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La passione per la ricerca

La passione per la ricerca non cambia, anzi con i nuovi mezzi che oggi abbiamo a disposizione, il richiamo è ancora più forte.

LA VIA DELLA SETA

Dopo la mia esperienza di ‘cammino’ è partito un interesse per conoscere qualcosa sui grandi cammini e sulle loro storie.

Il primo motore che ha spinto gli uomini verso terre lontane affrontando grandi rischi e paesi sconosciuti è stato quello di sopravvivenza ed in seguito quello di un vantaggio economico. Ma al tempo stesso dobbiamo tenere presente che oltre ai bisogni e necessità fisiche nell’uomo è sempre presente il desidero di conoscenza, di scoprire l’ignoto e la volontà di diffondere le proprie conquiste. Così si sono affrontate prove impegnative che hanno ha portato all’apertura di grandi strade, sfidando la natura dei luoghi anche nei punti più impraticabili.

Dal mondo occidentale Erodoto nel V secolo a. C. aveva cercato di avventurarsi verso l’oriente ma le conoscenze che lo storico riuscì a raggiungere arrivarono al massimo quelle dell’ambiente dell’estuario del fiume Don, che allora veniva chiamato Tanai.

Dario I, il re Persiano, nel V secolo a.C. raggiunse con le sue spedizioni Punjab sulle rive dell’Indo e creato delle rotte commerciali lungo il fiume Kabul. Poi nel 333 a.C. venne Alessandro Magno a sopraffare Dario III nella battaglia di Gaugamela, e, a sua volta, cercare di andare in avanti per raggiungere l’India. Riuscì il grande macedone a procedere e a fondare tante Alessandrie; la sua ultima fu poco più ad est di Samarcanda e alla fine fu ad un ritorno di fortuna con un esercito mal ridotto.


Quelle stesse strade, e altre ancora, sono state percorse da un altro tipo di conquistatori, i mercanti, uomini capaci di affrontare cammini durissimi e pericolosi, adattandosi e sopportando disagi per andare avanti. Infatti molto prima delle imprese militari e delle ricerche culturali la fitta rete di vie carovaniere e di itinerari commerciali aveva una esistenza per suo conto. Infatti, prima che il mondo occidentale si interessasse a voler penetrare e possedere l’oriente, ci fu un fenomeno particolare che dette Il maggiore impulso al formarsi di questa rete commerciale, la presenza di un grande segreto conservato e protetto nel mondo cinese per lungo tempo: la scoperta e la produzione della seta.

La seta si ricava dal bozzolo del bruco di farfalla nutrito con la foglia di gelso.  

Questa conoscenza era già presente nel II millennio a.C., ma per un allevamento sistematico di questo insetto é nel XIV secolo a.C. che gli abitanti della valle del Fiume Giallo consolidarono l’abilità necessaria e la lavorazione del suo prodotto dando inizio alla storia della seta.
Sono stati ritrovati in testi cinesi del I millennio a.C. canzoni popolari che accennano alla tessitura della seta.  
Fu una importante strategia quella di proteggere l’arte di produrre questo materiale così eccezionale per sua la qualità di finezza, morbidezza e freschezza. Nel corso dei secoli fu una fonte di ricchezza e di prestigio. Storici, scrittori, artisti dell’antichità ci riportano il fascino che esercitò il tessuto della seta; sembrava nato per la seduzione, per onorare le divinità,  per manifestare il potere.

Omero, Aristotele, Erodoto, Strabone, Varrone, Seneca, Plinio il Vecchio, Marziale e molti altri trovarono spazio nelle loro opere per raccontare l’effetto di fascino di queste stoffe adatte per onorare la divinità, per manifestare il livello di pregio e di potere.

La particolarità della seta consiste principalmente nella eccezionale lunghezza della sua fibra. Tutte le fibre tessili possono arrivare ad alcune decine di centimetri mentre un filo di seta può raggiungere chilometri di lunghezza.
 Questa fibra nasce da una larva di farfalla, chiamata Bombyx, che cresce nutrendosi con grande voracità di foglie di gelso e riesce ad aumentare in sei settimane fino a 10.000 volte il peso che ha alla nascita. Si crea così una sostanza per tessere un bozzolo in cui si compie la trasformazione della larva in crisalide.

La pianta delle foglie di gelso è originale dell’Asia orientale, si chiama Morus Alba.

Questo nutrimento deve essere di una abbondanza tale da essere 50.000 volte il peso della farfalla. Dentro il bozzolo si forma così in tre o quattro giorni un filo in 20/30 strati concentrici che può arrivare a 900 metri di lunghezza.

Per produrre un chilo di seta occorrono in media 3.000 larve nutrite da 104 chili di foglie di gelso.
Sulla scoperta di questo particolare gioco della natura e sulla abile creazione della sua applicazione non poteva mancare una leggenda.

Fu la moglie di Huang Di, il padre della civiltà cinese, vissuto nel 3000 a.C. che venne a conoscenza di questo processo e ne ebbe l’intuizione di utilizzarlo per la tessitura di abiti che avrebbero avuto caratteristiche uniche. 

In un primo tempo questi i fili che venivano ricavati dai bozzoli di seta si mostrarono utili per la pesca e per fare corde per strumenti musicali.
Raccogliere il filo di seta fu compito delle donne che si dovevano occupare sia di curare le piante di gelso e di raccogliere le uova dei bachi. Allo schiudersi delle uova in primavera per un mese e mezzo dovevano lavorare giorno e notte per fornire quel continuo nutrimento. Poi attaccavano i bachi a delle reti o finti rami d’albero in modo che si potessero formare i bozzoli. L’operazione dell’estrazione del filo era impegnativa e delicata, uno delle grandi imprese portate avanti dalla abilità femminile.
Nato questo tessuto eccezionale fu reso bellissimo con altrettante affascinanti colorazioni. Solo i membri della famiglia imperiale potevano adornarsi di questi tessuti; in seguito, le persone facoltose riuscirono a procurarselo, poi anche al popolo fu concesso di indossarlo. Si dettero però codici precisi sull’uso dei colori permessi a seconda dello stato sociale: la seta gialla era riservata esclusivamente all’imperatore e all’imperatrice.
La produzione diventò presto così importante da diventare per la Cina un elemento determinante per la sua storia.

La prima forma di commercio della seta fu una forma di scambio con i nomadi che provenivano dalle steppe del nord. I nomadi erano allevatori e avevano abbondanza di stoffe di lana, di pelli e pellicce che usavano non solo come abbigliamento ma anche per rivestire le loro tende. Per quanto le loro soste fossero temporanee, essi creavano degli ambienti sontuosi e solenni dove mostrare nelle loro riunioni il prestigio di essere circondati da tappeti e tessuti di lana che producevano con i loro piccoli telai portatili. Per loro la seta era un materiale non apprezzabile, non adatto alle loro condizioni di vita, seppero però valutare che il prodotto poteva essere ottimo per altri scambi. Erano popoli che vivendo di pastorizia si spostavano regolarmente venendo così a contatto con realtà diverse. Loro avevano da offrire pietre preziose, oro, pellicce, ma lo scambio più importante che effettuavano con la Cina fu con i cavalli. I cavalli furono preziosi per la Cina tanto che senza di essi non avrebbe potuto raggiungere il grande potere della sua storia. La Cina viveva e proteggeva un suo isolamento, e fu il commercio con i nomadi che portò la conoscenza della seta nell’Asia centrale. Nel II secolo a.C. la seta era già un prodotto trasportato dai mercanti passando attraverso i grandi deserti e valicando le montagne con carovane di dromedari.
Il maggiore consolidamento della via della seta avviene durante la dinastia Han.
Tale dinastia inizia due secoli a.C. e copre un arco di tempo lunghissimo. Dopo quattro secoli, sarà seguita da una dinastia Han detta posteriore o orientale che ebbe per capitale Luoyang. Luoyang fu il punto cardine orientale della via della seta

La via

Nel corso del XIV secolo si crearono rotte che collegavano fra loro gli estremi del continente asiatico, poi le rotte divennero anche via mare.

Nell’anno 53 quando i Romani furono sconfitti a Carre dai Parti nella loro tragedia furono anche umiliati dalla bellezza dei vessilli dei loro vincitori.

Alla fine, si volle conoscere da dove venivano questi tessuti così belli e come fossero prodotti.  Si creò un commercio e già sotto Tiberio a Roma l’uso delle vesti di seta era diffuso. Plinio il Vecchio diplora la spesa di forti capitali che venivano impiegati per far arrivare le stoffe amate dalle matrone romane da così lontano. Un commerciante greco-romano, Maes Titianos, cercò con agenti segreti di creare contatti, per evitare intermediari, ma tornò solo con racconti fantastici e senza il segreto.

L’itinerario della via della seta è stato tramandato da Marino di Tiro, nell’anno 110 e poi da Tolomeo nel 170

Nell’asia centrale, a metà percorso, si trovava la ‘Torre di Pietra ‘ che è stata identificata come Tash Kurgan, lungo il corso superiore del fiume Yarkand da quale occorrevano dieci giorni per raggiungere il Tarim.
In epoca grego-romana le carovane dirette verso l’oriente partivano da Tiro che potrebbe essere considerata come il punto di partenza occidentale della Via della seta.

Tiro ha una storia di origini molto antiche, città favorita dalla sua favorevole posizione geografica è citata nella Bibbia  (1 Re 9, 10-12; Is 23, 1-18), perché da quel luogo venne  preso il legname per la costruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Il primo percorso delle carovane era attraverso la Siria e arrivava alla bellissima città di Palmira situata su un’oasi preziosa, prima di raggiungere le rive dell’Eufrate. La rete commerciale procurò a questa città una notevole ricchezza che a partire dal I secolo a. C. rese possibili realizzazioni architettoniche di grande prestigio. La grande Via Colonnata deve essere stato un ingresso di grande effetto per le carovane che arrivavano a Palmira! La distanza da Hierapolis in Siria a Sera, la capitale dei Seri, fu calcolata in undicimila chilometri.

 L’itinerario dei mercanti dopo aver varcato anche il Tigri prendeva verso Ecbatana (oggi Hamadam ), passava a meridione  del monte Elbruz, la vetta più alta del Caucaso, e attraversando il Khorassan arrivava al deserto del Karakom.

Si arriva così ad un altri dei luoghi affascinanti di questo itinerario, alla città di Mery. Dal 1999 Merv è stata inserita fra i siti patrimonio dell’umanità per i preziosi resti di una storia che l’ha vista nel dodicesimo secolo come la città più grande del mondo. La sua posizione strategica nel cuore del deserto del Karakum in un ‘oasi fertilissima vicino al delta del Murgab, fiume che nasce sull’Hindu Kush, consentiva la coltivazione di cereali e frutta, riso e cotone.
I resti e gli scavi archeologici possono raccontare la storia di Mery che si caratterizza in modo diverso nelle varie epoche.
L’origine preistorica è stata rilevata da tracce che risalgono al terzo millennio a.C.
Quattro città murate ognuna delle quali costruita dagli abitanti di un’era diversa, ogni volta vissute poi abbandonate e mai ricostruite, corrispondono ai quattro periodi in cui Merv fu il centro del mondo: la vecchia Merv, Erk Kala, corrisponde al regno Achemenide, ed è la più piccola. Gyaur Kala, che circonda Erk Kala, comprende le metropoli ellenica e sasanide e venne usata come sobborgo industriale di Sultan Kala, città abbaside/selgiuchide. La più piccola venne eretta poco a sud.
Il ‘Parco Archeologico Antica Merv’ è il custode delle preziose testimonianze.
 Dallo scalo di Mery chiamata anche Antiochia di Margiana, si diramavano due piste: una, la più antica, aggirante il Pamir a sud per Faizabad, l’altra, verso nord, in direzione di Bukhara.
Patrimonio dell’umanità è il centro storico di Bukhara che rappresenta un esempio di una città medioevale centroasiatica nella valle di Samarcanda. Il fiume Zeravshan, nato dalle pendici del Pamir, attraversava la Sogdiana da est a ovest creando l’oasi di Bukhara per poi andare a perdersi nel deserto. Reperti di monete raccontano una presenza greca nel luogo nel IV secolo a.C., ma Bukhara  si trasforma da punto d’appoggio per le carovane ad un centro importante solo intorno al I secolo d. C.
Samarcanda è una delle città più antiche, la parte più vecchia, di 2700 anni fa è titolata ‘Samarcanda crocevia di culture’.  
Ha fatto parte dell’Impero persiano per la maggior parte della sua storia. Alessandro Magno la conquistò nel 329 a.C. quando era capitale degli Achemenidi.
Dopo Samarcanda si percorre la vallata del Sir Daria per superare il passo di Turgat a 3500 metri d’altitudine, e scendere finalmente a Kashgar nel Turkestan cinese, nuovo punto di convergenza delle due carovane. Qui, ai piedi del Pamir si era a metà percorso della via della seta, vicino al luogo del grande mercato che Tolomeo chiamava Lithinos Pyrgos ( Torre di Pietra ).
Questo era principalmente il punto di incontro con i Cinesi e quindi il luogo di scambio della seta, dell’acciaio, di pellicce, del muschio, del legno di sandalo e soprattutto della carta.
Il deserto del Taklimakan poi, il cuore stesso dell’Asia, era affrontabile solo per la presenza di città oasi come Miran che duemila anni fa aveva un sofisticato sistema di irrigazioni per un fiume che scorreva dalla montagna, aggirando il bacino del Tarim.
Situata all’estremità occidentale del corridoio Hexi della provincia del Gansu, tra le province del Gansu, Qinghai e Xinjiang, si arriva a Dunhuang, una delle città più famose dal punto di vista culturale e storico. Chiamata ‘Banco di sabbia’ deve anche alla seta la ricchezza del suo territorio. Circondata da alte montagne e dal deserto del Gobi aveva il vantaggio di preziosi passaggi naturali. Si possono trovare resti di monasteri e grotte, antiche tombe, la Grande Muraglia della dinastia Han, città antiche, le torri di segnalazione e antiche stazioni postali. In questa stessa zona sorgono, oltre alle grotte Mogao, patrimonio culturale mondiale, anche i passi Yangguan e Yumen, il monte Minshashan. La fontana della mezza luna, il monte Sanwei, la città dei demoni Yadan, la grotta dei mille Buddha, la grotta Yulin, la Grande Muraglia della dinastia Han, sono le grandi testimonianze di storie importanti quanto affascinanti.
Con Lanzhou alla fine del territorio del Gansu, Sera Metropolis e Luoyang si arriva a quei 7000 chilometri da dove ha avuto inizio il cammino del prezioso tessuto.
La storica città di Luoyang a circa 400 km ad est di Xi’an ( Sera Metropolis) fu capitale durante 13 dinastie cominciando dalla Xia e poi con la Han, la Sui e la Tang. La città è stata una delle culle della civiltà cinese e della sua cultura, per la letteratura e la poesia. E’ anche la patria di molte delle invenzioni cinesi, come la fabbricazione della carta, la stampa e la bussola. Qui, oltre ad essere stata uno dei punti di partenza e di arrivo della Via della Seta, ha avuto origine il Taoismo. Con la venuta del Buddismo nel 68 d.C., Luoyang è divenuta un centro religioso rinomato e lo è rimasto per secoli conservando molte importanti testimonianze. Luoyang si trova sulla riva nord del fiume Lu, affluente del Fiume Giallo che scorre un po’ a nord.

  I mercanti

Quando dalla Cina settentrionale per una crisi economica e per disordini politici si interruppero le comunicazioni con l’Asia centrale, in occidente si cominciò a sentire la mancanza della seta con conseguente aumento dei costi. La Persia rappresentò l’ago della bilancia dello scambio, creando la guerra fredda della seta.

Roma nel 106 si era impadronita di Petra, di Edessa nel 216 e di Palmira nel 273, ma nonostante la presenza in queste città non riusciva a controllare l’arrivo dei prodotti cinesi.

Era la Persia a sbarrare la strada e a obbligare il commercio ai prezzi imposti dalla sua politica. Quando Bisanzio diventò abbastanza forte di potersi confrontare con l’impero sassanide l’imperatore Diocleziano ed il re di Persia, Narsete, crearono un vero e unico centro di scambio della seta nella città di Nisibi.


Grande contributo al mercato della seta viene dalla diffusione del buddismo in Cina che avvenne nel periodo Han. La scuola buddista si era diffusa dall ‘India nord occidentale nel I secolo d.C..
Nel IV secolo la nuova religione aveva superato il Confucianesimo ed era diffusa anche nella gente comune.
La leggenda della nascita delle Grotte di Mogao racconta che Lezun un monaco buddista nel 366 chiese ad un ricco pellegrino di fondare un tempio. Fu scavata nella roccia vicino a Dunhuang una grotta che diventò luogo di accoglienza per coloro che volevano dedicarsi con una vita austera alla ricerca dell’illuminazione. Col passare dei pellegrini e dei secoli le grotte scavate sono diventate  492 e la rupe che le accoglie è lunga un chilometro e mezzo. un secolo dopo gli imperatori della dinnastia Wei finanziarono le gigantesche statue di Budda a Yungang e a Longmen vicino a Luoyang.
I monaci nei loro viaggi usavano la seta per pagarsi i viaggi vendendole o facendo i cambi. Furono anche indirettamente dei protettori della qualità della seta cinese. Infatti poiché il filamento della fibra di seta per essere estratto integro, lungo e resistente, doveva essere protetto con l’uccisione delle larve all’interno dei bozzoli prima della loro mutazione,quindi i bozzoli venivano esposti al sole o fatti bollire. Questa pratica di uccisione era decisamente rifiutata dal buddismo che diffuse la tecnica di lavorazione con la nascita della farfalla. La farfalla per uscire mordeva il bozzolo spezzando il filo riducendo la possibilità di lavorazione a materiale di riempimento o a tessuti molto rudimentali. Un monaco buddista XUANZANG nell’VII secolo fece un viaggio dalla Cina in India per andare a ritrovare gli antichi testi della sua religione. Nel suo viaggio di ritorno in Cina, si fermò per un periodo nell’oasi di Khotan, nel deserto del Takla Makan, e notò che i produttori locali non uccidevano le larve e ricavavano comunque del filato dai bozzoli rotti pur costatandone la qualità inferiore.  Le sete migliori dunque furono sempre quelle delle parti più orientali dell’Asia, mentre verso l’ovest si diffuse maggiormente la pratica della  tessitura. Intorno alle città oasi nel desrto del Takla Makan, nel corridoio di Hexi, nacquero molti monasteri che trovavano sostentamento nelle terre arabili che la precedente dinnastia Han aveva protetto con nuove tecniche agricole. I buddisti usavano gli stendardi di seta per le cerimonie e borse di seta per portare l’incenso.

preghiera sul tappeto di seta
I mussulmani ebbero un ruolo importante sulle rotte commerciali della Via della Seta. Un geografo persiano Ibn Khordabeh  le ha descritte in una mappa del nono secolo ‘Il libro delle strade e dei reami ‘. Questa religione, dove il pellegrinaggio è una delle attività fondamentali di culto, poteva contare su una rete di appoggi che agevolavano le soste,e consentivano gli spostamenti con molta facilità. Inoltre la loro origine prevalentemente mercantile favorì  l’utilizzo delle merci di scambio  come forma di sostegno economico del viaggio stesso.  L’esigenza di mantenere unita una comunità religiosa così vasta, rese le comunità mussulmane molto tolleranti e aperte,  diversamente dall’atteggiamento diffidente degli europei verso le genti straniere. Inoltre la regola islamica di pregare sempre rivolti in direzione della Mecca mantenne attiva la capacità di orientamento e la cultura per la ricerca geografica.

Le testimonianze cartografiche occidentali antiche che rappresentano la Via della Seta sono rare. Una di queste può essere la Tabula Peutingeriana che in uno dei suoi segmenti rappresenta le strade che attraversano l’Armenia, la Mesopotamia, la Persia, l’India fino ai margini orientali del mondo conosciuto all’epoca delle sua stesura (IV sec. D.C.), l’isola di Taprobane ei territori dei Seres

Un’altra carta è l’Atlas catalan datata 1375. Conservata alla biblioteca nazionale di Parigi è un insieme di dipinti su velli incollati su assi di legno che riporta dati accumulati da diverse esperienze nautiche e racconti di viaggi di cristiani e islamici. Un secolo dopo viene redatta da un converso del monastero camaldolese di San Michele di Murano fra Mauro.

dedicato alla nonna Luigia che in un periodo della sua vita dei bachi da seta

In Irlanda, è consentito, una volta al giorno a dieci imbarcazioni di salpare dalle coste della Contea di Kerry verso due isolotti che si trovano a 11 km a largo di Capo Bolo, sono le Skellig Islands.

La più grande, la Michael nel 1996 è entrata a far parte del novero del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. L’isola è dedicata all’Arcangelo Michele.

L’arcangelo Michele prende nome dall’ebraico ” Mi- ka- El e significa” “Chi come Dio. Nella tradizione popolare, quindi, è considerato il difensore del popolo di Dio e il vincitore nella lotta del bene contro il male.  Potente e armato di spada si trova rappresentato nei luoghi dove la sua protezione è necessaria. I santuari famosi a lui dedicati sono St Michael ‘s Mount in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele e monte Sant’Angelo in Italia, sono punti di riferimento preziosi per i pellegrinaggi.

L’isola irlandese a lui dedicata ha la fortuna di essere un luogo particolarmente protetto. Solo 120 persone al giorno possono visitarlo, nel rispetto verso una riserva naturale e avvistare le procellarie, le sule e i pellicani tridattili. Nel mese di maggio poi sono i pulcinella che escono da una tana per deporre il loro uovo vicino alla riva posizionandosi in guardia e protezione.

In cima all’isola si trova un complesso monastico, nato nel IV secolo, comunità di monaci cristiani, creata per la scelta di una vita rigorosa e ascetica.

Per accedervi si deve affrontare un cammino di 600 scalini ricavati dalla roccia a 150 metri sul mare. Il tutto consta di una chiesa, un oratorio, delle celle ad alveare e un sotterraneo. La chiesa è di forma rettangolare, nata di piccole proporzioni , in origine coperta da un tetto di legno e successivamente ampliata con grandi blocchi di arenaria .

Il cammino della luna

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai,

contemplando i deserti; indi ti posi.

Ancor non sei tu paga

Di riandare i sempiterni calli?

 Canto notturno XXIII  

Il lungo monologo che Giacomo Leopardi, rivolge alla luna è stato ispirato dalla lettura di un racconto di viaggio del barone russo Meyendorff da Orembourg a Bakara fatto nel 1820.  

In questi versi emerge chiaramente il pretesto con il quale il poeta si interroga sul significato del cammino dell’uomo, degli animali, della natura e della vita stessa.

Al verso 61 della stessa poesia

Pur tu, solinga, eterna peregrina

chiama la luna non solo a testimoniare quello che vede dalla sua alta posizione, ma a dirci del suo stesso cammino.

Per gli scienziati quello della luna non è un cammino ma un moto, termine che si tiene lontano dal concetto di meta ma i tentativi di interpretazione di questo movimento e non solo dall’ottica poetica, non cesseranno mai

Al nostro semplice sguardo sembra che la luna abbia un cammino, come sempre è venuto istintivo pensarlo per il sole. Ce la troviamo in cielo in posizioni e forme diverse che spiegazioni astronomiche giustificano in modo sorprendente, ma per quanto siano perfette e motivate dalla scienze saranno sempre sopraffatte dalle poesie, dai canti e dai sogni.  E infatti questa poesia di Leopardi ci parla della usanza dei pastori nomadi Kirghisi dell’Asia centrale e del loro rivolgersi  alla luna con i canti meditando e sperando, quasi chiedendo ad una divinità di avere e delle risposte. Il poeta si identifica in loro in una lirica di alta espressione che al tempo stesso riporta al tema del pessimismo e del romanticismo. La natura viene associata alla luna, il pastore errante al poeta stesso mentre al gregge  

affida il concetto del nulla esistenziale e dell’assenza di uno scopo.

Pensata e definita anche come vergine, intatta, candida e giovinetta immortale,  questa  natura mantiene il suo segreto del suo cammino come in uno scrigno, segreto che non si può scoprire.

La presenza della luna nelle poesie di Leopardi si potrebbe dire che è una costante, la  troviamo  in altri  parti definita  anche come ‘amica del silenzio’ e la ‘sorella del sole’ mentre nel Canto XIV Alla  luna  gli viene affidato il ruolo di testimone dei ricordi

sovra questo colle io venia pien d’angoscia a rimirarti, che possiamo unire a quelli delle Ricordanze dove vengono prese a prestito  anche le stelle

Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea

tornar ancor per uso a contemplarvi.

Persino  quando il poeta pensa al  suo congedo definitivo dalla vita, come nella poesia dedicata a Carlo Pepoli

 Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor

la luna è presente.

Un altro vero e proprio cammino  della luna Leopardi lo tratta nella quarta strofa  del canto scritto nel 1821 La vita solitaria XVI , qui riportata in forma di parafrasi.

O cara luna, le lepri danzano al tuo tranquillo raggie  alla mattina vedi il cacciatore che si lamenta perché trova le orme false e sparpagliate che lo sviano dalle tane; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo raggio scende nocivo fra gli alberi e fra le valli o dentro case abbandonate o sulla lama del pallido ladrone, il quale, con le orecchie tese, ascolta il rumore delle ruote, il calpestio dei cavalli o il fruscio dei passi sul silenzioso sentiero; poi all’improvviso con il suono delle armi, con la voce rauca e con il volto truce e minaccioso egli gela  il cuore del passeggero, e in un battere d’occhio lo lascia semivivo e nudo. La tua bianca luce scende nelle vie cittadine ed è sfavorevole all’amante adultero, che, rasentando le mura delle case e seguendo le ombre degli edifici, s’arresta  e ha paura delle lucenti lucerne e delle finestre aperte. (Il tuo raggio) Scende nemico a tutte le menti malvagie. Invece, per me, la tua vista sarà sempre benevola perché mi illumina non altro che lieti colli ed ampi campi. Benché io fossi innocente, io solevo accusare il tuo bel raggio, quando nei luoghi abitati mi esponeva allo sguardo degli altri, o quando scopriva gli altri al mio sguardo. Ora, invece, sempre lo loderò,  quando, o luna, ti  vedrò  passare tra le nuvole, o quando tu, serena ominatrice del cielo stellato, contemplerai questa piangente terra umana. Tu vedrai me, spesso muto e solitario errare nei boschi o per le verdi rive, o mi vedrai sedere sopra le erbe, e mi vedrai assai contento, se mi rimarrà tanta forza nel cuore per sospirare, per sperare e per vivere.

E alla fine consideriamo un altro ruolo  particolare ruolo che il poeta fa assumere alla luna. Dalle Operette morali –

 Il dialogo della terra e della luna-.Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere




indagine su una terapia

SOMATIC EZPERIENCING di Peter A Levine

Ho consultato questo libro che si presenta con un sottotitolo ‘ esperienze somatiche nella risoluzione del trauma. Lo scrittore sostiene già sulla copertina che ‘ Il trauma non risiede nell’evento esterno che induce dolore fisico o emotivo, e neppure nel dolore stesso. Il trauma si genera quando non siamo in grado di liberare le energie bloccate e di attraversare, una dopo l’altra, tutte le reazioni fisico-emotive all’esperienza che ci ha ferito. Il trauma non è quello che ci accade, ma quello che tratteniamo dentro in assenza di un testimone empatico.

Dunque, si presenta necessario essere testimoni empatici e cercare di trovare per i nostri problemi testimoni empatici. Spesso si crede di farlo confidandoci con gli amici, ma nell’uno e nell’altro caso l’atteggiamento deve tenere presente che occorre mettere in atto delle dinamiche più attente se vogliamo che ci siano risultati

Prima di tutto quando si parla di trauma è necessario distinguere i traumi gravi da quelli che rientrano nella vita diciamo normale. Quindi non consideriamo ciò che si può riportare da situazioni di guerre, terremoti, disastri o comunque esperienze estreme.

Per tali traumi sono necessari interventi di alta specializzazione, terapie mediche di appoggio. quandanche supporti etico- religiosi.

Invece per quanto riguarda ciò che ingombra gli animi e il fisico dei nostri pazienti/ alunni/amici sono molte le armi, le tecniche e i suggerimenti che possiamo utilizzare per entrare in contatto con loro e aiutarli nella migliore realizzazione di loro stessi.

Un prezioso esempio portato da Levine in questo suo libro lo offre raccontando il mito del Perseo nell’uccisione della Medusa. La Medusa, il mostro che pietrificava chi la guardava, viene uccisa da Perseo che la guardò indirettamente riflessa nel suo scudo. Grande abilità nel gesto, grande idea di soluzione e poi la presenza degli dei che fornirono gli strumenti.

Il messaggio del mito è chiaro e semplice ma altrettanto difficile da metterlo in atto. Guardare un problema non direttamente perché presuppone di lasciarlo da parte e guardare da un’altra parte. Ma se da questa altra parte troviamo un appoggio, forse si può riuscire.

Levine a pag 277 del libro cita un medico Henry Laborit per il suo lavoro Mon oncle d’Amerique dal quale è stato tratto un film nel 1980, vincitore al festival di Cannes. Il confronto delle vite dei personaggi del film con esperimenti fatti con delle cavie in gabbia, suggeriva riflessioni interessanti.