I preferiti

ANDRE GIDE

Di André Gide possiamo sapere molto dato che dall’età di 20 anni cominciò a scrivere un diario che ha tenuto fino alla morte. Inoltre, ha scritto una sua biografia nel 1926 dal titolo ‘Se il grano non muore’. Leggendo i suoi libri si sente sempre molto di lui, perché questo grande scrittore, premio Nobel dell’anno 1947, ha voluto sempre parlare di se stesso, ma non lo ha fatto per esaltarsi, voleva invece comprendersi e spiegarsi e così c’è stato chi lo ha compreso e chi invece gli è stato avverso.

.Nei Nutrimenti scrive ” Che il mio libro ti possa insegnare ad interessarti più a te stesso che ad esso

Motivazione dell’assegnazione del premio Nobel : Per la sua opera artisticamente significativa nella quale i problemi e le condizioni umane sono stati presentati con un coraggioso amore per la verità e con una appasionata penetrazione psicologica

Ma i suoi libri, senza fare confronti ed analisi, sono un valore per loro stessi.

A 77 anni scrisse ‘Teseo’, un personaggio con il quale vuole riflettere sui problemi dell’esistenza.

‘Consenziente, vado ormai solitario incontro alla morte. Ho conosciuto i piaceri terreni. Mi è di conforto pensare che dopo di me e grazie a me gli uomini sapranno essere più felici, migliori e più liberi. Ho compiuto la mia opera per il bene dell’umanità futura. Io ho vissuto’

da  I FALSARI

La storia può sorprendere perché dal titolo si immagina un mondo di truffa o cose del genere. Ma sotto la mano delicata di Gide ciò che è detto falso potrebbe valere come ambiguo e non sincero. Comunque, la storia è appassionante e i suoi personaggi si muovono tutti con una particolare ambiguità. Il racconto si svolge in un periodo di tempo che vede una certa formazione e la trama si perde fra i vari protagonisti senza arrivare a niente di definitivo. Può essere impegnativo ricordare i nomi, ma siamo abituati dai romanzi russi e qualche volta è utile prendere appunti.

Quando tu cerchi di far salire nella tua barca con l’astuzia chi non ha bisogno di salirvi, tu bari…Il torrente che annega una persona pretende forse di offrirgli da bere?…       Diffido di sentimenti che trovano presto la loro espressione.


JORGE LUIS BORGES

Jorge Luis Borges (24 agosto 1899 – 14 giugno 1986) è stato un protagonista importante nel mondo letterario del suo tempo, un ricercatore, un poeta, ha ispirato molti scrittori fino a diventare parte integrante della cultura di tutti.

Ma il premio Nobel non gli fu mai assegnato.

Il primo libro che mi ha appassionato a questo scrittore è “Aleph” .E’ una raccolta di racconti i cui contenuti sono di un livello così alto che mi è stato necessario applicarmi con attenzione e per un certo periodo ho continuato a leggere solo questo autore. Per me è stato un incontro fortunato, dopo cinquanta anni alcuni passi di questo libro mi sono ancora presenti ed hanno una efficacia comunicativa che ancora continua.
Il secondo testo che ho letto è “Letterature germaniche medioevali”. Mi affido a quanto ha scritto Italo Calvino sul commento di copertina.

L’invenzione fondamentale di Borges è stata di fingere che il libro che voleva scrivere fosse già scritto, scritto da un altro, da un ipotetico autore sconosciuto, un autore d’un’altra lingua, d’un’altra cultura e descrivere, riassumere recensire questo libro ipotetico. Che per Borges solo la parola scritta abbia piena realtà ontologica e che le cose del mondo esistono per lui solo in quanto rimandano a cose scritte, è stato detto molte volte. Il vissuto è valorizzato da quanto esso ispirerà nella letteratura e da quanto a sua volta ripete da archetipi letterari: per esempio tra un’impresa eroica e temeraria in un poema epico e un ‘impresa analoga vissuta nella storia antica o contemporanea c’è uno scambio che porta ad identificare o comparare episodi e valori del tempo scritto e del tempo reale” Italo Calvino 

Ma quanto ancora di più mi hanno affascinato le poesie di Borges! Come in tutte le poesie poche righe sono eloquenti quanto un romanzo, dentro ci si può leggere una storia una storia ogni giorno diversa secondo il giorno in cui la leggi.

La sua presenza costante nella mitologia, nella metafisica a confronto con le saghe nordiche, la presenza dei vangeli, il suo sacro ateismo e la presenza costante di tante menti dentro la sua. La sua grande cultura, come ha detto Sciascia, lo rende teologo e infatti molte delle sue parole possono fare una breccia importante per chi le legge.

L’affascinante descrizione de “La Biblioteca di Babele” tratta da Finzioni è una dei racconti pieni di magia che mi lasciano ancora nella ricerca di capire cose che non capisco.

Borges oltre a tutti gli impegni che ha avuto ha anche fondato e diretto una collana di libri che ha chiamato “La biblioteca di Babele” dove ha fatto pubblicare da Franco Maria Ricci autori selezionati da lui, alcuni inediti, di grande valore che meritavano di essere conosciuti.  

Parla lui, anzi scrive:

BORGES E IO

All’altro, a Borges, accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e indugio, forse ormai meccanicamente, a guardare l’arco di un androne e la porta che dà ad un cortile; di Borges ho notizie attraverso la posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizionario biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le mappe, la stampa del secolo XVIII, il sapore del caffè e la prosa di Stevenson; l’altro condivide queste preferenze, ma in un modo vanitoso che le muta negli attributi di un attore. Sarebbe esagerato affermare che la nostra relazione è di ostilità; io vivo, mi lascio vivere, perché Borges possa tramare la sua letteratura, e questa mi giustifica. Non ho difficoltà a riconoscere che ho dato vita ad alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perché ciò che v’è di buono non appartiene a nessuno, neppure all’altro, ma al linguaggio e alla tradizione.

Tratto dal prologo di ATLANTE

Non c’è un solo uomo che non sia uno scopritore. Inizia scoprendo l’amaro, il salato, il concavo, il liscio, il ruvido, i sette colori dell’arcobaleno e le venti e più lettere dell’alfabeto; continua coi volti, le mappe, gli animali e li astri; conclude col dubbio o con la fede e con la certezza quasi totale della propria ignoranza

PARACELSO

Pubblicato se La biblioteca di Babele

La rosa di Paracelso

Nel suo laboratorio, che comprendeva le due stanze dello scantinato, Paracelso chiese al suo Dio, al suo indeterminato Dio, a qualunque Dio, di inviargli un discepolo. Imbruniva. Il magro fuoco del camino proiettava ombre irregolari. Alzarsi per accendere la lanterna di ferro avrebbe richiesto uno sforzo eccessivo. Paracelso, distratto dalla fatica, dimenticò la sua preghiera. La notte aveva cancellato l’athanor e i polverosi alambicchi quando bussarono alla porta. Insonnolito, l’uomo si alzò, salì faticosamente la breve scala a chiocciola e socchiuse un battente. Uno sconosciuto entrò. Anch’egli era molto stanco. Paracelso gli indicò una panca; l’altro sedette e attese. Per un certo tempo non scambiarono tra loro nemmeno una parola.
   Il maestro fu il primo a parlare.
  “Ricordo volti d’Occidente e volti d’Oriente”, disse, non senza una certa enfasi. “Non ricordo il tuo. Chi sei tu e che vuoi da me?”.
  “Il mio nome non ha importanza”, replicò l’altro.
  “Ho camminato tre giorni e tre notti per entrare in casa tua. Voglio diventare tuo discepolo. Ti ho portato tutti i miei beni”.

 Tirò fuori una borsa e la rovesciò sulla tavola. Le monete erano molte e d’oro. Lo fece con la mano destra.
   Paracelso, per accendere la lanterna, aveva dovuto voltargli le spalle. Quando tornò, notò nella sua mano sinistra una rosa. La rosa lo inquietò.
   Si chinò, giunse le estremità delle dita e disse: “Tu mi credi capace di elaborare la pietra che trasmuta gli elementi in oro e mi offrì oro. Non è l’oro ciò che cerco e se è l’oro che ti interessa, tu non sarai mai mio discepolo”.
 “L’oro non mi interessa”, rispose l’altro. “Queste monete non sono altro che una prova del mio desiderio di apprendere. Voglio che tu mi insegni l’Arte. Voglio percorrere al tuo fianco la via che conduce alla Pietra”.
Paracelso disse lentamente: “La via è la Pietra. Il punto di partenza è la Pietra. Se non comprendi queste parole, non hai ancora cominciato a comprendere. Ogni passo che farai è la meta”.
L’altro lo guardò con aria diffidente. Disse con voce chiara: “Ma esiste una meta?”
Paracelso si mise a ridere.
“I miei detrattori, che non sono meno numerosi che stupidi, sostengono il contrario e mi accusano di essere un impostore. Non do loro ragione, ma non è impossibile che io sia un illuso. So che esiste una via”.
Vi fu una pausa, e l’altro affermò: “Sono pronto a percorrerla con te, anche se dovessimo viaggiare per molti anni. Lasciami attraversare il deserto. Lasciami intravedere almeno da lontano la terra promessa, anche se gli astri me ne vieteranno l’accesso. Ma prima di intraprendere il viaggio, io voglio una prova”.
  “Quando?” disse Paracelso, con inquietudine.
  “Subito”, rispose il discepolo con brusca determinazione.
   Avevano iniziato la conversazione in latino, ora parlavano in tedesco.
   Il giovane levò in alto la rosa.
   Affermano – disse – che tu puoi bruciare una rosa e farla rinascere dalle ceneri, per opera della tua arte. Lascia che io sia testimone di questo prodigio. Ecco ciò che ti chiedo; poi la mia vita sarà tua”.
  “Sei molto credulo”, disse il maestro. “Non so che farmene della credulità; esigo la fede”.
L’altro insistette.
  “È proprio perché non sono credulo che voglio vedere coi miei occhi l’annientamento e la resurrezione della rosa”.
Paracelso l’aveva presa in mano e parlando giocherellava con essa.
  “Sei credulo”, disse. “Tu dici che io sono capace di distruggerla?”
  “Nessuno è incapace di distruggerla”, rispose il discepolo.
   Ti sbagli. Credi forse che qualcosa possa esser reso al nulla? Credi che il primo Adamo nel Paradiso abbia potuto distruggere un solo fiore, un solo filo d’erba?”.
  “Non siamo nel Paradiso – disse ostinato il giovane – qui, sotto la luna, tutto è mortale”.
Paracelso si era alzato in piedi.
  “E in quale altro luogo siamo? Credi che la divinità possa creare un luogo che non sia il Paradiso? Credi che la caduta sia altro dall’ignorare che siamo nel Paradiso?”.
  “Una rosa può bruciare”, disse il discepolo in tono di sfida.
  “V’è ancora del fuoco nel camino”, rispose Paracelso. “Se tu gettassi questa rosa fra le braci, crederesti che le fiamme l’abbiano consumata e che sia la cenere a essere reale. Io ti dico che la rosa è eterna e che solo la sua apparenza può cambiare. Mi basterebbe una parola perché tu la potessi vedere di nuovo”.
  “Una parola?” disse stupefatto il discepolo. “L’athanor è spentogli alambicchi sono coperti di polvere. Che farai per farla rinascere?”.
Paracelso lo guardò con tristezza.
   L’athanor è spento” – ripeté – “e gli alambicchi sono coperti di polvere. In questo tratto della mia lunga giornata uso altri strumenti”.
  “Non oso domandare quali”, disse l’altro con malizia o con umiltà.
   Parlo di quello che usò la divinità per creare il cielo e la terra e l’invisibile Paradiso in cui ci troviamo e che ci è nascosto dal peccato originale. Parlo della Parola che ci insegna la scienza della Cabala”.
  Il discepolo disse freddamente: “Ti chiedo la grazia di mostrarmi la scomparsa e ricomparsa della rosa. Poco mi importa che tu operi per mezzo del Verbo o degli alambicchi”.
Paracelso rifletté. Infine, disse: “Se lo facessi, tu diresti che si tratta di un’apparenza imposta ai tuoi occhi dalla magia. Il prodigio non ti donerà la fede che cerchi. Dunque, lascia stare la rosa”.
Sempre diffidente, il giovane lo guardò. Il maestro alzò la voce e gli disse: “E inoltre, chi sei tu per introdurti nella dimora di un maestro ed esigere da lui un prodigio? Che hai fatto per meritare un simile dono?”.
L’altro replicò, tremando: “So bene che non ho fatto nulla. Ti chiedo, in nome dei molti anni in cui studierò alla tua ombra, di lasciarmi vedere la cenere e poi la rosa. Non ti chiederò altro. Crederò alla testimonianza dei miei occhi”.
Bruscamente, afferrò la rosa rossa che Paracelso aveva lasciato sul leggio e la gettò tra le fiamme. Il colore si perse e rimase solo un po’ di cenere. Per un istante infinito egli attese le parole e il miracolo.
Paracelso era rimasto impassibile. Disse con strana semplicità: “Tutti i medici e tutti gli speziali di Basilea affermano che io sono un mistificatore. Forse essi sono nel vero. Qui riposa la cenere che fu rosa e che non lo sarà”.
Il giovane si sentì pieno di vergogna. Paracelso era un ciarlatano o un semplice visionario e lui, un intruso, aveva varcato la sua porta e ora lo costringeva a confessare che le sue famose arti magiche erano vane.
Si inginocchiò e disse: “Ho agito imperdonabilmente. Mi è mancata la fede che il Signore esigeva dai credenti. Lasciami ancora guardare la cenere. Tornerò quando sarò più forte e sarò tuo discepolo e in fondo al cammino vedrò la rosa”.
Parlava con passione autentica, ma quella passione era la pietà che gli ispirava il vecchio maestro, tanto venerato, tanto attaccato, tanto insigne e perciò tanto vuoto. Chi era lui, Johannes Grisebach, per scoprire con mano sacrilega che dietro la maschera non c’era nessuno?
Lasciare le monete d’oro sarebbe stata un’elemosina. Le riprese uscendo.
Paracelso lo accompagnò ai piedi della scala e gli disse che sarebbe sempre stato il benvenuto.
Entrambi sapevano che non si sarebbero rivisti mai più.
Paracelso rimase solo. Prima di spegnere la lanterna e di sedersi nella poltrona consumata, raccolse nell’incavo della mano il piccolo pugno di cenere e disse una parola a bassa voce.
   La rosa risorse.


1944

traduzione di Franco Lucentini

PRO MEMORIA DURANTE LA LETTURA

IL GIARDINO DEI SENTIERI CHE SI BIFORCANO

TLON, UQBAR,ORBIS TERZIUS

1

genere poliziesco

Congiunzione di uno specchio e di una enciclopedia. A Ramos Mejia, in una villa di Via Gaona accadde cinque anni fa che Boiy Casares si mise a raccontare che voleva scrivere un romanzo pieno di contradizioni che avrebbe fatto conoscere a pochi che avrebbero scoperto una realtà atroce o banale.

Uno specchio dal fondo del corridoio spiava.

Bioy Casares disse che a Uqbar si sosteneva che gli specchi e la copula sono abominevoli, perchè moltiplicano il numero degli uomini. Questa afferma era confermata nella Enciclopedia. Nel villa c’era il volume XVVI e vi si trovava un articolo su Upsala senza nessuna notizia su Uqbar. Boiy rimase deluso, ma parlò di luoghi dell’Irak a dell’asia Minore.

Pensai che fosse una fantasia di Bioy Casares, ma il giorno dopo mi telefonò da Buenos Aires che aveva trovato il libro con la citazione leggermente diversa: Gli specchi e la paternità sono abominevoli perchè duplicano gli uomini.

Il volume portato da Bioy era di 921 pagine invece di 917.

Tutte le ricerche portavano a valutare che la letteratura di Bioy erano di carattere fantastico, comunque seguivano eventi che riportavano a tenere l’interesse aperto.

Un ricordo di un ingegnere dei Ferrocarriles del Sud, Herber Ashe, era ancora presente all’hotel de Androque. Ashe morì all’improvviso; ma il giorno dopo arrivò per lui. Era un libro scritto in inglese di 1001 pagine . Sul frontespizio c’era scritto: A first Enciclopedia of Tlon e questa iscrizione Orbis Tertius.

Avevo letto su Orbis Tertius la descrizione di un falso paese. Alfonso Reyes, stanco come me di tante ricerche inutili, propone di provare a ricostruire l’ intera opera basandosi sui riferimenti del volume che avevano e che mostravano un ordine preciso e definito e di cercare di capire chi erano gli inventori di Tlon. Certo più inventori , come EX UNGUE LEONEM al plurale perché secondo le affermazioni di Leibniz, che ha sostenuto che le invenzioni non son fatte da un essere unico, ma da tutta l’umanità.

Partendo da Hume che contestando gli argomenti di Berkeley come non convincenti, non sarebbero sbagliate su Tlon. il mondo di Tlon non è fatto di oggetti nello spazio, ma una serie di fatti indipendenti, quindi è successivo, temporale, non spaziale. Nel linguaggio non esistevano i sostantivi ma solo i verbi. Esempio non esisteva la parola ‘ luna’ ma ‘ luneggiò. Questo nell’emisfero australe mentre in quello boreale la cellula primordiale non è il verbo ma un aggettivo monosillabico. Unica disciplina della cultura classica di Tlon è la psicologia e da lei si coordino tutte le altre.

Paradosso della storia delle nove monete di rame.

Presentazione delle teorie di Tlon.

Nel 1941 una lettera trovata in un libro di Hinton che era appartenuto a Herber Ashe. la lettera racconta la storia che nel secolo XVII una società segreta decise di inventare un paese e poichè non sarebbe bastata una generazione per questa creazione, ogni maestro avrebbe scelto un discepolo per la continuazione dell’opera. Nei successivi ritrovamenti che mostrano la continuazione del progetto nel tempo si raccontano fatti che vogliono confermare teorie diTlon.

Sorprendente la storia del contadino e le piccole pietre che non si riescono a sollevare.

Considerazioni sugli effetti delle teorie di Tlon. Chissà se fra un secolo esse avranno preso il sopravvento.

L’ ACCOSTAMENTO AD ALMOTASIM

In questo scritto ho accennato al Mantiq al Tayr (Colloquio degli uccelli) del mistico persiano Farid al-Din Abu Talib Muhmmmad ben Ibrahin Attar, che fu ucciso dai soldati di Tule, figlio di Gengis Khan durante il sacco di Nishapur.  

Vorrei tentare un riassunto.

Il remoto re degli uccelli, il Simurgh , lascia cadere nel centro della Cina una piuma splendida. Gli uccelli, stanchi della loro antica anarchia, decidono di intraprendere la ricerca. Sanno che il nome del loro re vuol dire 30 uccelli, sanno che la sua Reggia e nel Kaf, la montagna circolare che circonda la terra. Si lanciano nella quasi infinita avventura; superando 7 Valli o mari; il nome del penultimo è Vertigine, l’ultimo si chiama Annichilamento. Molti dei pellegrini disertano; altri periscono. Trenta, purificati dalle fatiche durate, giungono alla montagna del Simurg.  La contemplano alfine: si accorgono che essi stessi sono il Simurg e che il Simurg è ciascuno di loro. Anche Plotino – Enneadi, V, 8, 4 – predica un’estensione paradisiaca del principio di identità.’ Tutto, nel cielo intellegibile è in ogni parte’. Ogni cosa e tutte le cose. Il sole è tutte le stelle, ogni stella e tutte le stelle il sole.

Per questo ho scritto ho consultato il decimo volume delle ‘ mille e notte’ di Burton e la monografica The Persian Mystics: Attar 1932 di Margaret Smith.

PIERRE MENARD, AUTORE DEL ‘CHISCIOTTE’


KNUT HAMSUN

Posso ritenerlo un vanto che una delle mie preferenze sullo scrittore Norvegese Knut Hamsun si sposi con quelle di Thomas Mann, di Hemingway e di Singer.

Essendo lui una delle prime vette della letteratura del Novecento, premio Nobel assegnato nel 1920, è facile ritenere che sia stato un ispiratore a tanti scrittori venuti dopo di lui, ma, avendo letto molto sia dell’uno che degli altri, e constatando quanta diversità di carattere, di tipo di talento e di messaggio ci sia, sarebbe meglio supporre che sia stato veramente ammirato e amato.

Uno scrittore che se ti piace ti piace veramente. Ti trasporta in un mondo di libertà, di pulizia, di sincerità e soprattutto dentro il mistero dell’uomo e della natura. Ma affrontiamo prima l’argomento scottante che compare sempre intorno a questo personaggio. Hamsun regalò la medaglia del premio Nobel ad un gerarca nazista e persino scrisse il necrologio di Hitler e quanto fece intorno a questo argomento lo portò a 86 anni in prigione assieme alla moglie. Fu processato e si difese da solo senza un avvocato e spiegò che la sua adesione all’ideale nazista era stata una speranza per il suo paese, sperava che diventasse protagonista senza il rischio del comunismo, del capitalismo e del l’imperialismo britannico.  Nel 1949 pubblicò il libro ’Per i sentieri dove cresce l’erba’ dove è raccontata questa sua esperienza. Muore a 93 anni il 19 febbraio 1952.

In tutta la sua opera Hamsun ha messo al centro l’individuo, chi lo ha letto non può pensare che un individualista, un amante della natura, che vede nella industrializzazione la distruzione delle relazioni sociali, possa associarlo a quanto abbiamo saputo del nazismo. Comunque, noi come lettori possiamo contare su quello che ha scritto. Dai suoi primi lavori ‘Fame’ e ‘Pan’ al grande ‘ Il risveglio della terra’ del 1945, ci sono tante pagine che parlano degli uomini, e degli uomini con i loro misteri e le loro angosce, in molti dei quali sicuramente si è anche raccontato.

da ‘Cronache di cammini’

Knut Hamsum 

(Vaga, 4 agosto 1859- Norholm, 19 febbraio 1952)

‘Di sicuro ci sarà abbondanza di frutti nel bosco, quest’anno. Mirtilli rossi, bacche di moretta e di camemoro. Per carità, non è che si possa campare a frutti di bosco. Però è bello che siano lì, tra l’erba: è un piacere guardarli. E a volte danno anche un po’ di ristoro, quando hai sete e fame’

(dal prologo di Un vagabondo suona in sordina, Ed. Iperborea, Milano 2005. Trad. Fulvio Ferrari ).

I tre romanzi dello scrittore norvegese Knut Hamsun, che compongono la cosiddetta Trilogia del Viandante, sono: Sotto la stella d’autunno del 1906, Un vagabondo suona in sordina del 1909 e Pan. L’estrema gioia del 1912.

Sono romanzi con pagine liriche ispirate dal paesaggio norvegese, un mondo dove neve, gelo, alberi, fanno da cornice ad un cammino libero, ad una esperienza di vita diversa e a quel particolar sguardo un po’ distaccato sugli incontri che fanno i pellegrini.

Knut Hamsun, il cui vero nome era Knut Pedersen, era nato il 4 agosto 1859 in una delle vallate della Norvegia centrale, nel comune di Lom, un luogo che, come scrive lo stesso autore, lascia i segni e che sarà lo sfondo della sua immaginazione e dove farà vivere i personaggi. I viandanti protagonisti della “Trilogia” si muovono in un mondo che al lettore può apparire freddo e duro, ma anche vivo del mormorio dell’aria, del profumo dei boschi e del canto del tordo. ‘Poi incontriamo il fringuello, il passero dei boschi. Ha già fatto il giro della foresta e ora torna dagli uomini tra cui gli piace tanto stare e che esplora da tutti i lati’ (da Sotto la stella d’autunno. Ed. Iperborea, Milano 1995. Trad. Fulvio Ferrari).

Nei primi due libri di questa trilogia si trova molto dell’esperienza vissuta dallo scrittore come viandante. Lungo e difficile era stato il suo cammino prima di potersi affermare. L’essere stato un ambulante, un commesso, uno scaricatore di porto ha fornito un’esperienza ed una formazione importante per la sua visione narrativa. Nel 1888 comincia a Copenaghen a dedicarsi alla scrittura, poi a Parigi dove, sotto l’esperienza diretta, scrive Fame, il suo romanzo più conosciuto e significante. La strada è stata lunga e difficile, ma Hamsun scrive molto, romanzi, drammi, fa conferenze e, quando arriva al 1917, l’opera Il risveglio della terra è pronto per ricevere il Premio Nobel che gli sarà conferito nell’anno 1920. ‘Il lungo, lunghissimo sentiero fra gli acquitrini e le foreste, chi l’ha tracciato, se non l’uomo. Prima di lui niente sentiero; dopo, di quando in quando, sulla landa e per le paludi, un animale seguì la via appena percettibile e la marcò con una impronta più netta’ (incipit da Il risveglio della terra. Ed. Librarie Italiane 1943. Trad. Luigi Taroni ).

Il clima della precarietà e la ‘fame’ sono stati elementi importanti per creare i suoi personaggi che sono di un carattere unico e speciale soprattutto nella ‘Trilogia’. È lo stato dell’eterno girovago, visto anche come il vagabondo che si insinua nella vita di piccole comunità alla ricerca di un ideale, quale l’amore, la libertà, l’allontanamento dalla società. Hamsun mette i suoi vagabondi ai margini e dà loro una dimensione che si pone aldilà dello stato sociale; per loro il bene e il male sono relativi al vivere del momento, sono viandanti che lasciano la città per rimanere uomini e si fanno muratori, garzoni, boscaioli, lavoratori energici, che si salvano offrendo impegno, volontà, intuizione, estro e anche validi progetti. Li vediamo vivere nel riflesso degli altri aldilà di una morale sociale, quasi in uno stato di innocenza collettiva, si innamorano a distanza e amano con discrezione e si mantengono viandanti.

Nel terzo libro della trilogia del viandante Pan. L‘estrema gioia (Ed. Mondadori, 1955), la scelta di vita del protagonista si distingue dai precedenti. Il suo distacco dal mondo non è più in quella soglia di lontananza dal mondo nuovo e dalle promettenti tecnologie volendo rimanere l’uomo antico, ma è un personaggio che pur avendo una sicurezza economica sceglie di vivere quasi nel niente o solo con un tanto di essenziale, lui non si affida alle bacche dei boschi… ‘se arriva troppo tardi nei boschi dove crescono le bacche in autunno, è che è arrivato troppo tardi…’, come nel primo romanzo, è un viandante più libero di scegliere totalmente le sue mete, non più ricco di cose materiali ma di vivere più pienamente da vagabondo. Il suo modo di pellegrinare non è neppure una fuga né tanto meno una espiazione forse è soltanto una volontà di indagare sulla vita. L’incipit: ‘Ora me ne sono andato nella foresta. Non che qualcosa mi avesse offeso o la malignità degli uomini mi avesse particolarmente ferito; ma se i boschi non vengono a me, bisogna che io vada da loro. Questa volta non sono partito come servo e vagabondo. Ho molto denaro e sono supernutrito, sono fiacco di tante mete raggiunte e di felicità, capisci? Ho lasciato il mondo come un sultano lascia il vitto esuberante, l’harem, i fiori e indossa il cilicio’. Dopo poche pagine si legge: ‘Dopo un paio d’ore di marcia mi sento tutto rinnovato: ah, ora sto bene. Faccio sibilare il mio bastone nell’aria e sento che dice: oh! e quando mi pare di essermelo meritato mi siedo e mi do un po’ da mangiare’.

Hamsun ha descritto anche un’altra figura di vagabondo nel romanzo Sognatori scritto anni dopo, ma questa è la storia di quel tipo di giovane che desidera girare il mondo per fare esperienze o cercare fortuna o perseguire degli ideali. La domanda che lo scrittore si pone su cosa sia la vita e quale sia il modo migliore per viverla, si trova in tutte le sue opere ma non è facile cogliere una risposta semplice e univoca. Questo scrittore considerato il più grande neoromantico nel mondo nordeuropeo, fonte di ispirazione di scrittori premi Nobel come Thomas Mann, Ernest Hemingway, Isaac Bashevis Singer e Franz Kafka, al termine della sua vita, quando aveva 85 anni, viene condannato e processato dai suoi stessi connazionali per aver collaborato con il governo filonazista e rinchiuso in un ospedale psichiatrico dove subì violenze fisiche e psichiche.

Ciò che si trovava nei suoi libri non servì ad allargare una visione più attenta del suo operato. Hamsun, ormai sordo e cieco, scrisse una specie di diario del 1949 Per i sentieri dove cresce l’erba pubblicato in Italia dal “Il Borghese” nel 1962 con il titolo Io, traditore. I suoi boschi infiniti, la sua posizione anticapitalista, i personaggi eroi contadini, marinai che trovano valore nel lavoro rimanendo vitali e lontano da ogni posizione di potere, si scontrano con gli intrecci della storia; il vagabondo Hamsun si scontra con qualcosa che è più forte di lui.

Su questa vicenda uno scrittore danese, Thorkild Hansen, nel 1978 pubblica il libro Processo a Hamsun dal quale poi è stato tratto il film “Hamsun” di Jan Troell. Il periodo che viene rievocato va dal 1936 al 1953 e i documenti e gli atti raccolti non possono che testimoniare qualcosa di incomprensibile. Ma oggi, dal 2009 a Hamaroy c’è un centro educativo dedicato a Hamsun ‘…C’era una torre di fronte a me… una torre ottagonale nera …’, diceva un suo personaggio di Mysteries (1892). Knut Hamsun Center – Hamaroy Island – Norvay Cron


SARAMAGO

Fra gli scrittori che hanno preso un posto particolare per il piacere della mia lettura José Saramago è l’ultimo in ordine di tempo e forse il primo fra i miei preferiti a questo punto della mia vita.

Prima di lui il primato lo assegnavo allo scrittore argentino Jorge Luis Borges, a prima ancora ad André Gide. Ma sono molti altri che vorrò citare conosciuti e amati prima e dopo e altri spero che incontrerò ancora.

Josè Saramago (16 novembre 1922 Azinhaga, Portogallo – 18 giugno 2010 Tias, Spagna) l’ho incontrato per caso comprando un libro dal giornalaio, attratta dalla fascetta che portava la scritta Premio Nobel 1998. Il titolo del romanzo era ‘Il memoriale del convento’. la sua lettura mi coinvolse tanto che dopo quel romanzo ho letto quasi tutta la produzione.

Ho apprezzato lo stile di questo scrittore portoghese per la sua originalità, la particolare scorrevolezza, ma soprattutto sono i contenuti sociali, umani e profondi che me lo hanno fatto sentire in complicità con il mio pensiero. Ho promosso l’autore nei gruppi di lettura. I consensi non sono stati unanimi, molto apprezzato in alcune opere ma per alcuni è stato motivo di troppo impegno. Il particolare uso della punteggiatura che per me è dato un particolare motivo di piacevolezza per altri è stato motivo di disorientamento.

Saramago ha toccato nei suoi libri molti temi, quello politico, quello religioso e sociale dando chiara espressione del suo pensiero. I suoi personaggi hanno carattere e creano storie uniche, quelli femminili hanno posizioni preziose sotto una luce non superiore a nessuno ma speciale per se stessa. Sono tante le situazioni che nei suoi libri mi hanno affascinato, vi ho trovato ironia, sagacia, pensiero alternativo, visione distopica, inquadramento storico, messaggio politico, tante storie e personaggi simpatici e antipatici.

I suoi interventi in pubblico sono stati espressioni del suo pensiero limpido e chiaro senza indugi e ambiguità. Ha detto anche ” Il voglio continuare a dire che sono comunista malgrado i Gulag, malgrado le epurazioni e malgrado le collettivizzazioni forzate. Ho lo stesso diritto di un cattolico che, malgrado l’Inquisizione, continua a dire di essere cattolico”.

Inoltre ho condiviso il pensiero espresso nel discorso tenuto alla cena la sera della sua premiazione del premio Nobel dove invita gli uomini ad essere consapevoli dei propri doveri.