i miei racconti

Gli Arcangeli

Chi sono gli Arcangeli? Chiediamolo a Dante che di questi argomenti sa dire la sua.

Lo primo è quello degli Angeli, lo secondo de li Arcangeli, lo terzo de li trono; e questi tre ordini fanno la prima gerarchia (Dante – Convivio – Trattato II- V -6)

C’è da precisare che gli arcangeli sono tre Michele, Gabriele e Raffaele, stando alla presentazione del culto cristiano, ma, secondo quello ebraico antecedente erano invece sette. Al di là del numero, su queste figure angeliche si sono fatte le più lunghe interrogazioni, ma noi, se vogliamo avere qualche certezza, potremmo prendere in considerazione le figure angeliche che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Il mio Gabriele lo era di sicuro. L’ho incontrato nel mezzo del nostro cammino. Abbiamo passato insieme serate piacevoli in compagnia di altri amici, io sempre con il mio compagno e lui, libero, si mostrava timoroso di indiscrezione. Mi ha costretta ad essere insistente, a pretendere la sua presenza fino a che gli incontri diventarono un vero rituale. Era un artista, bravo a detta di chi aveva valutato i suoi dipinti, ma anche su questo era reticente. Non avevamo particolari interessi in comune; le serate in compagnia non avevano risvolti culturali, c’era sempre buon cibo, parlavamo di qualche lettura, di avvenimenti, soprattutto si respirava un clima di leggerezza. Un giorno trovai fra i ricordi di un mio zio una cartolina che ritraeva un famoso uomo politico, e la portai in regalo a Gabriele ed ebbi ragione nell’aver pensato che l’avrebbe gradita. Sapevamo benissimo entrambi che eravamo molto distanti su tutto quanto riguardava la politica, ma, con il reciproco rispetto, la nostra amicizia rimaneva sempre inattaccabile. Si rivolgeva a me con un complimento in dialetto che poteva significare ‘ Dio ti benedica’. Mi piaceva quel complimento, era fatto con dolcezza e io lo ripetevo, ma non sono mai stata capace di cogliere l’intonazione delle parole in dialetto. Un giorno il mio compagno, scherzando, gli disse che era quasi geloso, e lui rispose che avrebbe fatto bene ad esserlo. Anche quello fu un complimento perché mai i nostri rapporti avevano avuto comportamenti da destare ambiguità. Gabriele da molti anni viveva solo con un figlio che aveva ben apprezzato le belle doti del padre come ebbi a comprendere quando lo conobbi. Una volta Gabriele mi confidò che era interessato ad una signora e da allora fummo complici su cercare strategie e aspettare risultati. Una sera, invitati a cena a casa sua, quando lo vidi affacciarsi sulle scale, d’istinto mi arrampicai alla ringhiera e salii al secondo piano passando all’esterno sfruttando la parte degli scalini che sporgeva; lo feci presa dall’entusiasmo mentre lui e il mio compagno mi invitavano a fermarmi preoccupati; forse in quel modo volevo dimostrare che per lui avrei fatto cose speciali, anche il rischio! Già un’altra volta, dopo essere stati a cena a casa del farmacista del paese, passando per la piazza, mi venne spontaneo fare una corsetta avanti a tutti, poi una capriola sul selciato per poi tornare nel gruppetto a continuare la conversazione che gli altri, stupefatti e anche un po’ preoccupati, avevano interrotto. Non avevo voluto mostrare la mia abilità, come si poteva pensare, ero solo felice, perché quando c’era Gabriele mi veniva da lui una corrente di allegria che sapeva di magico. Un giorno mi informarono che non ci avrebbe raggiunto per la cena perché si trovava in ospedale per un controllo al cuore. Feci subito in modo di organizzare la serata per andare a trovarlo e stare un po’ in sua compagnia. Una volta gli avevo portato una novella di Luigi Batacchi ‘ La vita e morte di Prete Ulivo’ e fui contenta di vedere che l’aveva sul comodino perché era una storia divertente e lo avrebbe alleggerito in quelle ore di reclusione. Non mi piacque però, anzi fui piuttosto sorpresa quando salutò una infermiera con lo stesso complimento/intercalare che io consideravo solo mio; Gabriele confortò la mia lamentela dicendo che solo la parola era uguale. I nostri incontri per motivi di impegni lavorativi e per la sua salute cominciarono ad essere meno regolari, sapevo però che il mio caro amico stava aspettando di affrontare un delicato intervento al cuore. Il tempo non fu generoso, arrivò la telefonata che Gabriele ci aveva lasciato. La commozione di quella perdita mi è ancora presente e quel vuoto non si è mai riempito. Come non si sostituiscono gli amori così non si sostituiscono gli amici. Lui poi non era un amico, era il mio Arcangelo Gabriele. Qualche settimana dopo la sua scomparsa scrissi una lettera al figlio. Il desiderio di raccontare quanto avevo stimato e apprezzato suo padre e di come era stata preziosa la nostra amicizia, mi fece bene, e, grata della amabile risposta del figlio, ho lasciato che le nostre vite continuassero serene, 0gnuna per la propria strada; lui fra le gerarchie celesti ed io ancora fra i piaceri terreni. Questo avevo scritto al figlio, suo padre ed io, per quanto con ideali diversi, eravamo stati complici nel desiderare ognuno la felicità dell’altro, una rara condizione da realizzare, il merito della quale poteva essere attribuita solo alle doti di un arcangelo.


Il freddo

Nella buona società inglese quando si saluta si preferisce parlare del tempo per non rischiare l’indelicatezza di chiedere notizie personali e riservate.

Però l’argomento tempo è abbastanza noioso, soprattutto quando si risolve nelle  perenni lamentele sul freddo, quando quelle sul caldo e constatare che la maggior parte delle persone non prende atto che ci sono  le stagioni e che d’inverno fa freddo, d’estate caldo e in primavera e autunno il clima è generalmente più moderato .

Gli astronomi  spiegano che la temperatura fredda dipende dalla inclinazione dei raggi solari e non dalla distanza della terra dal sole. Poi i meteorologi ogni giorno informano sullo spostamento delle correnti e delle nubi dell’aria calda ed su ciò corrono i più svariati commenti e lamentele.


Il giardino

Voi come lo immaginate voi il paradiso?

Voi come lo rappresentereste?

Di certo io non mi sono mai messa in questa ricerca e credo che sia così anche per la maggior parte delle persone.

C’è da precisare che gli arcangeli sono tre Michele, Gabriele e Raffaele, stando alla presentazione del culto cristiano, ma, secondo quello ebraico antecedente erano invece sette. Al di là del numero, su queste figure angeliche si sono fatte le più lunghe interrogazioni, ma noi, se vogliamo avere qualche certezza, potremmo prendere in considerazione le figure angeliche che abbiamo incontrato sulla nostra strada. Il mio Gabriele lo era di sicuro. L’ho incontrato nel mezzo del nostro cammino. Abbiamo passato insieme serate piacevoli in compagnia di altri amici, io sempre con il mio compagno e lui, libero, si mostrava timoroso di indiscrezione. Mi ha costretta ad essere insistente, a pretendere la sua presenza fino a che gli incontri diventarono un vero rituale. Era un artista, bravo a detta di chi aveva valutato i suoi dipinti, ma anche su questo era reticente. Non avevamo particolari interessi in comune; le serate in compagnia non avevano risvolti culturali, c’era sempre buon cibo, parlavamo di qualche lettura, di avvenimenti, soprattutto si respirava un clima di leggerezza. Un giorno trovai fra i ricordi di un mio zio una cartolina che ritraeva un famoso uomo politico, e la portai in regalo a Gabriele ed ebbi ragione nell’aver pensato che l’avrebbe gradita. Sapevamo benissimo entrambi che eravamo molto distanti su tutto quanto riguardava la politica, ma, con il reciproco rispetto, la nostra amicizia rimaneva sempre inattaccabile. Si rivolgeva a me con un complimento in dialetto che poteva significare ‘ Dio ti benedica’. Mi piaceva quel complimento, era fatto con dolcezza e io lo ripetevo, ma non sono mai stata capace di cogliere l’intonazione delle parole in dialetto. Un giorno il mio compagno, scherzando, gli disse che era quasi geloso, e lui rispose che avrebbe fatto bene ad esserlo. Anche quello fu un complimento perché mai i nostri rapporti avevano avuto comportamenti da destare ambiguità. Gabriele da molti anni viveva solo con un figlio che aveva ben apprezzato le belle doti del padre come ebbi a comprendere quando lo conobbi. Una volta Gabriele mi confidò che era interessato ad una signora e da allora fummo complici su cercare strategie e aspettare risultati. Una sera, invitati a cena a casa sua, quando lo vidi affacciarsi sulle scale, d’istinto mi arrampicai alla ringhiera e salii al secondo piano passando all’esterno sfruttando la parte degli scalini che sporgeva; lo feci presa dall’entusiasmo mentre lui e il mio compagno mi invitavano a fermarmi preoccupati; forse in quel modo volevo dimostrare che per lui avrei fatto cose speciali, anche il rischio! Già un’altra volta, dopo essere stati a cena a casa del farmacista del paese, passando per la piazza, mi venne spontaneo fare una corsetta avanti a tutti, poi una capriola sul selciato per poi tornare nel gruppetto a continuare la conversazione che gli altri, stupefatti e anche un po’ preoccupati, avevano interrotto. Non avevo voluto mostrare la mia abilità, come si poteva pensare, ero solo felice, perché quando c’era Gabriele mi veniva da lui una corrente di allegria che sapeva di magico. Un giorno mi informarono che non ci avrebbe raggiunto per la cena perché si trovava in ospedale per un controllo al cuore. Feci subito in modo di organizzare la serata per andare a trovarlo e stare un po’ in sua compagnia. Una volta gli avevo portato una novella di Luigi Batacchi

Al di là di questo però è successo che un giorno io mi sia trovata in un certo posto, in un certo momento e abbia detto: “questo potrebbe essere il paradiso! “.

Com’era? Un sentiero, poco più di un viottolo su un terreno leggermente ondulato, terra rossa scura battuta. Ai lati alti cespugli, alti da diventare orizzonte, anche se a sinistra c’era l’altura e a destra il pendio. Sui cespugli come siepe e come orizzonte si vedono cosparsi fiori bianchi, fiori semplici e fragili come sono i papaveri, ma bianchi. Troppo radi e grandi per far pensare a fiocchi di neve ma così tanti e così diffusi da pensare che fossero caduti dall’alto. La luce del mattino è limpidissima e ancora non c’è la forza del sole.

Il silenzio è quello lasciato dal fruscio del piede che si ferma, dall’insetto dopo che si è nascosto sotto la foglia. Niente è meraviglioso, niente è forte. Ti senti leggero e dici:

” Questo è il paradiso.”

Così io ho detto e mi sono voltata indietro come meglio constatare e accertarmi, ma non so di cosa. Non ero neppure commossa, ma piango ora quando ci penso. Ho visto la perfezione.

Ho anche pensato che una cornice come quella poteva essere riprodotta, creata da esperti di sceneggiature cinematografiche, ci sono tante persone di genio!

Ma io ero lì in quel momento e senza alcun genio ho fermato un attimo questo paradiso in me e … poi ho proseguito.

Volete sapere dove è avvenuto questo? Volete andarci e trovare quel luogo?

È in Spagna in un parco dell’Estremadura, e se partite da Aljucèn verso Alcuescar seguendo le indicazioni delle frecce gialle del Cammino verso Santiago di Compostela, prima o poi lo troverete.

Vorrei prestarvi il mio animo di quel momento, ma purtroppo anch’io dovrò procurarmelo di nuovo.


Dalla Finestra

L… si alzò con fatica e aprì la finestra; le imposte sbattevano ed era necessario fermarle.

Si affacciò e una folata di vento le investì il viso. Si tirò indietro. In un altro momento la cosa le sarebbe stata gradita, lei amava il vento, l’aria era fresca ma oggi non aveva nessuna voglia di stare ad apprezzarla.

 Non rivolse neppure uno sguardo, non dico in alto verso il cielo che tutto quel vento manteneva azzurro, ma neppure verso lo spazio intorno. L’unica cosa che voleva fare era tornare a sedersi su quella poltrona a cercare di lottare con la mente con quel pensiero che non voleva andarsene, stava già per chiudere la finestra ma non fu abbastanza veloce, non fece in tempo e non riuscì ad evitare che una musica la catturasse.

In quel momento non era proprio disposta a dedicarsi a qualunque ascolto ma quella musica le arrivò e si fece più strada dell’effetto dell’aria e del vento. La riconobbe, la ricordò e le fece quasi rivedere un luogo, una persona, l’amica che la cantava. Cantava bene lei, con entusiasmo e passione, conosceva bene le parole delle canzoni e le seguiva alla radio. Era il tempo ei giorni passati fra i viottoli a cogliere more, a cercare fichi maturi, fra i balzi dei vigneti ad aspettare che l’uva salamanna fosse pronta prima che il contadino la tagliasse. Tempi lontani, tempi eterni!

L…chiuse la finestra ma non tornò a sedersi sulla poltrona. Qualche tempo dopo si accorse che stava raccontando che può succedere che un suono, una musica, magari una musica un po’ particolare può avere l’effetto quasi di un miracolo.


Mio fratello

Si dice che la parola paradiso sia di antica origine e che significhi giardino, ma quale tipo di giardino scegliere per rappresentarlo?

Mio fratello L. un bel giorno si è innamorato, ha trovato la donna giusta della sua vita. Lui così ricco di pregi e di difetti, non come tutti, ma di una ricchezza speciale aveva finalmente incontrato una persona altrettanto speciale. Felici, entusiasti si sono raccontati le loro storie, hanno fatto i loro progetti, i loro viaggetti. E di ritorno da uno di questi viaggi, avendo fatto scalo ad Amsterdam, lui ha desiderato mostrare alla sua bella in quella città il mercato delle spezie che tanto lo aveva affascinato per i suoi colori per i suoi odori in un suo precedente viaggio.

Voleva e doveva essere una sorpresa: ti voglio portare in un posto…! Ma l’effetto è stato deluso e un deludente anzi un eccessivo fastidio alle narici non ha permesso alla giovane signora neppure di raggiungere la piazza: gli aromi, i profumi e gli odori tanto graditi all’uno si mostravano forti, pesanti e fastidiosi per l’altra.

Ragionevolmente e amabilmente si sono dedicati ad altre piacevolezze e non vogliamo trarre a questo punto una morale al racconto che sarebbe noioso e banale. Sappiamo bene che le percezioni sia fisiche che psicologiche hanno risposte personali molto diverse e che sono inutili e a volte dannosi gli sforzi per adeguarsi ai gusti degli altri. Per quanto volessimo essere così cortesi o generosi in uno sforzo di adeguamento, non dimentichiamo di portare rispetto al nostro modesto corpicino e a quello che ci manifesta: la mia deliziosa cognatina ebbe una crisi di starnuti piuttosto prolungata!

Invece ci potremmo dedicare ad apprezzare le differenze delle nostre sensazioni.

Il mio amico I. decise un giorno di fare un viaggio in Marocco e lo organizzò con un amico di lunga data e di sicura compatibilità. Buono il viaggio, belle le giornate passate assieme sia come turisti sia nello spirito di vacanza. Ed eccoli arrivare di fronte al deserto. Quel mare di sabbia davanti fece l’effetto ad uno di scappare all’altro di volerlo attraversare. Suggestioni importanti ma diverse! E non dobbiamo neppure farci sfiorare l’idea di dire che uno è avventuroso e l’altro quasi un vigliacchetto, che si darebbe un giudizio superficiale e fuori luogo.

Interessante fu il racconto di ambedue!

E se io vi racconto che il luogo più bello della mia vita è stato quello in cui camminavo per ore e ore con uno zaino abbastanza peso sulle spalle, per arrivare a sera a dormire in un locale dove il sonno mi sarebbe stato troppo spesso disturbato da persone che russano pesantemente, per ripartire il giorno dopo nello stesso modo e per tanti giorni, fino a raggiungere una meta che avrei lasciato con un nodo alla gola, non sorprendetevi e raccontatemi pure quali sono le vostre predilezioni.

È bello cercare tutti di essere felici!


Il filo rosso

Alla ‘ Casa della Conoscenza’ un giorno è arrivato un filo rosso.

Come c’è arrivato?

Regalato, acquistato, recuperato, non importa adesso è lì e lo si vede, per quanto piccolo, spiccare in mezzo a tanti altri fili.

Alcuni sono rossi quasi uguali a lui e altri sono di diversi colori, tanti colori e poi sono più lunghi e anche più grossi, ce ne è una gran varietà e quantità.

E che ci fanno tutti questi fili di tante diverse qualità alla ‘Casa della Conoscenza ‘?

Faranno una fine onorevole!

Chi guiderà la strada che porterà questi fili a quella fine onorevole?

C’è una persona che si chiama Grazia.

Grazia è un nome importante ma soprattutto è necessario per la suddetta fine onorevole, anche se è vero che non sempre avviene che Grazia porti grazia, ma in questa situazione è così.

Assieme a lei si muove un nutrito gruppo di persone che portano a loro volta nomi altrettanto belli e spesso anche loro simbolici, ma, per non fare confusione e per non perdersi nei particolari, le chiameremo tutte ‘Grazielle’.

Ora è necessario dare una idea di cosa sia questa fine onorevole per la quale si opera in una stanza della ‘Casa della Conoscenza’ esattamente il pomeriggio di ogni venerdì.

Si può fare cercando di andare a ritrovare quel filo rosso.

Eccolo, è quello, proprio quello, che adesso si  mostra nella forma di una bocca che sorride su un pupazzetto anch’esso fatto di fili.

Ed è una Graziella che ha creato questa trasformazione!

Sorride il pupazzetto, sorride la Graziella soddisfatta e sorriderà di sicuro chi giocherà con il pupazzetto.

Nell’attesa della sua destinazione il pupazzetto si trova insieme ad altri uguali a lui, uguali ma diversi e tutti sorridenti vicino a pacchi, pacchetti e sacchetti dove si intravedono fili e altri oggetti fatti di fili.

Nel mezzo di questa stanza della ‘Casa della Conoscenza’ ci sono due tavoli e tante sedie e sui tavoli si vedono comparire e scomparire attrezzi di lavoro gomitoli schede  ( ad un certo orario capita spesso la presenza di una torta, ma questo argomento per quanto sia di altrettanta onorevolezza lo consideriamo in un’altra occasione),  e tutto questo fermento avviene fra le mani delle Grazielle.

Abbiamo già affermato in qualche modo che la nostra Grazia è il soggetto fondamentale e quindi il numero uno di tutto questo movimento, per le ‘Grazielle’ sarà doveroso menzionare il valore ed il peso della loro presenza.

Tutte, ognuna di loro, sono soggetti unici per i quali sarebbe giusto fornire una accurata presentazione, difficile farlo!  si può dire però che loro siano una rappresentazione di cosa voglia dire abilità, pazienza, generosità, collaborazione, tenacia, creatività, simpatia, modestia, volontà perché tutte hanno un po’ o molto di tutte queste qualità e di altre che non sono state citate..

E non meno di tutte la prima qualità è la loro presenza.

Esserci è fondamentale.

Arrivano armate dei loro attrezzi, dei loro sacchetti da quali spunta il lavoro in corso sul quale si applicano prontamente, facendo controlli, richieste, approvazioni  non mancando mai tanti e tanti complimenti e motivi di soddisfazione.

La più armata è Grazia che arriva e riparte con dei borsoni sempre pieni, a sostegno dei progetti e delle idee anche esse senza fondo.

Poi si comincia con ferri, uncini, aghi, ognuno con il suo, per il proprio progetto o per un lavoro collettivo e fra i punti diritto e rovescio, accavallato e passato, maglia bassa e maglia alta e tutte le infinite varianti, le dita si confondono nei gesti a volte così rapidi da confondere lo sguardo, mentre altri più lenti si distinguono come movimenti eleganti e accurati.

Il filo rosso non sa che al di fuori di quella stanza ci sono le altre conoscenze di questa ‘Casa della Conoscenza’; esse si trovano nei libri, nei giornali, nelle riviste, nei quaderni degli studenti che frequentano la biblioteca, nella sala delle conferenze, nel lavoro degli operatori del luogo.

Non è utile né corretto fare paragoni fra l’importanza di queste conoscenze, ma si può riflettere e considerare che ciò che si applica in quella stanza del venerdì pomeriggio, provenga da una eredita molto lontana che forse ha preceduto quella che si può presupporre per i libri e per i dialoghi.

La storia non riporta notizie di quando sia avvenuta la scoperta che intrecciando due o più fili si sia potuto fare corde potenti per tirare o formare una rete per pescare o un tessuto per coprirsi. Quelle invenzioni, vere scoperte sono stati dei passi basilare per la strada della civiltà.

Sono poi nate nel corso del tempo macchine oggi altamente specializzate nel combinare quei fili, e certamente quel filo rosso avrebbe potuto essere impiegato in più breve tempo,ma di sicuro il risultato non sarebbe stato lo stesso.

La fine onorevole che si crea in quella stanza della ‘Casa della Conoscenza’ sia per quel filo rosso che per tutti gli altri è unica e irripetibile ad opera di Grazia e delle Grazielle.

La ricetta

La peperonata è un piatto estivo molto apprezzato. La preparazione non è difficile, ma bisogna fare attenzione durante la cottura che non si attacchi e si bruci. I peperoni hanno bisogno di tempo per cuocere.

Era estate e mi trovavo in città per prepararmi non so per quale esame. Cucinavo per me e per mio padre mentre il resto della mia famiglia era in vacanza. Senza alcuna qualità di cuoca cucinavo una peperonata per la cena mentre lavavo i piatti del pranzo. La ricetta era semplicemente una successione di gesti che avevo visto fare e che ripetevo senza la minima preoccupazione per il risultato. Anzi credo di aver avuto anche un eccesso di sicurezza con l’iniziativa di aggiungere mezzo bicchiere di latte per mantenere la liquidità durante la lunga cottura.

La scena è così ben impressa nella memoria perché in quel momento ci fu una sorpresa. Suonò il campanello. Veramente inaspettato era mio fratello maggiore che arrivava in licenza dal servizio militare. Stanco del viaggio, accaldato dalla calura estiva si rinfrescò ma soprattutto aveva fame. La peperonata era pronta e lui le fece onore.

Eravamo ambedue di vederci ma poi andammo ognuno andò presto verso i propri impegni, io a studiare, lui non so bene come aveva intenzione di godere la sua licenza.

Nella nostra famiglia non ci sono stati rapporti di grande attaccamento fra fratelli e sorelle, vittime soprattutto del rigido clima imposto da nostra madre che con il suo credo in ‘divide et impera’ non ha permesso che si creasse solidarietà fra di noi. Inoltre, mio fratello preferiva mia sorella a me. Comunque, le diverse strade che abbiamo preso ci hanno reso ignari l’uno dell’altro piuttosto che nemici. Incontri saltuari e casuali, informazioni sulla nostra vita piuttosto superficiali e falsate, ma intanto il tempo è passato e ne è passato molto e tuttora la situazione continua ad essere la stessa.

Ci sono stati anche incontri forzati quando abbiamo dovuto affrontare e gestire situazioni con i genitori anziani e bisognosi di aiuto.

In uno di questi incontri mi trovo nella stessa cucina dopo circa mezzo secolo con la moglie di mio fratello che mi domanda la ricetta della mia peperonata. Le spiego come la faccio e aggiungo anche quel mezzo bicchiere di latte che per la verità non metto sempre. Mi dice che anche lei usa gli stessi ingredienti e lo stesso metodo ma che mio fratello dice sempre: ‘Buona ma non è come quella che fa mia sorella Lucia.’

 Allora le faccio notare che c’era da aggiungere tre ingredienti: RITORNO A CASA DA MILITARE, FAME e PIATTO GIA’ PRONTO.

Impossibile ripeterla uguale e competerci.

Il magro

Era un contadino. Tutti lo chiamavano il Magro. La sera stava sull’aia davanti alla casa e fumava un sigaro. Chiunque passava lo salutava e lui rispondeva con poche parole sempre solo quelle essenziali, a volte anche solo un cenno con il capo. Di giorno era nel campo o in giro con il carretto tirato dal suo asino,’ il ciuco del Magro’. Il ciuco del Magro era diventato un termine di confronto, si diceva ‘stupido come il ciuco del magro’,’ vecchio come il ciuco del magro’. Io vorrei aggiungere ’puntuale come il ciuco del magro’! Infatti, quando non era al lavoro il ciuco stava nella sua stalla e dalla finestrina che dava su una strada secondaria chi passava alle dieci e cinquantacinque lo sentiva ragliare e lo stesso accadeva nel pomeriggio alle diciassette. Così avevo notato quando d’estate ero in vacanza in quel paese. Il ciuco ragliava per la sua richiesta di biada, ricordo che avevo notato che era sempre alle stesse ore, ma la cosa stupiva solo me!

Il Magro un tempo, molto prima della mia nascita era stato il contadino che si occupava di una tenuta di mio nonno. Era un podere di una villa distaccata dal paese, su una collina circondata da campi e con un panorama che sembrava voler far capire cosa significa l’infinito.

 All’inizio del ventesimo secolo in quei luoghi le differenze sociali stabilivano ruoli ben precisi. Un giorno il Magro mi ha raccontato dei particolari di quel tempo. Ricordava mia madre al tempo in cui era la signorina figlia del padrone. E la ricordava arrivare d’estate in quella tenuta con un calesse, vestita di bianco e con un grande cappello. La Prima, così si chiamava la moglie del Magro, preparava un letto e stendeva delle lenzuola fresche perché si potesse riposare. Si sentivano onorati della visita. Non so poi come sono andate le cose, dopo la guerra di sicuro la villa fu venduta ed io il Magro l’ho conosciuto come contadino di un altro podere sotto altri padroni, ma per mia fortuna la loro casa colonica era vicino alla nostra villa. Quando ero piccola il magro e la sua famiglia essendo vicini spesso facevano dei servizi anche per noi. I rapporti erano meno cerimoniosi, più semplici. Ogni estate quando si arrivava in vacanza, si riprendevano i rapporti. Io vivevo più nella loro aia che nel mio giardino, sicuramente con il mio carattere molto vivace ero anche invadente, ma mi hanno sempre accolto con simpatia; un giorno, avrò avuto dieci o dodici anni, il Magro era seduto sul muretto e fumava un pezzetto di sigaro toscano e io mi fermai vicino a lui mentre saltavo su e giù dal muretto. Allora mi raccontò che una volta da piccola mi aveva preso in braccio e io lo avevo bagnato con la mia pipì e che se ne era sentito onorato.

Mi parlò anche di mio nonno, diceva che era stata una brava persona, un padrone attento che ai contadini non mancasse il mangiare, ma che si arrabbiava moltissimo se vedeva del cibo sprecato. Penso che fra il Magro e mio nonno ci sia stato un buon rapporto, uno era rimasto contadino e l’altro aveva realizzato una fortuna per quanto avesse cominciato come muratore e che da piccolo mangiava solo pane e cipolla.

Nella mia adolescenza vivevo la realtà di essere figlia e nipote di padroni, ma io mi sentivo più contenta di stare nella casa di questi contadini, che nella mia.  A tutte le ore mi infilavo nella loro cucina che aveva sempre la porta aperta. Sentivo i loro discorsi, non ero curiosa e non capivo molto, non facevo troppe domande, mi contentavo di correre per i campi, di arrampicarmi sugli alberi e di godere la libertà delle vacanze in quel paese. Durante la guerra la chiesa del paese fu bombardata e per diversi anni fu la piccola scuola a fare le funzioni di chiesa. Un‘aula scolastica fu allestita nella sala della nostra casa che durante l’inverno non era abitata e fu così per diversi anni fintanto che la chiesa fu ricostruita. Quando tornavamo l’estate trovavamo la nostra casa che era fatta di mattoni rossi tutta tappezzata dei manifesti elettorali. Noi passavamo l’estate a grattarli. Così leggendo ‘ pane, lavoro, libertà, democrazia, socialismo, comunismo’ cercavo di sapere quale fosse il manifesto che dovevo rispettare, ma nessuno voleva parlarne.

In casa mi parlavano solo di religione, di andare in chiesa, di fare la comunione, di non fare peccati e dell’inferno che aspettava chi li faceva.

Non ho mai visto il Magro in chiesa e allora una volta mi trovai davanti al Magro che stava zappando nel campo. Lo salutai e lui alzò la testa e si appoggio sulla zappa. Mi venne spontaneo dirgli che mi dispiaceva che lui andasse all’inferno. Molto tranquillo rispose: “Io all’inferno? Dopo questa vita? Ma che Dio è?

Non seppi dire niente al momento, lui riprese a zappare ed io continuai a gironzolare. Questa risposta mi è tornata in mente tanto volte e in momenti particolarmente adatti.

 La cucina del magro aveva un grande camino, così grande che ci stava dentro anche una seggiolina. Mi piaceva sedermi su quella seggiolina anche se con un po’ di timore perché pensavo che quello fosse il posto del Magro. A volte la sera arrivava con una bracciata di fascine o sterpi e faceva un gran fuoco e mi aveva l’idea che lo facesse per me tanto ero incantata a guardarlo.

Il Magro sapeva il fatto suo! Un anno nel mese di luglio quando nell’aia del magro c’era un grande bica di covoni di grano che aspettava la mietitura venne un forte temporale. La pioggia sembrava un fiume che si abbatteva su tutto. La bica non era coperta ed io pensai che il grano si sarebbe rovinato. Il temporale diminuì ma pioveva ancora quando riuscii ad andare nell’aia e vidi il Magro che sulla porta di casa guardava in silenzio la pioggia e la bica. Io domandavo se il grano era a rischio e lui taceva. Quando smise di piovere il Magro si mosse verso la bica e con un gesto sicuro tirò fuori spiga, la tocco e vide che era asciutta. Non mi rispose neppure allora, non disse nulla, mi fece capire che la bica era stata fatta a dovere.

Allora non si facevano tanti complimenti, si doveva lavorare bene e basta.

Il Magro ha lavorato tanto ma non l’ho mai visto correre o affannarsi, non sapeva se c’era il paradiso e non lo cercava. Il vino che gli offrivano quando andava a trasportare legna di sicuro era il suo conforto. Mi hanno raccontato che quando era più vecchio capitava che il ciuco arrivava alla stalla da solo e il Magro arrivava quando aveva smaltito le bevute.

Il suo nome era Enrico.

Non potendo più sedermi appoggiata alla bica o al pagliaio nell’aia del Magro
ho chiesto alla mia amica Nella se me ne disegnava uno.

Da’ Cristo si è fermato ad Eboli’

Per i contadini, lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte. Non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi. I contadini non li capiscono, perché è un altro linguaggio dal loro, e non c’è davvero nessuna ragione perché li vogliano capire. La sola possibile difesa, contro lo Stato e contro la propaganda, è la rassegnazione, la stessa cupa rassegnazione, senza speranza di paradiso, che curva le loro schiene sotto i mali della natura. Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli  – Pagina 67 / 68