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Un pellegrino del 1500: Ulisse Aldrovandi

Ulisse Aldrovandi nella storia del rinascimento è un personaggio importante e unico per il suo contributo alla cultura. Nasce a Bologna nel 1522 in un periodo di grande inquietudine e cambiamento culturale e ne viene subito influenzato il suo carattere. A soli 12 anni quasi fuggendo dalla madre si reca a Roma proprio per soddisfare la sua esigenza di curiosità. Torna a Bologna ma continua a prendere contatti anche in altre città sempre preso per la ricerca di qualcosa. E così nel 1534 si trova di nuovo a Roma dove incontra un pellegrino in cammino verso Santiago di Compostela. Attraversa la Spagna secondo alcune tappe che oggi possiamo riconosce e arriva fino a Finis Terrae. La sua è una esperienza completa dove incontra il bello e il brutto di ogni pellegrinaggio, le fatiche, il fascino di cose nuove, aggressioni ed esaltazioni ed al suo ritorno a Roma è pronto e intenzionato a proseguire per Gerusalemme .

                                                                                           

Granon

Granon 21 luglio 2002. Alle due del pomeriggio si sale verso il piccolo paese di Granon. Laura ed io avevamo voluto prolungare la tappa e non fermarci a Santo Domingo della Calzada, confidando di trovare all’accoglienza meno pellegrini. Piuttosto provate del caldo e dalla mancanza di ombra chiediamo a due donne che stavano passando indicazioni dell’albergue e loro ci dicono anche ‘que valentes’. Vediamo una fontana di nuova costruzione con i simboli del cammino, conchiglia e freccia gialla, ma senza acqua. A sinistra c’è una chiesa e finalmente l’albergue. Entriamo e ci troviamo davanti ad una scala che porta in cima al campanile e che dopo due piccole rampe da accesso a destra a un salone con la scritta Sala Parrocchiale. Vediamo materassini a terra già preparati in vari angoli ed una pila ancora disponibili. Posiamo gli zaini quando ci viene incontro Diana, la pellegrina conosciuta a Roncisvalle che ci spiega la situazione di quella accoglienza. Possiamo prendere posto in quella stanza ma dovevamo fare in fretta perché al piano di sopra tutti i pellegrini si stavano riunendo ad una tavola preparata da volontari. Intanto entra il parroco che non ci dice niente anzi si comporta come se noi fossimo lì da sempre. Saliamo nel salone di sopra mentre i ragazzi di Frosinone con i quali avevamo familiarizzato a Najera, scendono e sembra che vadano a mangiare per conto loro. La sala è una bella struttura di recente ristrutturazione ma con un buon rispetto delle parti originali, di buon gusto e di doverosa sobrietà. Adiacente una piccola cucina ben attrezzata, bagni, docce e la lavanderia proprio nel campanile dove Laura più tardi ha lavato e quasi fra le campane. Un grande soppalco con ancora materassi è il vero dormitorio quando non c’è l’affollamento. Abbiamo visto aggiunger dei tavoli, contato nuovamente mentre Raimondo e Giacomo, i ragazzi di Frosinone, sono tornati.  I volontari hanno messo in tavola il pane io ho subito ne ho preso un pezzo ma in un lampo è arrivato un uomo grosso e grande, con una bandana in testa: prima la preghiera! non so in che lingua lo abbia detto, ma io ho capito benissimo. Lui sembrava uno scoppiato ma io intanto avevo fatto una brutta figura. Abbiamo mangiato un pasto abbondante e sobrio assieme al parroco e ai volontari che non si distinguevano dai pellegrini. Il clima di dialogo era tranquillo sempre meno imbarazzato. I ragazzi di Frosinone sembravano stupiti. All’inizio del salone avevamo visto un tavolo dove c’era il sello (timbro) che ognuno poteva mettere da solo sulla propria credenziale e una sestina dove poter mettere la propria offerta, un donativo, o prendere del denaro nel caso di bisogno. Dopo pranzo non hanno voluto aiuto per riordinare la cucina e siamo andati a riposare. Nel pomeriggio durante un giretto nel paese abbiamo visto arrivare Gregoir, e noi, con lo stesso entusiasmo di Diana lo abbiamo informato delle abitudini del posto. Lui sempre molto attento ha ascoltato Laura che gli parla in francese. Mentre Gregoir prepara il suo materassino un volontario si informa se tutti possiamo mangiare carne. La coppia olandese no. Lenticchie saranno il piatto di fondo. Diana intanto ha comprato dei pasticcini e noi chiediamo come poter contribuire alla cena ma poi decidiamo di lasciare un buon donativo. nel pomeriggio mentre parlavo (si fa per dire la stanchezza non aiuta lui l’uso delle lingue straniere) con la coppia olandese mi sono sentita osservata da un pellegrino che stava in disparte. A tavola poi mi ha detto che aveva piacere di parlare con italiana perché era stato a Bologna a fare un corso. Allora gli ho raccontato la storia del piatto di lenticchie che lui non conosceva. La conosceva molto bene Carina, una francesina delizia delle delizie e carina di nome di fatto, che era seduta vicino a me che ha raccontato in modo comprensibile tante belle cose. Ha intenzione di arrivare fino a Finisterre dove fare la cerimonia del nuovo battesimo bruciando i vestiti con i quali arriverà e indossando qualcosa di bianco. Tutti: anch’io anch’io! Non proprio tutti, solo quelli che hanno sentito perché la tavola a cena era lunga il doppio. Diana mi dice che al posto vicino al parroco c’è uno che se sembra ubriaco. Io dico che anche lui ha fa il suo tipo di cammino e l’austriaco, quello che ha studiato a Bologna, comincia a ridere proprio divertito e traduce tutto al suo vicino che, scoprirò poi, è suo fratello e così ridono di nuovo. A fine cena il parroco invita chi vuole in chiesa per una piccola orazione, ma prima tutti danno un aiuto per sistemare la cucina e preparare la colazione del mattino dopo. Io vedo una scopa e spazzo il salone con molta cura per riscattare la figuraccia a pranzo. C’è una chitarra qualcuno fa partire qualche accordo.  Spero di vedere Gregoir prendere il suo flauto, ma è il più giovane di tutta la compagnia e di fronte a tutto ciò sicuramente si sente ancora più piccolo, ed io, questa volta, non gli chiedo di suonare.  La riunione in chiesa si fa nel coro al quale si accede dal dormitorio.  Ci sediamo in circolo e uno alla volta diciamo da dove veniamo e dove desideriamo andare, poi viene detta una preghiera in spagnolo che tu ti capiscono per la dolcezza del suono.

 Nel frattempo, sono arrivati altri pellegrini probabilmente ciclisti perché i ciclisti sono quelli che si possono permettere il lusso di arrivare anche tardi. Loro dormiranno nel coro. Il parroco salutandoci dice che in via eccezionale chiuderà la porta dell’alberque perché in giro ha visto molto movimento e vuole farci sentire al sicuro, ma precisa che generalmente la porta rimane aperta. Una volta i pellegrini li ospitava a casa sua ma non avendo posto sufficiente per le richieste deve aver trovato il modo di trovare i finanziamenti per attrezzare così la parrocchia. Prima di dormire Diana si fa fare un massaggio al ginocchio da quello della bandana. Mi pare di aver capito che sia un pellegrino californiano, trattenuto lì dal parroco a lavorare per creare un nuovo albergo a 20 km più avanti. mi piacerebbe descriverlo meglio perché la sua figura mi è rimasta fortemente impressa ma al tempo stesso gli elementi che ho sono confusi e non voglio rischiare una errata interpretazione. Di notte, non lo renderemo noto, a russare sono solo i ragazzi di Frosinone. Al mattino dopo Laura ed io ci alziamo prima delle sei e cerchiamo di uscire senza far rumore, ma una volontaria ci raggiunge sulle scale e ci vuole abbracciare. Le chiedo il nome del parroco perché in quel momento avrei voluto fare per lui e per la comunità tante cose e invece mi sono già dimenticata il nome.

In tutte le tappe del nostro pellegrinaggio a Santiago di Compostela la sera prima di andare a dormire seguivamo un prezioso consiglio avuto prima di partire, e andavamo a cercare il punto da dove riprendere il cammino. Anche a Granon lo avevamo fatto. Era ancora buio e come abbiamo constatato in Spagna tutti si alzano tardi, ma, poco prima di uscire dal paese nel silenzio totale sentiamo un: pss pss. Un uomo da una finestra ci ha avvisate che stavamo sbagliando strada. Poco più avanti abbiamo sbagliato di nuovo, ma ci ha avvisato la coppia olandese che da allora non abbiamo più visto. Loro erano dei buoni camminatori mentre io, in particolar modo, avevo un andamento da pellegrina.

VINCENT van GOGH predicatore

Ti ho mai parlato del quadro di Boughton, ‘Il progresso del pellegrino’? Cala la sera. Un sentiero sabbioso conduce per le colline fino a un monte in cima al quale sorge la Città Santa, illuminata dal sole rosso che tramonta dietro le grigie nuvole della sera. Sul sentiero sta un pellegrino che vuole salire alla Città, ma è già stanco e chiede a una donna in nero il cui nome è ‘Triste, ma sempre esultante’:

La strada sale sempre?
Sì, fino alla fine.
Il viaggio dura l’intera giornata?
Dal mattino alla sera, amico mio.
Il sentiero serpeggia attraverso un paesaggio bellissimo – la landa bruna, disseminata qua e là da pini e betulle con chiazze di sabbia gialla, e la montagna in lontananza, contro il sole. Più che di un quadro si tratta di un’ispirazione.

Nel 1959 la casa editrice Silvana Editoriale d’arte ha pubblicato tutte le lettere del pittore Vincent van Gogh al fratello Theo.

In questo estratto della lettera scritta da Isleworth, il 26 agosto 1876 (lettera 74) il

pittore olandese parla non di un suo quadro ma di un’opera di George Henry Boughton del 1874, che oggi si trovare ad Amsterdam al museo Van Gogh.

Il tema di questa lettera Vincent van Gogh lo aveva già espresso e in modo molto più ampio in un sermone.

Il padre del pittore, Theodorus van Gogh, era un pastore della Chiesa Riformata Olandese e sicuramente influì sul suo spirito religioso. Così lo troviamo a 23 anni in Inghilterra, a Ramsgate, con un incarico di insegnante in un piccolo collegio dove pronuncia la sua prima predica. Il sermone invitava a meditare sulla vita da intendere come se fosse un pellegrinaggio.

E si riferiva al Salmo 119  dell’Antico Testamento della Bibbia nel versetto che dice: Sono uno straniero sulla terra, non mi nascondere i Tuoi comandamenti”.

Il sermone diceva:

La nostra vita è il cammino di un pellegrino. Una volta ho visto un bellissimo quadro: era un paesaggio alla sera. In distanza sul lato destro una fila di colline appariva azzurra nella leggera nebbia della sera. Su quelle colline lo splendore del tramonto, le nuvole grigie con i loro orli d’argento, d’oro e di porpora. Il paesaggio è una pianura o una landa coperte di erba e di foglie gialle perché era autunno, Attraverso il paesaggio una strada porta a un’alta montagna lontana, lontana, molto lontana, sulla cima di quella montagna è una città su cui il sole tramonta glorioso. Sulla strada cammina un pellegrino, qualcosa in mano. Ha camminato per lungo tempo ed è molto stanco. E ora incontra una donna, o una figura in nero, che fa pensare alla parola di San Paolo “ Come essere colmi di pena eppure gioire sempre”. Quell’Angelo di Dio è stato messo là per incoraggiare i pellegrini e rispondere alle loro domande e il pellegrino le chiede:

La strada sale sempre?
Sì, fino alla fine.
Il viaggio dura l’intera giornata?
Dal mattino alla sera, amico mio.
E il pellegrino va avanti colmo di pena, eppure sempre gioendo pieno di pena perché è così lontano e la strada così lunga. Pieno di speranza mentre guarda su verso la città eterna, lontana e risplendente nella luce della sera e pensa a due antichi detti che ha sentito tanto tempo fa. Uno è: Molta lotta deve essere combattuta – Molta sofferenza deve essere sofferta- Molte preghiere devono essere pregate- E allora la fine sarà pace.

L’altro dice: L’acqua arriva alle labbra – ma non arriva più in alto.

Ed egli dice: Sarò sempre più stanco ma anche sempre più vicino a te. L’uomo non deve lottare sulla terra? Ma c’è una consolazione da Dio in questa vita. Un Angelo di Dio che conforta l’uomo- che è l’Angelo della Carità. Non dimentichiamolo. E quando ognuno di noi torna alle cose quotidiane e ai doveri quotidiani non dimentichiamo mai che le cose non sono quelle che sembrano, che Dio ci insegna cose più alte attraverso le cose della vita quotidiana, che la nostra vita è un cammino di un pellegrino, e che noi siamo stranieri sulla terra, ma che noi abbiamo un Dio e un padre che proteggi gli stranieri, – e che siamo tutti fratelli.

Amen

pondo che per il pellegrinaggio va benissimo e andiamo alla cassa. Prima di pagare il commesso chiede di nuovo, torna e ci dice: tre euro! Non era il solito angelo per i pellegrini vestito da commesso, diciamo un regalo di simpatia. Evviva!

su Pilgrims Way di ABDULRAZAK GURNAH

Pilgrims Way è un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1988  nel Regno Unito.  È il secondo romanzo di Gurnah.

Il protagonista di Pilgrims Way è Daud, un immigrato in Inghilterra dalla Tanzania che lavora come inserviente a Canterbury negli anni ’70.  Daud subisce abusi razzisti da parte di componenti di un movimento neonazista( skinhead) e altri e di conseguenza inizia a sentirsi spaventato e abbattuto.  Daud prende il nome dalla figura biblica di David.  Daud si innamora di Catherine Mason, un’infermiera. Gli altri amici di Daud sono Lloyd, un uomo bianco con tendenze razziste, e Karta, che è un nazionalista nero panafricano.  Come negli altri romanzi Gurnah si occupa dei sentimenti generati dall’esilio e dalla migrazione. La critica  Maria Jesus Cabarcos Traseira definisce il libro una ‘pastorale in cui Daud si trasforma attraverso momenti di armonia con la natura.

“Pilgrim’s Way dimostra la notevole moderazione di Gurnah nel presentare le storie dei suoi personaggi. È un maestro di quel vecchio consiglio di scrittura: “Mostra, non dire”. Gurnah mostra le complesse vite e i sentimenti dei suoi personaggi senza dire al lettore cosa provare o pensare. Ciò evoca empatia mentre consente ai lettori di sperimentare, per quanto indirettamente, i conflitti e le ambiguità che gli immigrati attraversano nelle loro vite conflittuali.” 

Vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2021.

 Una straordinaria rappresentazione della vita di un immigrato, mentre lotta per venire a patti con l’orrore del suo passato e il significato del suo pellegrinaggio in Inghilterra

 Cara Catherine, ha esordito. Qui mi siedo, preparando un pasto invitandoti a cena. Non so davvero come farlo. Per avere integrità culturale, dovrei mandare mia zia a parlare, discretamente, con tua zia, che poi parlerebbe con tua madre, che parlerebbe con mia madre, che parlerebbe con mio padre, che parlerebbe con me e poi avvicinati a tua madre, che allora si avvicinerebbe a te.
Demoralizzato dalle piccole persecuzioni e dallo squallore e dalla povertà della sua vita, Daud si rifugia nella sua immaginazione. Compone lettere ironiche e sardoniche che incitano amici e nemici e inventa un lugubre passato coloniale per ogni vecchio che incontra. Il suo più grande conforto è il cricket e la sconfitta simbolica dell’impero per mano delle potenti Indie Occidentali.
Sebbene soggetto ad attacchi di amarezza e rimorso, il suo accattivante senso dell’umorismo non lo abbandona mai mentre lotta per venire a patti con l’orrore del suo passato e il significato del suo pellegrinaggio in Inghilterra.

Il libro non è tradotto in italiano.

Visto che altri suoi libri sono tradotti e molto apprezzati, rimaniamo in attesa di una prossima pubblicazione in italiano.

I VAGABONDI DI OLGA TOKARCCZUK

 Libro della poetessa polacca OLGA TOKARCZUK   Premio ‘Nobel’ del 2018.Motivazione della assegnazione del premio

 per la sua immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita.

I confini che tratta questa scrittrice nei suoi racconti sono infiniti, tutti importanti come i confini fisici e geografici, quelli del genere ed identità individuale, fra la natura e l’umano, tra la realtà tangibile e il mito, tra l’ oriente e l’occidente, tra  i polacchi e i tedeschi.

I vagabondi, non è proprio un romanzo, piuttosto un testo ‘a costellazione, da lei così definito, senza un centro. Libro che permette di evocare esperienze personali di chi legge. Sotto questo titolo sono diversi i soggetti che possono rispondere a questo nome, che siano turisti o pellegrini o viaggiatori, i vagabondi sono quelle persone disposte a cambiare o verificare le opinioni già stabilite. Il loro racconto è come una liberazione.

Esiste una sindrome molto nota chiamata con il nome di Stendhal, per la quale si arriva in un posto che si è conosciuto attraverso la letteratura o l’arte e lo si vive in modo così intenso da sentirsi mancare fino a perdere i sensi. Ci sono alcuni che si vantano di aver scoperto un luogo fino ad allora sconosciuto e così li invidiamo per aver sperimentato, anche solo per un attimo, la realtà più vera, prima che questo posto, come tutto il resto, venisse assorbito dalle nostre menti. (da I VAGABONDI)

Si può essere vagabondi in molti modi, la radice è vagare, ma nella accezione comune si dice essere vagabondo colui che non ha voglia di far niente. Certamente questa non è l’accezione che mostra questa scrittrice.

A spiegazione della stessa autrice il libro non è un romanzo ed è privo di un centro, invece si potrebbe definire come un insieme di tante trame che si intrecciano come se fossero fili allo scopo di raccontare un eterno movimento.

I Vagabondi di Olga Tokarczuk sono tanti protagonisti che si muovono, si spostano, viaggiano per le più diverse mete, per i più straordinari scopi rispondendo a richiami ancestrali o culturali o semplicemente al bisogno di essere in movimento, tanto da poter alla fine asserire che ’il cambiamento è sempre più nobile della stabilità’.

Cosa dire delle radici?

Questa vita non faceva per me. Evidentemente mi mancava quel gene che fa sì che quando ti trattieni a lungo in un certo posto ci metti le radici. Ci ho provato molte volte ma le mie radici erano sempre troppo corte e bastava un soffio di vento per farmi ribaltare. Non riuscivo a germogliare ero sprovvista di quella dote vegetale. Non assorbo nutrimento dalla terra, sono al contrario di Anteo. Traggo energia dal movimento…

 Essere dentro o fuori del tempo?

Volo da Irkutsk a Mosca. Si decolla da Irkutsk alle otto del mattino e si atterra a Mosca alla stessa ora – otto del mattino dello stesso giorno. Questo è il momento esatto in cui sorge il sole, quindi, si vola per tutto il tempo all’alba. Si rimane in questo singolo istante, grande. tranquillo, espanso come la Siberia. Dovrebbe essere il momento per la confessione di un’intera vita. Il tempo scorre all’interno dell’aereo, ma non fuoriesce all’esterno.

Il libro si compone di tanti capitoli, alcuni dei quali anche di poche righe, molti argomenti rispondono a curiosità e tutti rendono il libro veramente speciale.

Uno di questi, dal titolo ‘L’aspetto del pellegrino ’.

Un vecchio conoscente mi disse che non amava viaggiare da solo. Quando vedeva qualcosa di insolito, di nuovo, di bello aveva così tanta voglia di condividere le sue impressioni che si rattristava se non aveva nessuno con cui farlo. Secondo me non era adatto a fare il pellegrino.’

Sul mio primo cammino di Santiago