverai sette valli e, oltre l’ultima, sorge la corte.

Come in ogni vero cammino la meta non viene raggiunta con la fine del viaggio ma essa risiede in ogni fase del cammino e si realizza conquistando passo dopo passo (valle dopo valle) il livello degno del risultato. Queste sette valli presentate dall’Upupa sono chiamate col nome significante della prova e dell’impegno necessario a chi le deve attraversare.

All’inizio troverai la valle della RICERCA, cui segue immediatamente la valle dell’AMORE. La terza è la valle della CONOSCENZA e la quarta è la valle del DISTACCO. La quinta è la valle della pura UNIFICAZIONE e la sesta è la valle dello STUPORE. Settima ed estrema è la valle della PRIVAZIONE e dell’ANNIENTAMENTO, oltre la quale non è lecito andare.

Nell’indicare l’annientamento come ultimo stadio si svela in cosa consiste questo cammino. Quindi il viaggio è una  tale esperienza mistica, dove all’inizio il pellegrino cerca, poi vuole amare, quindi trova quella conoscenza che lo renderà capace di lasciare il tutto per raggiungere l’unicità. Con meraviglia e sorpresa accetterà alla fine la totale privazione per arrivare all’annientamento. Annientarsi rappresenta come meta il riconoscere se stesso nella propria sostanza divina.

A questo punto del racconto l’Upupa scompare e si presenta al suo posto Farid al-din che è l’autore del libro affinché il messaggio sia ben compreso e così conclude

Non appena l’anima si mostrerà ai tuoi occhi come via inesplorata, inizia senza esitare il tuo cammino e abbandona sulla via la tua vita e innamorati perdutamente, se veramente aspiri a raggiungere questa remotissima stazione.

E allora veniamo a sapere che tutti gli uccelli del mondo sono stati chiamati alla ricerca del loro re nel favoloso uccello Simurgh ma che solo trenta su centomila riuscirono ad arrivare a lui.

E poiché il nome Simurgh, significa in persiano “trenta uccelli” riconosciamo che il cammino, la loro esperienza mistica e il loro annullamento consiste nel trovarsi di fronte ad uno specchio, di fronte a loro stessi.

Dal lontano dodicesimo secolo il poeta Farid ad-Din ‘Attar presenta con questa storia il simbolo di un cammino che porta alla conoscenza di sé stessi.

La funzione simbolica dello specchio già presente nella Bibbia è stato un esempio usato da molti filosofi mentre viene ritenuta come intuizione degli psicologi del nostro tempo.

Come scrittore Farid ad-Din ‘Attar si presenta sublime sia per lo stile che per i contenuti e, mentre della sua vita sia hanno scarse notizie, le sue opere sono tenute in grande considerazione dagli studiosi e dagli appassionati di temi religiosi; al tempo stesso rimane un testimone importante della letteratura persiana. Citazioni di rilievo si riscontrano in Musil e in Borghes.

Manṭiq al-ṭayr, è il nome della sua opera più conosciuta, un poema di 4500 versi scritto in persiano che viene tradotta come Il verbo degli uccelli’. È un grande classico della letteratura sufi e porta un messaggio universale di apertura al trascendente, un racconto affascinante e addirittura disarmante per tutta la simbologia e le citazioni di testi riportate.

L’allegoria nella quale i protagonisti pellegrini sono gli uccelli è stata di ispirazione anche in racconti per bambini. Queste similitudini e simboli si possono riconoscere in tutti quei pellegrinaggi che sono volti alla propria evoluzione e alla ricerca. Per sostenere gli uccelli in questa impresa l’autore si affida a racconti e storie del Corano, a leggende rabbiniche ed alla tradizione biblica, sono la parte del libro più importante e consistente tale da renderlo non solo un poema narrativo ma quasi un libro sapienziale.

Nell’epilogo il poeta esorta i lettori a rileggere più volte i suoi versi

perché i figli dell’illusione sono naufragati nella musica dei miei versi, ma i figli della realtà hanno penetrato i mei segreti.

 

Le parti qui riportate sono tratte dal libro a cura di Carlo Saccone.