La via Francigena in Toscana

parsi la ripa e parsi la via schietta
… Purgatorio XIII v.8 

Attraversando la Toscana il pellegrino incontra città, luoghi e strade ricche di storia e di storie di pellegrinaggio; testimoni della vita passata ne conservano la ricchezza e sono ancora presenti per le esperienze di oggi e del futuro

Hoc Tempore monasterium Benedicti
a Longobardis destructum est

BERCETO

Il pellegrino che vuole andare a Roma, volendo privilegiare la Toscana, può prendere come tappa di partenza Berceto. Facilmente raggiungibile con il treno, sulla linea Parma-Genova, può consentire di arrivare al mattino del giorno stesso dell’inizio del viaggio; altrimenti arrivando alla sera potrà chiedere accoglienza al convento dei Padri Cappuccini, che di pellegrini ne ha visti tanti e che certamente continuerà ancora ad ospitare.
Infatti, come racconta facilmente il cartello ‘Punto Tappa’ che si trova di fronte all’Ufficio Turistico, questo è uno dei luoghi registrati e menzionati in molti famosi pellegrinaggi, il primo dei quali, non certo in ordine di tempo, per quanto antico, quello del vescovo di Canterbury, il famoso Sigerico. Questi che, come successore nella sede di Londra ad Edelgardo, si recò a Roma per ricevere il ‘pallio’ dal papa, ebbe la cura di raccontare il suo viaggio di ritorno e di lasciare quindi come un itinerario indicato. Il ” pallio “, era la bianca stola riservata ai Pontefici e ai Vescovi metropoliti, che conferiva l’autorità sugli altri Vescovi inglesi..
Oggi molte ricerche sono state fatte per appurare da dove veramente sia passato questo vescovo, e ne sono risultate opinioni diverse nonostante le testimonianze siano chiare, ma poiché una strada è sacra non solo perché è stata percorsa da un vescovo, che prima e dopo di lui soldati, commercianti e briganti l’hanno pure spianata con buone e cattive opere, noi tracceremo un percorso che ai giorni d’oggi possa risultare il migliore per raggiungere Roma, e fare il nostro pellegrinaggio prendendo come sacra per prima cosa la nostra intenzione e per secondo il desiderio di ammirare e poi conoscere e approfondire la storia di questi luoghi: il territorio toscano è talmente ricco di documenti e di bellezze da meritare di percorrerla e non solo da pellegrino.
Partendo da Berceto il pellegrino si troverà alla Cattedrale, dove potrà timbrare la sua credenziale, e nella visita a questo bellissimo duomo può avvalersi anche di un’altra forma di investitura: sul portale laterale due cariatidi del 1198 rappresentano i Santi Pietro e Paolo e in quelle si può riconoscere l’indicazione e l’invito al pellegrinaggio. Inizio perfetto, dunque!
Ma,guardando bene,si può trovare un altro simbolo importante: una cariatide nel Portale del Duomo, una scultura pre-antelemica, attribuita al secolo dodicesimo, raffigura ‘La Fatica ‘; il pellegrino la potrà guardare per trarne la forza e l’incoraggiamento che gli saranno necessari per i momenti di crisi che incontrerà nella sua strada, e poiché è anche molto bella, l’efficacia è assicurata.
Il pellegrinaggio inizia con facilità, il percorso è ben segnalato dalle frecce e arriva a Pontremoli, che potrebbe essere la prima tappa, senza presentare alcuna difficoltà.
A metà strada circa, il pellegrino arriva al Passo della Cisa, e come è ben indicato da un cartello dell’ANAS, il suo cammino adesso è ufficialmente nella regione Toscana.
Al passo, poco frequentato da quando l’autostrada ha sostituito questa antica via, c’è un ottimo punto di ristoro, un bar che vende anche prodotti locali, miele, biscotti, formaggio; c’è la chiesetta (00030 )in cima ad una scalinata, come è giusto sia in un punto saliente del territorio quale è quello di un confine e un paio di negozi per turisti, che a volte il pellegrino si fa turista e anche altre il turista può diventare pellegrino.
Il passaggio antico della via Romea era nelle vicinanze, in un punto a1039 m. di altitudine chiamato semplicemente Monte. Questo valico naturale è quello che nel medioevo è stato maggiormente frequentato per entrare in Toscana ed ha continuato ad esserlo per molti secolo, essendo un transito relativamente agevole non solo a piedi ma anche per gli animali da sella e da soma.
Superato il passo la strada giunge a Montelungo Mons Langobardorum località antichissima, luogo certo di accoglienza di pellegrini dato che al tempo vi era un monastero dedicato a San Benedetto direttamente dipendente dalla Abbazia di Bobbio, altro luogo di accoglienza che il pellegrino potrebbe aver trovato se il suo pellegrinaggio fosse cominciato più a nord.
Forse questo è il monastero di cui si parla in Cronache Anglosassoni “Hoc Tempore ( 596 ) monasterium Benedicti a Longobardis destructum est “.
Fra il 900 e il 904, il vescovo di Canterbury, Sigerico, dopo il suo viaggio a Roma lascia notizia dei luoghi dove fa sosta. Questa è la sua trentaduesima tappa: Sce Benedicte XXXII
Dopo di lui, circa l’anno 1154 un altro prelato in pellegrinaggio a Roma proveniente dall’Islanda, l’abate Nikulas di Munkathvera ha attraversato il Monte Bardone e lo segnala come ‘Mumbard‘.
Verso la Francia, Filippo Augusto nell’anno 1191 ritornando dalla terza crociata e passando per ‘Punt-Tremble et per Munt-Bardum ‘precisa che ‘ibi deficit Tuscana et incipit Italia’.
E molti altri prima e dopo di loro, lasciando testimonianze e non, hanno mantenuto questa strada viva arricchendola di storia e di tradizioni che faranno compagnia al pellegrino più solitario.
Il fiume Magra segna la strada e accompagna il pellegrino fino alla sua foce presso Santo Stefano.

Pons Tremulus

PONTREMOLI

Tranquilla cittadina al centro della Lunigiana, sensibile e attiva alla vita culturale attuale e alla sua tradizione di luogo di passaggio della via francigena , è infatti la Puntremel XXXI di Sigerico.
E’situata sulla linea ferroviaria Parma – Genova, e la stazione si trova nelle strette vicinanze del centro storico. Si ritiene che il nome suo derivi da un antico ponte di legno ‘Pons Tremulus’ che per quanto traballanteconsentiva di passare il fiume. Ricca di storia da quando fu eretta da re Enzo di Svezia nel 1247, Pontremoli ha saputo proteggere la sua posizione strategica con un sistema di difesa basato sullo sfruttamento delle barriere naturali, e della confluenza dei corsi d’acqua, il fiume Verde e il Magra, e di una studiata forma di sbarramenti. La sua struttura allungata parte da Porta a Parma, attraversa le due piazze centrali separate dalla Torre del Campanone punto in cui nel 1322 Castruccio Castracani fece funzionare lo sbarramento per mantenere divisa nella città e impedire gli scontri fra le due fazioni di Guelfi e Ghibellini.
Si racconta di un altro sistema di difesa un po’ particolare ma di sicuro effetto per quei soggetti sensibili a queste esigenze: in una iscrizione su una campana nella Chiesa di San Francesco, fusa da un certo Ilario nel 1313, si afferma che i suoi rintocchi hanno il potere di scacciare gli spiriti maligni. In quei tempi questi accorgimenti erano sempre molto apprezzati.
Sempre in Lunigiana, un’altra campana, un’altra chiesa, San Cristoforo ha una iscrizione “MCCCIII , ne mentes ledant, fantasmata cuncta recedano”, e anche l’idea di scacciare i fantasmi in una valle piuttosto solitaria aveva il suo buon effetto rassicurante.
Si chiama Cresa il più antico dei ponti di Pontremoli, fatto a schiena d’asino come tanti ponti che certamente il pellegrino ha già incontrato non solo in Italia, ed è sul fiume Verde nella parte alta della città;mentre il ponte Stemma o Busticca si trova in basso in prossimità dell’incontro con il fiume Magra.
Nella Rocca- museo, Castello del Piagnaro, sono raccolte lastre di pietra o stele funerarie con scolpite sembianze umane stilizzate, forse figure di guerrieri celtici che sono state trovate in diversi luoghi della Lunigiana: interessanti reperti di storia ancor più antica di quella del pellegrinaggio.
La salita al castello è ben compensata anche da un bellissimo panorama, inoltre poco più avanti dell’ingresso si può incontrare la chiesetta di Sant’Ilario la cui facciata è del secolo scorso, ma la sua zona presbiteriale presenta un abside semicircolare che rivela un’altra eleganza e altre origini, forse il luogo di accoglienza per i pellegrini. Da quel punto infatti, parte verso il nord un altro sentiero, un altro dei tanti rami della via francigena forse anche più antico di quello percorso dal pellegrino, e collega il paese a Borgo Taro.
Di impianto medioevale del quale è rimasto molto poco è il convento di San Francesco che la tradizione vuole sia stato costruito dopo il passaggio del Santo nel 1219.
Vicino alla porta a Parma c’è la chiesa romanica di San Giorgio le cui origini vanno fatte risalire al X secolo. Ricordiamo ancora la chiesa di San Giacomo di Altopascio, ora sede di una scuola, che fu costruita nel 1508 sul luogo dove sorgeva un antico ospedale, anche il suo nome ne sembra testimonianza.
E’ stato scritto che il Barbarossa mostrava al figlio la città di Pontremoli come la chiave dell’entrata in Toscana.
Nel suo passaggio se il pellegrino avesse la fortuna di arrivare nel giorno di precetto, nella chiesa di San Pietro, aperta per la funzione religiosa, potrebbe ammirare in un bellissimo bassorilievo la rappresentazione del ‘labirinto’, diffuso simbolo, presente sulle strade di pellegrinaggio che vuole indicare tutto ciò che può nascondere o indicare un labirinto, forse anche la difficile ricerca di un percorso sia fisico che spirituale.

Gli occhi storti

PIEVE DI SORANO

La Pieve di Sorano, nel comune di Filattiera, il pellegrino la incontra sul suo percorso, poco dopo aver lasciato Pontremoli, nel fondovalle, sulla sponda sinistra del fiume Magra; ma la può raggiungere facilmente anche il visitatore-turista che la ritrova sulla statale 62 della Cisa al Km 30 o fermandosi alla stazione ferroviaria di Filattiera, della linea Parma – La Spezia.
La chiesa è stata restaurata di recente salvaguardando così un luogo testimone di lunga e preziosa storia della quale sono stati trovati reperti importanti in tutta la zona circostante. Il territorio risulta che fosse già popolato all’età del rame, e conserva resti romani del terzo secolo dopo Cristo; come tutto il territorio di Luni di cui fa parte la sua vita passa periodi e vicende di alterna fortuna.
Si suppone che la costruzione primitiva della chiesa sia avvenuta in tempi di relativa tranquillità e sicurezza quando il territorio lunense era sotto il dominio bizantino. Fu intitolata a Santo Stefano, primo martire cristiano, ma il preesistente edificio su cui è stata posta era di culto pagano.
La prima notizia della ‘ plebs de Sorano'” si trova in una bolla con data 11 novembre 1148 nella quale viene rinnovato il possesso della pieve al vescovo di Luni. A quella data la chiesa era già con l’attuale struttura sia nell’aspetto che nelle dimensioni, ma più volte, nel trascorrere dei secoli rischiò la totale distruzione. Un’ancora di salvezza possiamo dire che fu nel cimitero attiguo per il quale la struttura continuò ad essere utilizzata; le famiglie più importanti della zona crearono delle cappelle private all’interno della chiesa stessa e prendendosene cura contribuirono a salvarla dall’abbandono totale.
A restauri ultimati Don Antonio, parroco di Filattiera ha voluto verificare la veridicità del un racconto popolare che dice che la pieve ha gli occhi storti: infatti nei giorni di solstizio e di equinozio la luce del sole entra rispettivamente a dicembre dalla monofora di destra, a marzo da quella centrale e a giugno da quella di sinistra. I suoi costruttori vollero strutturarla in modo che potesse dare alla popolazione il segnale del passaggio delle stagioni, calcolando così anche le date liturgiche come la Pasqua che da quelle vengono stabilite. Queste particolari progettazioni sono frequenti nelle antiche costruzioni, il pellegrino sul Cammino di Santiago che ha fatto tappa a S. Juan De Ortega ha già sentito una storia simile e sarà contento di ascoltare anche questa.

fylaktericon

FILATTIERA

Al km 31 della statale della Cisa si trova questo paese, che ha il suo nucleo più antico nella zona più elevata: lì una torre rotonda testimonia il passato bizantino e l’origine del suo nome.

Nella chiesa, S. Maria in Filattiera, è conservato un battistero in marmo bianco, opera realizzata nel 1605, con un bellissimo basamento che riporta sculture e il giglio fiorentino; proviene dalla Pieve di Sorano che in quel periodo era quasi totalmente abbandonata, per cui la cura parrochialis cercò di raccogliere gli arredi che si erano salvati e di portarli entro le mura.
Della stessa provenienza è una statua in marmo bianco alta più di un metro di un S. Giacomo.
Molto più importante invece per quanto riguarda la testimonianza del passaggio dei pellegrini in questa zona è una lapide conservata nella chiesa di San Giorgio. L’iscrizione ricorda un certo Leodgar morto nel 752, un missionario che oltre ad aver creato un posto di l’accoglienza e l’assistenza ai pellegrini ebbe il merito di aver convertito al cristianesimo molti abitanti della valle ‘spezzando gli idoli pagani ‘. Ma un altro testimone a ricordarci il mondo dei pellegrini è un piccolo bassorilievo di San Giacomo che incontriamo attraversando il paese sopra la porta di una casa che è stata a suo tempo un ospitale poi un asilo e adesso è una casa privata. Il proprietario ne ha grande rispetto e cura.
Il paese ha anche una sua antica e particolare tradizione che si svolge ogni anno per la festa di San Antonio: un grande falò viene acceso nella piazza e gli abitanti si cimentano nel portarsi via un tizzone, che sarà la loro protezione da tutti i malanni.

come selva oscura

FILETTO

Il pellegrino che entra qui anche senza chiudere gli occhi si può sentire trasportato in quel tempo lontano quando questo borgo fortificato di fondovalle era nella sua piena attività. Si guarda intorno e potrebbe credere di essere entrato in un film; manca la musica di fondo ma lui ormai è abituato al silenzio. Questo è uno di quei borghi murati nati in ragione alla lotta fra l’esercito bizantino ed i longobardi che nel periodo dei secoli VI e VII invasero la Lunigiana e ne ha mantenuto tutto l’aspetto. Nella grande piazza dove il pellegrino trova una fontana (incontro oggi sempre più raro)
si può individuare la matrice del borgo, un quadrilatero a misura di sessanta metri con un’ unica possibilità di accesso. Nel medioevo, dal lato di ponente si ebbe una espansione successiva, pur mantenendo il disegno del quadrilatero e si formarono quelle strette vie interne, caratteristiche dei centri storici lunigianesi, i cosiddetti borghi voltati. Nel secolo XVI si ampliarono le mura anche verso oriente e vennero erette due monumentali porte. Una ristrutturazione definitiva avvenne alle fine di quel secolo con i nuovi proprietari, i Marchesi Ariberti di Cremona che costruirono il loro palazzo e il convento dei frati ospitaleri di San Giovanni di Dio.
Ogni anno in agosto viene fatta una rievocazione medievale con figuranti in costume e con le botteghe e i banchi all’aperto che mostrano le antiche attività artigianali, sicuramente in questa cornice l’effetto deve essere molto suggestivo.

Franca: libera da vincoli feudali

VILLAFRANCA DI LUNIGIANA

Villafranca Lunigiana è un borgo medioevale sorto sul tracciato della via Romea che passava proprio dalla piazza del mercato. Restano tracce apprezzabili del tessuto edilizio originario e delle mura del castello malaspiniano di Malnido. Di questo castello, era un castrum cum curia, si conosce la presenza dal 1100 e il suo nome probabilmente deriva dalla esosa pretesa che il proprietario del castello esercitava per la richiesta del pedaggio. Il punto cardine dove si poteva fare il blocco dei passanti, fra i quali c’erano anche i pellegrini, era il ponte romano che superava il fiume Bagnone dove si incontra con il Magra. Vicino al ponte la chiesa di San Giovanni Battista oggi nasconde nella sua attuale struttura quello che era stato l’edificio trecentesco.
Ma la nascita del borgo nell’alto medioevo sembra sia dovuta al repentino aumento della popolazione richiamata da una devozione verso la pieve dedicata a San Cassiano.
Ma tutta la zona intorno a Villafranca è testimone di un passato ricco e importante come dimostrano borghi, rocche resti di castelli. Uno di questi, a Malgrate ha l’orgoglio di mostrare una torre medioevale stimata fra le più belle d’Italia. E’ stato ipotizzato che il nome della zona derivi dalla presenza di tante proprietà e signorie diverse ma tutte libere da vincoli feudali.
Certamente molto interessante sarebbe la visita al Museo Etnografico della Lunigiana, e anche interessanti oltre che belle si possono ammirare nella Chiesa di San Francesco le grandi opere in terracotta di scuola robbiana. Ricordiamo anche la chiesa di San Nicolò, con vicino l’ospedale di S. Antonio Abate e il bellissimo campanile.
Al pellegrino ora si presenta, ma in questo caso dovrebbe guadare il Magra, una alternativa che ha una rilevanza storica: potrebbe prendere la strada che porta alla Chiesaccia, dove nel IX secolo esisteva un ospizio annesso alla chiesa di Santa Maria di Arbaritulo, luogo citato d’abate Nikulas.
Proseguendo per quel lato, in prossimità di Fornoli, si trovava S.Maria di Groppofosco con cappella e hospitale, altro luogo di sosta e assistenza per pellegrini e viandanti vicino al guado che traghettava sulla sponda destra del fiume.

VIII, 115 Purgatorio “se novella vera
di Val di Magra o do parte vicina
sa, dillo a me, che già grande là era.

LUSUOLO

Attraversando il ponte Romano si arriva a questo castello, uno dei tanti dei Malaspina nella Lunigiana, su un modesto rilievo, a picco sul fiume Magra. E’ una struttura molto importante di epoca altomedievale, nato a difesa dell’abitato e della viabilità. L’edificio fu distrutto nel XV secolo e riedificato in quello dopo. Si entra da un portone gelosamente custodito da un chiave che sembra dell’epoca e ci si trova in un cortile a forma trapezoidale con il pozzo al centro. Le strutture verticali sono realizzate in pietra macigno di fiume; tante parti attendono ancora una ristrutturazione ma è già stato preso un buon impegno per il futuro. All’interno è stato creato il Museo dell’emigrazione della gente di Toscana, visitabile con appuntamento.
Il castello ha una ottima potenzialità di sfruttamento anche per quanto riguarda la possibilità di creare una accoglienza per i pellegrini e rimaniamo fiduciosi.
A fianco del castello scorre il paese attraversando il quale il pellegrino, se è un pellegrino di lungo raggio, potrà ricordare attraversamenti analoghi di altri paesi, con le loro porte di entrata e uscita che fanno sentire chi le attraversa di essere elemento di un’unica appartenenza.

Tragge Marte vapor di Val di Magra
Inf: 24 – 145

AULLA

Alla confluenza del fiume Magra con il torrente Aulella, sulla statale 63, con una importante stazione ferroviaria, è facilmente raggiungibile Aulla.
Il pellegrino la può individuare per la mole quadrata della Rocca detta ‘La Brunella ‘e a sua volta essere avvistato che fin dal secolo XVI è lì a controllare l’entrata nel paese.
Aulla è stato un territorio conteso fra i vescovi di Luni e i Malaspina
Risale al 884 la fondazione dell’Abbazia di San Caprasio, che fu voluta dal marchese Adalberto figlio del conte di Lucca. Della antica costruzione non rimane nulla, perché fu riedificata nell’XI secolo con un impianto da basilica, ma poiché anche di questa rimangono solo alcuni elementi esterni, alla chiesa che oggi possiamo visitare rimane solo l’eco delle sue preziose origini.
Questo è il luogo trentesimo, la Aguilla XXX del viaggio di Sigerico.
Poco più a sud c’è il borgo di Bibula con una particolare struttura a chiocciola e i resti di un possente castello edificati in epoca medioevale su una precedente base romanica.

un cammino raggiunge la sua meta

SANTO STEFANO DI MAGRA

Questo comune che attualmente è della provincia di La Spezia, appartenne nel passato più lontano a Luni , poi a Genova , Milano e nel diciannovesimo secolo anche a Massa- Carrara; è un centro di comunicazione importante come lo era al tempo dell’alto medioevo. Infatti già nel 981 Ottone II lo dichiarò con un diploma sede di mercato e Federico I nel 1185 più specificatamente:burgum cum mercatu, banno iustitia distictu piscationibus. Nel 1468 Santo Stefano viene riconosciuto come borgo fortificato e baluardo importante su di un guado sul fiume Magra
Su una piccola altura il pellegrino può ricordare lo stadio successivo di Sigerico, Sce Stephane XXIX ,ma guardandosi intorno troverà che tutto questo territorio è ricco di architetture storiche.
Il villaggio conserva tratti delle sue mura medioevali, e il Castello che fu dei Malaspina e dei vescovi di Luni, oggi trasformato in una scuola, speriamo così protetto dal mondo della cultura. La chiesa dedicata a Santo Stefano ha le sue fondamenta sulla pieve medioevale.
Il paese non è solo il punto di incontro dei pellegrini che provenivano dal percorso di valle e da quello di monte ma ha anche avuto presso Bocca di Magra un porto, San Maurizio, dal quale partivano via mare verso quelli che volevano raggiungere la Spagna e la Galizia.
Qui il pellegrino lascia il fiume Magra, questo fiume nato nell’Appennino Tosco Emiliano in una faggeta nel massiccio del Borgognone a 1166 metri di altezza fa parte della nostra storia.
E’ stato importante dai tempi lontani dei primi pellegrini che potevano servirsi delle acque ma altrettanto temuto e affrontato, a volte con coraggio e rischio, per il suo attraversamento; è famoso il guado presso Caprigliola che nel trecento vide annegare un notevole numero di pellegrini.
Diverso dai tipici torrenti della Liguria che hanno un corso breve e rapido, questo per la sua ampiezza scorre lento e per lungo tratto, da ciò il nome (cfr. greco macros lungo e latino macer), lungo 63 chilometri attraversa la Lunigiana fino ad raggiungere il mar ligure.
Nei secoli passati il fiume ha mutato più volte il suo corso basso, nel medioevo passava molto più vicino a Sarzana e ancor prima era la linea di demarcazione fra l’Italia e la Gallia.
Adesso il fiume è prossimo alla meta, l’estuario è vicino mentre il pellegrino continua la sua strada.

…vedesi la piccola chiesa, e lo spedale di S.Bartolomeo,
istituito anticamente per albergo de’ poveri e de’ pellegrini
Targioni Tozzetti- 
da Ennio Callegari : Sarzana

SARZANA

Ci avviciniamo al mare e la via di Monte Bardone si immette nella via Aurelia nei pressi di Sarzana. Questa bella cittadina era anticamente una pieve rurale e deve il suo sviluppo alla decadenza di Luni. Infatti nel 1204 i Vescovi di Luni dovendo allontanarsi dal loro territorio perché era diventato malsano, vi trasferirono la loro sede portandosi dietro le loro preziose reliquie e il crocifisso di Maestro Guglielmo, collocandole nella Pieve di Sant’ Andrea. Questo crocifisso dipinto su una tela e applicato su una tavola era del 1138, ed è particolarmente importante in quanto risulta essere il più antico esemplare di pittura eseguita in questo modo.
La cattedrale è stata costruita intorno al 1300. Ha una facciata rivestita di marmo bianco di stile romanico – gotico, con un campanile ornato di bifore, trifore e quadriforme, costruito più tardi e terminato nel 1432. All’interno fra le altre opere è conservata l’opera di Domenico Fiasella ‘La gloria del preziosissimo Sangue, nella cappella delle reliquie. Dietro questa tela c’è l’ampolla che, secondo la tradizione, contiene alcuni grumi di sangue di Gesù.
I vescovi provenienti da Luni ebbero un ruolo rilevante su questo territorio ed esercitarono il loro dominio per oltre un secolo; in seguito per il possesso della città nacquero molte contese, tra Pisa e Lucca, Firenze e Milano e infine Sarzana diventò della Repubblica di Genova nel 1572, e tuttora è una provincia ligure. La città conserva la cinta muraria genovese con la Porta Nuova e un fortilizio, La Cittadella, costruita su una vecchia fortezza già esistente, per volere di Lorenzo il Magnifico al suo arrivo in città nel 1487. Ma da una posizione dominante la città, fuori dal centro urbano, è la fortezza di Sarzanello, voluta invece da Castruccio Castracani nel 1322, immagine cara agli abitanti come documento di un passato grandioso.
Ma a questo punto il pellegrino può avere altri incontri. Se ha intrapreso il viaggio da solo, non disdegnerà di poter trovare un compagno di strada anche solo per condividere qualche tratto.
Dalla costa arrivano i pellegrini che percorrono la via Tolesana; i pellegrini che vengono da Santiago di Compostela, dalla devozione all’apostolo Giacomo la cui tomba è stata trovata intorno all’anno mille nel luogo dove è stata poi costruita la grande cattedrale. Non tutti i pellegrini possono soddisfare il desiderio di raggiungere tutte le mete di pellegrinaggio, pertanto questi incontri sono di grande interesse e costituiscono una ricca fonte di informazioni sui luoghi di culto. L’incontro fra pellegrini è una delle cose più preziose di un pellegrinaggio, tante persone di cui a volte non si ricorda il nome o il volto ( oggi facciamo però molto uso delle macchine fotografiche ) hanno la capacità di entrare dentro le proprie emozioni e di rimanervi per sempre: sarà bello incontrare anche qui il pellegrino con cui unirsi nel cammino in Toscana alla volta di Roma.
Questi pellegrini provenienti da paesi diversi spesso in Toscana venivano chiamati ‘Scotti’, come se tutti fossero provenienti dalla Scozia. Fu chiamato ‘Scotto’ San Terenzo che ha dato il nome al porto ligure in queste vicinanze e anche lo furono San Bianco e San Pellegrino dei quali si racconta che arrivarono come pellegrini e vissero entrambi come eremiti trovando alloggio nel tronco di un faggio sull’Alpe di San Pellegrino.

Se tu riguardi Luni…
… le cittadi termine hanno
Paradiso XVI 73-79

LUNI

Luni fu fondata dai Romani nel 177 avanti Cristo. Il suo territorio aveva la forma di una falce e si è fatta supposizione che il nome derivi da questa forma che evoca la luna e dalla sua dedizione alla
dea pagana. Grande importanza ha avuto a quel tempo e si racconta che dal mare si vedevano le bianche mura. Nel 642 l’occupazione da parte dei Longobardi ne provocò la prima distruzione.
Ai tempi dei nostri antichi pellegrini Luni era ancora situata sul mare; è il porto più antico della zona, prima ligure, poi romano. La città ha testimonianze di un ruolo molto importante ma oggi ne restano soltanto le rovine sulla riva sinistra del fiume Magra nel comune di Ortonovo.
Sull’antico luogo c’è il museo Archeologico che è stato inaugurato nel 1964 per poter ospitare la grande quantità di reperti ottenuti dai vari scavi. Si possono osservare i resti dei selciati, le strade principali, parte dei granai, la parte inferiore dell’anfiteatro del primo secolo e tracce del porto. Gli scavi archeologici intensificati negli ultimi anni raccontano il suo impianto castrense con decumano massimo costituito dalla via Aurelia e il cardo massimo che collegava il foro alla zona del porto. Sul foro erano i prospetti degli edifici pubblici e religiosi come il Capitolium di cui restano frammenti delle decorazioni e delle sculture di stile neoattico datato intorno al II sec a.C.
La data dell’Anfiteatro è del periodo degli Antonini. Da un tempio del II secolo a. C. abbiamo un frammento della decorazione frontonale, delle terrecotte figurate, che sono conservate al Museo Archeologico di Firenze. Del periodo medioevale è testimonianza la cripta di San Marco dell’VIII e IX sec., e il campanile e una parte dell’abside della cattedrale di San Marco .
Questa zona già abitata sin dal paleolitico fu abitata dagli etruschi ed è nel 177 a. C. che diviene colonia Romana. Nel periodo bizantino divenne sede vescovile. Nel 1058 la popolazione di Luni si trasferì a Sarzana, per la diffusione della malaria e la base navale si spostò a Porto Venere.
Qui si fermò Sigerico, Luna XXVIII, ed ai suoi tempi visitò la basilica paleocristiana del V secolo, in seguito distrutta. La testimonianza dell”abate Nikulas dice c’è una giornata di cammino per arrivare a Lucca e che è il luogo che collega con gli itinerari per Santiago di Compostela.
Filippo Augusto arrivò qui probabilmente passando per la bellissima Garfagnana, anch’essa ricca di pievi antichissime e il suo tragitto arriva alla volta di Lune maledictam civitatem episcopalem et per Sanctam Mariam de Sardina (Sarzana).
Camminando per queste strade il pellegrino si renderà conto di un altro effetto, qui anche la natura ha cercato un suo grado di santità affidandosi al bianco immacolato ed eterno che spunta dalle sue Alpi ricche di marmo. Dall’antico porto di Luni partivano le navi cariche di quel marmo che come pellegrino aveva la meta di andare a impreziosire importanti chiese e palazzi lussuosi per la gloria del potere divino e terreno.
Qui è stato e qui soggiornò a lungo un personaggio per scegliere i pezzi di marmo più belli dal Monte Altissimo che torreggia sopra Serravezza: Michelangelo rese grande omaggio alle meraviglie della natura con la meraviglia dei suoi capolavori.

‘ i blocchi erano fatti scendere
su legni insaponati, frenati
dai aizzatori con grandi canapi ‘

CARRARA

E’ la città alla quale è passato il ruolo della esportazione del marmo.
Il nome di Carrara si trova nell’atto di donazione delle terre fatta da Ottone I al vescovo di Luni nel maggio del 963; nel 1261 si eresse a libero comune e in seguito dipese da varie signorie. Si ritiene che strada per carri sia l’origine del suo nome o anche da pietra o ancora da cave. La sua posizione ai piedi dell’Alpe Apuane, in prossimità del torrente Carriola offre la possibilità d’escursioni alle cave di Ravacchione e Fantiscritti, il pellegrino potrebbe essere interessato a sapere qualcosa di più del marmo, della sua estrazione e dei metodi di lavorazione. Nel 1982 è stato creato un museo del marmo che contiene importanti reperti archeologici, e presenta le macchine specializzate alla lavorazione e la storia del territorio e delle cave.
Ci sono interessanti racconti su gli eccezionali trasporti di eccezionali volumi destinati ad altrettanti eccezionali opere.
Il Duomo della città è di stile romanico- gotico, fu iniziato nell’XI sec, ma occorsero due secoli per portarlo a termine e quindi può mostrare le diverse influenze che agirono sulla sua costruzione nel trascorrere del tempo: un misto tra lo stile romanico e il gotico pisano. Il rivestimento della facciata è caratteristico, è a bande di marmo bianche e grigie, ha un ricco rosone gotico entro una cornice quadrata a cassettoni; notevole anche il portale romanico sul fianco destro. L’interno è arricchito di importante statue di marmo.
Nelle vicinanze sempre sulla via Francigena c’è Avenza un antico borgo medioevale della cui fortezza resta la torre.

Massa prope Frigido

MASSA

La via Francigena arriva a Massa seguendo la Via Aurelia, all’uscita del torrente Frigido nella piana lunense o versigliese.
Il racconto del viaggio di Sigerico passa da questa strada e quindi a pochi chilometri da questa città che a quel tempo era costituita solo da un piccolo insediamento contadino.
Di questo luogo esiste una citazione ancora più antica “ubi dicitur Massa prope Frigido” che segnala la sua esistenza già nell’anno 882.
Lungo il torrente Frigido si trovano segni della via consolare romana che univa Pisa a Luni.
Nel secolo X questa città appartiene al vescovo di Luni e nell’XI è feudo dei Marchesi Ottolenghi che costruiscono in posizione elevata la Rocca Castello Malaspina che tuttora continua a dominare la città.
La città di Massa oggi si sviluppa su una fascia ristretta di territorio pianeggiante che ricopre un’area di circa 94 Kmq., una bella zona incorniciata da montagne ripide e rocciose.
Viene citata nella “Tabula Peuntingeriana”, una rappresentazione redatta tra il II ed il IV secolo d.C. nella quale sono descritti gli itinerari terrestri dell’epoca.
Sulla Piazza Aranci si affaccia e ne occupa un intero lato il Palazzo ducale Cybo Malaspina il cui nucleo originario è del 1500. La parte più imponente dell’edificio venne realizzata da Carlo I ed e’ costituita dal Salone degli Svizzeri e dalla Cappella Ducale, della cui originaria ricchezza restano soltanto i soffitti affrescati da Carlo Pellegrini ed un’ancona marmorea di pregevolissima fattura che costituisce la pala d’altare.
La cattedrale è dedicata ai Santi Pietro e Francesco d’Assisi, in origine era una chiesa conventuale, ma poi Jacopo Malaspina nel XV secolo ne volle una costruzione più importante.
Con la sua bella facciata in marmo Bianco ha dal 1936 l’aspetto attuale. All’interno si trovano molte opere di pregio e nel vicino Museo Diocesiano di Arte Sacra ancora oggetti di notevole bellezza. E’ conservato anche un crocifisso che si racconta sia stato trovato al Porto di Luni e messo su un carro di buoi sia arrivato spontaneamente alla città.
Una leggenda analoga, più famosa, forse la stessa, il pellegrino la troverà nel duomo di Lucca.
Alla periferia della città si trova S. Leonardo al Frigido ed è quanto resta di un antico insediamento sorto probabilmente su una mansio romana al servizio di quelli che transitavano lungo la Via Aemilia Scauri che, oltrepassato il fiume Frigido, si dirigeva a Luni.
L’edifico in epoca medievale aprì uno spedale per ospitare i viandanti. E’ un edificio in stile romanico formato da un unico vano; il coro poggia su una struttura semicircolare che potrebbe essere il basamento della antica abside. E’ stato completamente ristrutturato nel dopoguerra; e il portale originario, opera del Beduino, è stato asportato forse nel dopoguerra ed oggi si trova al Metropolitan Museum di New.York. Di notevole interesse storico ed architettonico sono inoltre le pievi di S.Vitale a Mirteto e di S.Gimignano ad Antona altre superstiti testimonianze della religiosita’ medievale.
La devozione a San Leonardo non è molto diffusa e forse può qui rappresentare un culto portato proprio da pellegrini. La sua leggenda racconta che Leonardo nacque in Gallia sotto Atanasio, l’imperatore d’oriente che regnò dal 491 al 518. Fu al seguito di San Remigio e si dedicò alla liberazione di prigionieri e carcerati. Ebbe fama di uomo santo e pio e rifiutò gli onori vescovili che il re voleva dargli. A lui si attribuirono molti miracoli e la sua fama si diffuse in Aquitania, in Inghilterra e in Germania. Nacque il Saint Leonard de Noblat, dove morì e attorno al suo sepolcro affluirono molti pellegrini che con le loro offerte contribuirono alla formazione di una grande comunità religiosa.
Tre Santuari esistono a Massa: quello dedicato alla B.V. dei Quercioli (1835) quello della Madonna degli Uliveti (dove si conserva una statua lignea di Jacopo della Quercia) quello di Nostra Signora della Misericordia, costruito nella meta’ del ‘600, su disegno dell’architetto Raffaele Locci, di gradevole ed originale impianto. Al suo interno sono presenti opere di pregio: dall’altare di G.F. Bergamini, alle tele del Cigoli e del Fiasella, che documentano la particolare predilezione dei Cybo nei confronti di questa Chiesa.

Partendo da Massa dopo pochi chilometri la vista ci presenta il paese di Montignoso , sopra il quale si trova il CASTELLO AGHINOLFI.
Dal 1998 sono iniziati i lavori per renderlo visitabile e per conservare testimonianza della sua importante storia.
Le sue prime notizie risalgono all’anno 753. Il castello era una fortificazione preziosa per tutta la popolazione per la quale rappresentava anche una possibilità di rifugio in caso di pericolo.
I discendenti di Aghinolfo rimasero in possesso della roccaforte fino al 1376, poi il castello passò alla repubblica Lucchese, che lo mantennero e conservarono come avamposto militare.
Nel 1494 fu ceduto al re di Francia Carlo VIII, e anche nelle sue successive appartenenze sembra che il castello non abbia mai sofferto una espugnazione.
Nell’ Aprile del 2001 il Castello è stato riconsegnato alla comunità locale e ai visitatori .
Per arrivare alla prossima tappa il percorso prosegue in discesa attraversando piccole frazioni di come Casone Strettoia e Pescarella, su una strada asfaltata ma con poco traffico; la zona collinare che la sovrasta è detta Metati Rossi., dopo un tratto breve sull’argine del fiume Versilia si entra in Pietrsanta, direttamente.

Città ideale del mondo medioevale

PIETRASANTA

Si arriva in città percorrendo un breve tratto sull’argine del fiume Versilia. Porta questo nome tutta la zona compresa dal crinale delle Alpi Apuane e la linea costiera sono i confini naturali
Il crinale delle Alpi Apuane e la linea costiera sono i confini naturali di una zona che venne denominata Versilia. Questa piccola striscia di territorio, così segnata da confini naturali è stata nel tempo il passaggio preferito per chi venendo dal nord doveva scendere lungo la costa o nella toscana interna.
Il pellegrino che arriva a Pietrasanta ( si raggiunge con facilità sia con l’autostrada che con il treno) avrà piacere di sapere quando comincia ad essere ricca di storia e di notizie questa zona.
La conquista romana della zona inizia nel terzo secolo a.C. e porta l’assetto delle grandi arterie stradali, a volte su percorsi preesistenti altre tracciate ex novo. L’asse tirrenico che nel 241 a.C. raggiunge forum Aurelii (Montaldo di Castro ), nell’anno 19 si estende fino al Portus Pisanus, e successivamente nel 170 Luni e Lucca sono collegate a Fiesole e così a Roma tramite la consolare che prenderà il nome di Via Cassia.
Il quarto secolo con la crisi dell’impero romano d’occidente fra i tanti cambiamenti cambia anche il percorso che unisce la Francia a Roma e in questa zona lascia la direzione di Pisa per preferire l’antica Cassia che attraversa Lucca. La strada assume un diverso nome a seconda del senso di percorrenza: è Francigena per chi va al nord ed è Romea per i pellegrini che, andando alla tomba del primo papa, fanno tappa al Volto Santo. I vescovi lucchesi che erano impegnati nella conversione al Cristianesimo danno molto importanza alla Via Francigena, la presidiano e fondando piccole frazioni amministrative della diocesi: le più antiche pievi documentate sono Sant’Ambrogio di Elici, Santo Stefano di Vallecchia, Santa Felicita di Valdicastello, San Lorenzo di Massaciuccoli e Santo Stefano di Pieve di Camaiore. Queste pievi sono tutte dedicate a santi martiri romani, per questo si suppone che siano state impiantate prima del 570, anno d’inizio della supremazia dei longobardi che furono invece più devoti verso i santi guerrieri, quali San Michele e San Giorgio.
Nel secolo X si afferma l’ordinamento feudale, e con questo le classi di signorie che aumentano il loro potere con lo sfruttamento dell’estrazione dei minerali di cui la zona era ricca e anche con l’intensificarsi proprio del traffico della via percorsa da pellegrini, crociati e mercanti”.
Un antico borgo a nome Sala, nucleo originario di Pietrasanta, ai piedi dei monti di Capriglia, si suppone sia stato il luogo di sosta dei famosi antichi pellegrini chiamato Kjoformunt dall’Abate Nikulas e Munt-Cheverol da Filippo Augusto.
Diventa una città con il podestà di Lucca Guiscardo da Pietrasanta nel 1255.
La perfetta geometria dell’impianto racconta che fu concepita come città ideale. I 12 borghi nascono dai numeri 3 e 4 assunti a modello di perfezione della religione cristiana, in più la via maestra forma con la piazza una grande croce e quattro croci minori sono date dalle vie laterali, all’incontro con le troncatoie, volendo rappresentare il simbolo della città cristiana per eccellenza: Gerusalemme.
Il punto migliore di osservazione dell’impianto urbanistico della città è rappresentato dalla rocca di Sala che domina la piazza con la Collegiata di san Martino del secolo XIV, detta il Duomo con la facciata rivestita di marmo e il campanile rosso, dietro il quale si trova l’oratorio di San Giacinto , posteriore perché del secolo XVII , detto il Battistero.
Alla sinistra , proprio sotto la rocca si trova l’accoglienza pellegrini
Il lato mare della Piazza Duomo è chiuso dalla Rocchetta Arrighina edifica da Castruccio Castracani per il figlio Arrigo nel 1324. A questa si affianca la Porta a Pisa che è l’unica porta dell’antica cinta muraria rimasta intatta. Pregiati sono il palazzo Moroni, la facciata aurea di Sant’Agostino e la Torre delle Ore. La chiesa di San Antonio abate è di proprietà della Confraternita della Misericordia
Nel complesso monumentale di Sant’Agostino è ospitato il particolarissimo Museo dei Bozzetti.
La lavorazione del marmo è stata di grande importanza per questa città che per questo è fiera di avere lapidi e segnali che attestano il passaggio Michelangelo per la ricerca del suo prezioso materiale da lavoro.
Lasciando la città si arriva al cimitero, si gira a sinistra, e si prende la strada di Valdicastello dove si trova la casa natale di Giosuè Carducci. Il pellegrino non è mai lontano dal mondo dell’arte e della poesia, e che sia per orgoglio italiano o onore universale, darà atto a questa terra del frutto di un premio Nobel.

Il monumento più antico di tutta la Versilia

PIEVE DI S.GIOVANNI E S.FELICITA

In località Valdicastello sul tracciato storico della Via Francigena , purtoppo oggi in parte coincidente con la strada sarzanese, si trova questa pieve del XII secolo.
Si conosce l’esistenza della chiesa già dal 885 da documenti di cessione di terreni ma ancora nel 871 è nominata come ecclesia beatae sanctae felicitae quae est plebs baptimalis sita loco versilia. E’ forse la chiesa paleocristiana più antica della Versilia; fu eretta in un luogo che era già di un culto romano primitivo, come testimoniano ritrovamenti fatti sul luogo.
Modificata nel corso dei secoli e arricchita di opere preziose fino al 1835 quando il vescovo di Pisa ne decise la demolizione. I suoi addobbi furono asportati e dati ad altre chiese, l’altare, per esempio, si trova oggi nella chiesa del Sacro Cuore. La demolizione fu impedita per l’interessamento del Cav: G.Battista Nuti e fu trovato il denaro per rimetterla in buone condizioni.
Nelle sculture degli archetti sono rappresentati i quattro animali dell’Apocalisse: leone, bue, aquila e angelo. Dal 1380 viene ampliata e arricchita dell’occhio dallo stile gotico. Nell’abside si conservano sculture originali e fra queste appare una figura di pellegrino, testimonianza per noi preziosissima.
Il campanile è del 1583 e se ne riconosce l’influsso rinascimentale. Il pavimento è tappezzato di tombe cinquecentesche.
L’abbinamento dei due santi è insolito in quanto Santa Felicita si trova più facilmente nominata assieme a Santa Perpetua di cui era la schiava, insieme alla quale affrontò il martirio .
Queste due sante fanno parte di un gruppo di sei cristiani che subirono il martirio il 7 marzo 202 o 203 a Cartagine durante la persecuzione di Settimio Severo. Il loro culto divenne molto popolare e a Cartagine fu eretta per loro una splendida basilica. Ma un ‘altra basilica fu fatta costruire da Bonifacio I intorno all’anno 420 sul sepolcro di un’altra Santa Felicita nel cimitero Massimo della via Salaria Nuova. Anch’essa è stata considerata protettrice della maternità; si trova rappresentata in un dipinto che tratta del suo martirio nel museo di Hannover e uno nella chiesa di Saint Jacques du Haut Pas a Parigi. Le altre due sante invece compaiono in un mosaico a Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna ( sec VI ). Una chiesa dedicata a Santa Felicità si trova in Lunigiana, a Casola, non lontana dal percorso del pellegrino e risulta che fosse già esistente nel 1296.
La voce Plebs divenne con il tempo Pieve che indica una chiesa rurale dotata di cimitero e fonte battesimale.
Attualmente è in costruzione una nuova struttura per l’accoglienza dei pellegrini, a rendere il lustro che merita per la sua storia e la sua bellezza
Le tracce della via francigena necessitano di una continua protezione perché sono sempre a rischio di essere soffocate da nuove costruzioni e da insediamenti che non rispettano le leggi che dovrebbero proteggerla. Proprio qui troviamo un tratto di trecento metri circa da noi riportato alla percorribilità con un disboscamento ed un controllo della pulizia.

Fra i monti e il mare

CAMAIORE

Camminando per 2 km sull’argine del fiume Camaiore si passa per questa cittadina.
Situata alla base meridionale dell’Alpe Apuane questa terra nel 760 fu un dono al Monastero di S.Pietro in Campo Maiore dal Vescovo di Lucca e da un altro nobile longobardo che ne valorizzarono la zona in forma agricola.
La struttura dell’abitato a maglie ortogonali, con i quartieri riscontrabili in un rettangolo allungato fa però supporre che il luogo sia identificabile in una matrice romana di un insediamento in prossimità della Via Aurelia.
Come Pietrasanta fu un borgo fondato e voluto da Lucca che lottava in rivalità con Pisa per il controllo della zona, e nel 1255 si rese più protetta costruendo con la sua prima cinta muraria.
Nella piazza S.Bernardino da Siena si trova la chiesa della Collegiata eretta nel 1278,che con la sua facciata ci riconduce alle forme romaniche, pregevole è il piccolo rosone a dieci braccia. L’annessa Torre campanaria costruita nel 1365, si affianca alla navata di sinistra ed è sormontata da una piccola cupola. L’interno è diviso in tre navate con altari laterali, da notare un organo del Cinquecento, uno dei più antichi della Toscana purtroppo non più funzionante e non ancora restaurato, l’altare maggiore decorato con formelle opera di Giovan Battista Stagi nel 1659, un crocifisso ligneo del Trecento situato nel terzo altare sinistro, una Madonna del Carmine dipinta dal Marracci su tela situata nella navata destra e in quella di sinistra una pala del Dandini (XVII secolo) rappresentante l’Ultima Cena. In una navata è ricavato il Battistero dove si conserva un sarcofago romano adattato a fonte battesimale.
Un esempio di arte romanica del XII secolo è la chiesa di San Michele ricostruita come nell’originale dopo essere stata distrutta nel 1944.Accanto si trova la Confraternita del Santissimo Sacramento, con il Museo d’Arte Sacra, dove si conservano innumerevoli reperti fiamminghi e toscani dal Quattrocento in poi. Recenti lavori hanno riportato alla luce resti dell’antico ospitale per i pellegrini.
Di grande interesse per i reperti preistorici è il Museo Archeologico Comunale con una importante raccolta di materiali della città e delle zone circostanti.
Immediatamente fuori dal centro della città verso i monti oggi si incontra una chiesa fondata dai monaci benedettini intorno all’VIII secolo, la Badia di San Pietro.

ABBAZIA BENEDETTINA DI SAN PIETRO

Già potente in epoca longobarda ( sec VIII ) l’attuale costruzione risale al dodicesimo secolo quando la primitiva chiesa forse a navata unica fu incorporata dal nuovo edificio in tre navate culminate in una unica abside semicircolare. I pilastri delle navate in origine erano affrescati come dimostrano alcuni frammenti, uno sul primo pilastro a sinistra raffigurante Santa Maria Egiziaca, l’altro sul pilastro successivo con l’immagine di una Pietà incorporato in un altare del 1732. La semplice facciata rivolta a ponente, secondo l’uso romanico , è delimitata lateralmente da lesene. Il portale unico è sormontato da una bifora e da una croce greca a traforo. Il grande arco che sorge sul piazzale antistante alla chiesa, dove un tempo si trovava il cimitero della Badia, è testimonianza delle ampie mura che circondavano il complesso abbaziale del XIII secolo. La badia svolgeva funzioni di assistenza ai pellegrini e nel secolo X dovette ospitare anche il vecovo di Canterbury, Sigeric, Campmaior XXVII,di ritorno da Roma
Il torrente Versilia è formato dai fiumi Serra e Vezza che qui si riuniscono e danno questo nome alla zona che comprende la conca di Camaiore e l’adiacente pianura costiera fino a Viareggio.
Attraversare questi luoghi nel periodo delle vacanze estive potrebbe portare il pellegrino alla tentazione di lasciare il mondo di semplicità per cedere a qualche attrazione mondana, ma se riesce a controllare il fascino del mondo balneare,e a non farsi stordire dalle provocazioni materiali, non disconosca che la sosta per ammirare un tramonto sul mare merita quasi un pellegrinaggio tutto suo.
Per proseguire il cammino e arrivare a Lucca si lascia Camaiore si attraversa la spettacolare valle della Freddana e si sale per i tornanti di Montemagno fino raggiungere il valico a 224 metri.

Si lavora il ferro

MONTEMAGNO

Questo passo già dal X secolo rappresentava un punto importante per il controllo della strada che porta alla valle del Serchio, e quasi una vedetta di protezione della città di Lucca.
La stirpe dei Paganelli al tempo di Papa Niccolò II era proprietaria di una vasta zona e potrebbe essere stata quella che si fece costruire il castello del quale è testimoniata la presenza fin dal 1099.
Nel registro delle chiese lucchesi si trova iscritta una chiesa nel castello di Montemagno nell’anno 1260, e a quell’epoca si dice che esistesse anche uno spedaletto.
I resti del castello sono visibili su un poggio di proprietà privata sopra il borgo. Si trovano anche tratti della cinta muraria e della facciata della chiesa dedicata a san Bartolomeo.
L’antico borgo posto sul pendio del monte Calvario a metri 492 è composto di vecchie case attaccate alla roccia (tradizione della lavorazione del ferro e del rame)
Ad ogni tornante si aprono splendidi panorami sulla conca di Camaiore.
Ancora testimonianza lungo la trada: Ospizio e chiesa di san Michele Arcangelo (XI secolo)
Dell’ospizio per pellegrini abbaiamo notizia dal 1129, la chiesa omonima risalente all’XI secolo , oggi è completamente trasformata a seguito dei rifacimenti settecenteschi. A nord del borgo, in località Castello restano tracce di una fortificazione eretta intorno al Mille dai Paganelli, signori di Montemagno. A poca distanza è ancora visibile il rudere della chiesetta del castrum dedicata a San Bartolomeo. Sulla facciata vi sono immagine affrescate di S. Michele e S. Bartolomeo quasi illeggibili.
Prima di arrivare a Valpromaro Ospizio “Locus dominorum Piscopana” (sec XIII )
Fin dal sec XIII qui sorgeva l’ospizio indicato come “Locus dominorum Piscopana”. Oggi rimane solo una cappellina nel luogo detto alla Maddalena
A Valpromaro Chiesa e ospedale di San Martino (sec XII )

VALPROMARO tipico borgo di strada era già stazione di sosta sulla romana via vicinale. La chiesa di san martino ha perso l’originaria fisionomia medioevale per l’ampiamento avvenuto nel secolo scorso. Tracce nel paramento originario restano alla base del campanile. Già dal XII secolo alla chiesa era annesso uno spedaletto per dare accoglienza a viandanti e poveri
A Piazzano Chiesa di S. Frediano e Ospedaletto (sec XII )
Piazzano appare quale un tipico borgo di strada. Nel Medio evo era difeso da una cinta muraria ancora in parte riconoscibile; la francigena usciva dalla porta posta sotto il campanile ed oggi tamponata. La Chiesa di S. Frediano ingrandita e rimaneggiata nel XVIII e XIX secolo è già attestata agli inizi del sec XII. L’ospizio di S.Frediano da essa dipendente era situato extra moenia proprio a ridosso del perimetro murario medievale. Nel borgo poco prima della chiesa è interessante una casa torre, caratterizzata al pianterreno da un grande arco atutto sesto con mattoni decorati. Appena fuori dal borgo verso ovest, a difesa della strda francigena si ergeva una torre a basa quadrata , oggi mozzata e coperta a capanna. Arrivati alla strada per Lucca si trova la chiesetta Spedale di San Michele della Contessora
Alla chiesa di S. Michele Arcangelo fondata da Ugolino nel 1175 come indica l’iscrizione sulla facciata, era annesso, fin dalla fondazione, uno spedale per pellegrini. L’edificio adibito ad ospitalità, abbattuto dalle truppe tedesche nel 1944, era di notevoli dimensioni e si trovava nel piazzale che oggi si apre a sinistra nella strada. La chiesa, disposta con l’abside verso oriente è dedicata oltre che a S. Michele anche a S. Tommaso: con entrambi i titoli è ricordata in una pergamena del 1181
Più avanti Ospedaletto e chiesa di S. Michele Arcangelo
La chiesetta di S. Michele Arcangelo fu fondata insieme all’ospedale per pellegrini e poveri nel 1185 per volontà di due privati cittadini. La lapide scolpita sulla facciata della chiesa ricorda ancora tale donazione indicando il nome dell’imperatore allora regnante, Federico il Barbarossa e quello del papa Alessandro III. L’ospedaletto che sorgeva sul lato oppostr€o della strada fu distrutto nella seconda guerra mondiali dai tedeschi in ritirata.
Era un edificio a due piani con ballatoio in legno e un appezzamento di terra coltivata a vigna, oliveto e orto. L’ente svolse funzione assistenziale fino al 1730, quando l’attività fu sopsesa dal vescovo di Lucca in seguito alla uccisione della spedaliera per mano di uno dei ricoverati.
Più avanti Chiesa e ospedale di S. Iacopo
La chiesa oggi adibita ad abitazione civile, conserva dell’impianto primitivo solo l’abside in pietra arenaria e il pavimento murario del fianco sud. L’ospedale la cui prima attestazione risale al 1103, si trova di fronte all’ingresso della chiesa e già all’inizio del secolo scorso non esisteva più.
L’ospizio è indicato dqi pellegrini del XII secolo come ‘Casa di Dio ‘ secondo l’uso francese di chiamare i luoghi di ospitalità col nome di Hotel de Dieu.
Il pellegrino adesso si trova ad attraversare il fiume Serchio e passando il Ponte S. Piero potrà guardandosi intorno immaginare il luogo dove nel secolo undicesimo c’era una accoglienza pellegrini, posto scelto non lontano dalla città più importante, Lucca.
A seconda dei tempi e delle condizioni spesso l’entrata nei centri abitati poteva essere negata ai pellegrini che si trovavano a dover sostare nella campagna circostante proprio all’inizio dei centri abitati, o appena al di fuori delle mura dove. In questi spazi veniva a crearsi la necessità di luoghi di sosta, e al tempo stesso dei luoghi di confino per ammalati che si potevano ritenere portatori di contagio.
Pellegrini sul Cammino di Santiago hanno sentito simili racconti dagli ospitaleri di Trinidad de Arre, un ospitale sul fiume Arre alle porte di Pamplona.

…costò più che
il Serchio ai lucchesi!

LUCCA

Arrivare a Lucca è già un bel traguardo.
La città è bellissima merita un passaggio non da pellegrino per quanto, anche solo attraversandola, si comprende subito la sua bellezza e si avverte quanto sia stato grande il prestigio che ha avuto nel corso dei secoli e che non è mai diminuito. La posizione sulla Via Cassia è stata la sua prima fortuna, poi, dietro di lei, la zona appenninica della Garfagnana ha continuato ad offrire spettacoli della natura di unica bellezza fra i rami della sorgente del Serchio.
Il ponte della Maddalena o del Diavolo a Borgo a Mozzano ( per chi viene dalla Garfagnana) prima di arrivare a Lucca, è una bellissima costruzione del secolo XI ben conservata.
Una leggenda dice che per fare l’arco principale molto alto il costruttore chiese aiuto al diavolo, il quale accettò di collaborare ma volle in cambio l’anima della prima persona che lo avesse attraversato. Il costruttore si fece aiutare ma a ponte ultimato attirò con una focaccia un cane che fu così il primo passante.
Il centro della città di Lucca è protetto da una cinta muraria cinquecentesca, e l’anima della città è uno scrigno di tesori. Il pellegrino tornerà certo qui da turista e, se non lo potrà, lo manterrà nei suoi sogni. Invece ora con il fardello del suo viaggio sicuramente si dirigerà verso il duomo per portare la sua devozione al Volto Santo, a questa croce lignea meta di pellegrinaggio da tutta l’Italia e non solo da tempi molto lontani. Nel porticato della cattedrale può anche ammirare un labirinto scolpito nella pietra, non meno bello di quello che si trova a Pontremoli.Questa particolare opera architettonica che presenta un percorso con un andamento volutamente difficile da rintracciare è diffusa nelle chiese romaniche italiane ed in quelle gotiche francesi. In alcune chiese si trova realizzato nel pavimento e alcuni scrittori parlano dell’usanza dei fedeli di percorrere in ginocchio i tracciati ( in Francia sono chiamati chemins de Jerusalem )
Per avere una adeguata descrizione della città rimandiamo al suo sito ed alla consultazione di testi che non abbiano il torto della semplificazione che qui siamo costretti a fare.
Ma se vogliamo considerare il fattore principale dell’importanza della città sin dall’epoca romana dobbiamo proprio guardare alle strade che tanto interessano il pellegrino.
Due assi viari Firenze -Lucca – Luni e Pisa -Lucca – Piacenza creano l’incrocio dove si trovava il forum, oggi piazza San Michele.
La pianta a scacchiera della fondazione romana è ancora chiaramente riconoscibile.
C’è poi una piazza, oggi piazza del mercato che ancora mostra la forma dell’anfiteatro romano come in realtà era al tempo del II secolo, è una testimonianza particolarmente suggestiva.
Nell’VIII e IX sec. erano presenti entro la cerchia delle mura ben 38 chiese, che dimostrano l’importanza del vescovato cittadino, e che insieme agli ospedali ai loggiati e agli ospizi fanno di questa città l’emblema di un porto sicuro per i pellegrini.
Sigerico la segnala con il nome di Luca XXVI, mentre le parole di Filippo Augusto sono ‘per Luchek civi tetem episcopalem‘ .
Fu capitale della Toscana dell’alto Medioevo durante il periodo longobardo, poi capitale del Marchesato di Toscana all’epoca di Carlomagno.
Importante per il commercio della seta, si ha anche notizia della emissione di moneta aurea con una sua propria zecca e tanti furono i suoi pregi che fu contesa dalle varie signorie. Nel 1300 Castruccio Castracani si fece costruire da Giotto una fortezza che poi fu distrutta nel 1370. Su quel luogo venne poi edificato il Palazzo della Provincia che ora è sede della Pinacoteca Nazionale.
In seguito Lucca divenne repubblica e così si mantenne per 400 anni.
Il duomo di Lucca, dedicato a S. Martino di Tours, un santo dell’ambito della via romea, fu fondato dal romeo irlandese San Frediano, e racconta una sua ricostruzione già nel 1060; l’attuale forma romanica è consolidata da un rifacimento del secolo XIII. La facciata porticata ha sculture che illustrano storia della Madonna, di San Martino e ‘i lavori dei mesi’.
All’interno al centro della navata si trova il tempietto che ospita il Volto Santo, costruito nel 1482, e della devozione a queso crocifisso ricordiamo la testimonianza dell’importante pellegrino, l’Abate Nikulas che riferisce la storia di due miracoli.
Numerose sono le opere fra le altre opere importanti ricordiamo la scultura di Iacopo Della Quercia l’ Ilaria del Carretto.
E’necessario che, se già non la conosce, il pellegrino qui trovi la storia di San Frediano almeno in quegli elementi che manifestino l’importanza del suo culto in tutta questa zona. Nel VI secolo il figlio del re Celtico dell’Ulster, Finnian fu educato come ministro della chiesa in uno dei monasteri irlandesi. Quando fece un pellegrinaggio a Roma si fermò sul Monte Pisano nei pressi di un romitorio con la volontà di rimanervi a vita da eremita. Anche lui fu chiamato Scotto. Era l’anno 560 quando papa Giovanni III venne a conoscenza delle qualità di questa persona e lo volle vescovo di Lucca. Il suo ministero durò 28 anni nei quali, nonostante il periodo fosse funestato da molte lotte, egli riuscì ad aprire altre chiese, e ricostruire la cattedrale che avevano subito grandissimi danni. Nella cattedrale fondò una comunità monastica dalle regole molto rigide e austere, rispondendo al suo primo desiderio di essere uomo più di preghiera che di azione. ‘Frediano l’Uomo di Dio ‘ fu uno dei personaggi che Gregorio di Tours mostrava come esempio all’incoraggiamento dei fedeli. La città di San Frediano fu durante il medio evo meta dei pellegrini irlandesi. Nel periodo in cui passò Sigerico si creò l’Ordine dei Canonici Regolari di San Frediano. Nel 1105 le regole di questo ordine furono la base per la riforma della chiesa lateranense fatta dal Papa Pasquale II. Il popolo lucchese gli riconobbe una importanza particolare per essersi prodigato nella bonifica delle zone che erano alluvionali dal fiume Serchio. Questo fiume nasce nell’appennino settentrionale, si arricchisce delle acque dei corsi che scendono dalle Apuane, esce dalla Garfagnana, entra nella piana di Lucca e dopo va a raggiungere la sua foce poco lontano da quella dell’Arno. Si dice che il Vescovo Frediano gli ordino di cambiare il corso e che avvenne il miracolo.
Il Serchio viene citato da Dante nel XXI canto dell’inferno, dove a un dannato che volendosi liberare dalla pece bollente, i demoni gridano: 
Qui non loco il Santo Volto!
qui si nuota altrimenti che nel Serchio!

Il pellegrino che era entrato in città dalla Porta San Donato, dopo avervi fatto la sua tappa la lascerà muovendo verso oriente, passando così sotto l’arco di San Gervasio e uscendo dalla porta Elisa riprenderà il suo cammino con quel particolare bagaglio che ha il dono di farci sentire più leggeri.

M.Villani : Molte volte avvenne che i romei,
volendo seguire il loro cammino,
lasciavano i denari del loro scotto
sopra le mense, lor viaggio seguendo

CAPANNORI

A circa sei chilometri da Lucca il primo centro che si incontra è un centro agricolo e industriale , Capannori, capoluogo di un vasto comune che comprende anche la montagna detta Le Pizzorne.
La zona è ricca di antiche chiese facenti capo a varie frazioni: San Leonardo in Teponzio che risale al 1115 con strutture scultoree sulla facciata attribuibili alla scuola di Guidetto, la Pieve di san Lorenzo in Segromigno in monte con una importante torre campanaria protetta da un recente restauro, la chiesa di San Gennaro del 873 intorno alla quale nel corso dei tempi si creò un borgo che porta il suo nome.
La cittadina ha una Parrocchia che porta il nome di Santi Quirico e Giuditta con la parte centrale della facciata in pietra ad arcatura del XII secolo, ma l’origine delle chiesa risale al 786.
Questo luogo è ricordato in un documento lucchese dell’anno 745 ‘in finibus Lucensis loco dicto Capannol‘, dove si racconta che un prete lombardo e una presbitera si recarono in pellegrinaggio in Toscana e fondarono qui una cappella e un’ ospizio per il sostegno dei compagni pellegrini sotto la protezione di San Quirico.
E’ di recente creazione un museo e una mostra permanente sulla passata vita contadina che ben s’intona con lo spirito del mondo pellegrino e con le caratteristiche attuali del luogo.

Azzo da Porcari, architetto del XI secolo

PORCARI

Lungo la via destra del rio Leccio a undici chilometri circa da Lucca si trova Porcari, ed è riconosciuto in Forcri XXV come il successivo stadio segnato dal passaggio di Sigerico.
Non ci sono segni di un antico ospitale e si suppone che forse il vescovo e il suo seguito sia stato ospite dei signori del luogo. Sul fianco occidentale ora si trova la nuovissima chiesa di San Giusto, che incorpora l’antica torre di una delle nobili famiglie di Lucca. Delle antiche fortificazioni medievali di Porcari, tra le quali anche il castello, restano oggi solo pochi resti della sua antica cerchia muraria. Le prime notizie storiche sull’origine di Porcari risalgono al 780, anno in cui avvenne la fondazione dell’Abbazia di San Sabino a Calci. Nel sesto secolo i longobardi dominarono questo territorio per controllare la via francigena e nel secolo XI è la famiglia dei Porcareschi che assume il controllo del borgo e lo fortifica. Passando nel secolo successivo poi sotto il controllo di Lucca perse gran parte del suo potere di avamposto sulla via di comunicazione.
La storia di San Giusto potrebbe interessare qualche pellegrino e forse anche proporre una analisi particolare. Venerato dalla chiesa cattolica, da quella anglicana e dalle chiese ortodosse orientali,
è stato un missionario mandato in Inghilterra nel 601 dal papa Gregorio Magno. Divenuto vescovo di Rochester nel 604 si occupò della cristianizzazione di quelle terre e nel 624 ricevette da papa Bonifacio V il pallium che lo vide come terzo arcivescovo di Canterbury .
Il pellegrino vescovo di Canterbury, ospite di questa zona nel X secolo, nel suo viaggio di ritorno da Roma per ottenere lo stesso pallium, potrebbe avere portato questa devozione al santo che lo aveva preceduto di qualche secolo nella sua opera di evangelizzazione. Pur tenendo conto che ci sono altri santi dallo stesso nome come san Giusto Martire, patrono di Trieste e lo stesso santo patrono di Volterra, in questo luogo e con questa storia la devozione a San Giusto si possa considerare portata dal mondo ‘pellegrino’
Poco distante dal borgo si trova l’Area Archeologica “Fossa Nera” che ha portato a poter studiare i resti preziosi di antiche abitazioni romane ed etrusche e persino un villaggio che risale all’Età del Bronzo.
Questo paese ha il vanto di aver dato i natali ad un artista,Azzo da Porcari, architetto vissuto fra l’XI e il XII secolo
Curiosa e caratteristica è la manifestazione locale della Sagra dei Ranocchi che si tiene ogni anno in luglio, oggi cibo raffinato, forse in passato ha rappresentato una soluzione di sopravvivenza anche al pellegrino.

Una formella intarsiata sopra la porta

BADIA A POZZEVERI

La zona della quale abbiamo segnalazioni molto antiche porta nel suo nome la caratteristica di un terreno di pozze e acquitrini. Le operazioni di bonifica che intorno all’anno mille resero il territorio più sicuro consentirono il formarsi di un nucleo abitativo che divenne in seguito un borgo.
La chiesa di S. Pietro, prima canonica poi monastero divenne sede di una congregazione camaldolese intorno al 1103, trovando qui fra la Via Francigena e il silenzio delle Cerbaie un luogo di raccolta propizio alle regole dell’ordine ma ugualmente presente e in contatto con Lucca e le altre abbazie sparse nelle zone della piana e nella fascia collinare. Documenti dei messali e dei grandi corali della abbazia, preziosi per lo studio del culto di quel tempo si trovano alla Biblioteca Capitolare di Lucca.
Un lazzaretto per l’assistenza dei malati di lebbra, flagello che colpi la Lucchesia nel XII secolo forse portato dai crociati reduci dalla Palestina e dal medio oriente, fu da loro organizzato nel terreno confinante la francigena – romea ed i fiumi Tazzera e Capecchio.
La comunità dei monaci non fu mai molto numerosa ciò nonostante riuscì ad occuparsi non solo del culto ( anche la chiesa di Porcari era seguita da loro ) e dell’assistenza ai malati e ai pellegrini, ma trovò ottime fonti di reddito attraverso i mulini ( si macinavano i cereali per le proprie necessità ed anche per conto terzi) nell’allevamento del bestiame e nello sfruttamento del padule.
La soppressione dell’abbazia alla fine del secolo XIV è da attribuire soltanto agli effetti del periodo della ‘Cattività Avignonese’ e della dominazione pisana su Lucca.
Nel 1325 i fiorentini nel loro assedio ad Altopascio, che si arrese, poiché avevano avute perdite ingenti, si accamparono in questo luogo, e nella descrizione che gli storici fanno della zona ha un grosso peso la definizione di luogo malsano dove il caldo faceva serpeggiare la pestilenza.
Il pellegrino che avesse la ventura di passare in questa zona all’ora in cui il sole tramonta dietro il poggio pisano, in un momento piacevole e dolce dimenticherà facilmente come quel luogo possa avere avuto una vita così dura.

…Ne andrò lontana come va
l’eco della pia campana..
Catalani- Wally

ALTOPASCIO

Luogo dedicato ai pellegrini per eccellenza, ancora oggi molto attivo e fiero della sua storia e della tradizione che continua oggi ad essere portata avanti da volontari.
Il borgo murato al centro della Lucchesia nella vicinanza del lago Bientina, bonificato e prosciugato dai Lorena, comincia la sua importanza nel Medioevo come culla e centro dell’ordine ospitalero dei Cavalieri di Altopascio, nato verso la metà del secolo XI, e soppresso nel 1459.
Erano dodici volontari lucchesi, chiamati presto Cavalieri del Tau che crearono un ospizio per pellegrini indicato negli itinerari sotto il nome di Ospizio di Matilda in quanto era sotto la protezione della potente dama. Come racconta anche l’Abate Nikulas la contessa aveva fatto voto a Montecassino di fondare un ospizio dove ciascuno poteva esservi ospitato per una notte. L’ordine nacque fra il 1073 ed il 1081 ed oltre ad accogliere i pellegrini completò la propria dedizione con il controllo e il mantenimento delle strade e dei ponti e fondò chiese e ospedali anche lungo altre vie di pellegrinaggio.
Ancora oggi si trova un Hospital de Autepas a Parigi, e in Spagna sono rimaste testimonianze ad Astorga, a Pamplona ed a El Perellò; ma molto più vicino a noi e di particolare importanza per la nostra associazione, a Firenze all’inizio di via Bolognese c’è l’attuale chiesa Santa Maria del Suffragio, detta del Pellegrino, che nel dodicesimo secolo era un ospedale per i pellegrini sotto la protezione di Altopascio, situato all’entrata della città ,per chi proveniva dal nord verso Roma passando da Bologna.
L’ordine prese come proprio simbolo il segno del ‘Tau’ lettera greca che ricorda la forma del bordone dei pellegrini, ma può sembrare anche il richiamo del simbolo della croce.
Nel 1239 papa Gregorio IX ebbe il merito di concedere alla comunità lo status di ordine religioso con una propria regola. Si ricorda di questo papa che fu sollecito a proclamare santo Francesco d’assisi a San Antonio da Padova, e si dimostra interessato alla protezione dei pellegrini ma , purtroppo viene ricordato anche per aver istituito il tribunale dell’inquisizione, per le sue lotte con Federico II ,e l’uccisione di molti crociati.
L’ospedale divenne presto una grande proprietà, sostenuta e arricchita da lasciti e donazioni di persone devote e anche da parte di potenti che con le loro offerte credevano di essere assolti dai loro peccati; cosicché nel secolo XIII l’istituzione visse un momento di grande splendore. Fu costruito il campanile in stile romanico lucchese che domina tutto il paese.
Il centro storico è una ricca testimonianza di quel periodo; è possibile vedere i resti delle antiche fortificazioni medievali e le tre porte che danno accesso alla città. Le porte mostrano caratteristiche particolari sia nel colore del materiale con il quale vennero costruite che nelle decorazioni dei portali. Una porta dà accesso alla Piazza Ospitaleri ove si trova una “Domus” (casa) che conserva i tratti caratteristici della costruzione originaria, e che costituiva la residenza dei Cavalieri dell’Ordine. La chiesa dedicata a San Giacomo Maggiore ha sulla facciata una statua dell’apostolo e per questo gli possiamo attribuire anche il merito di stabilire un legame fra i due grandi pellegrinaggi, quello a Roma con quello di Santiago in Galizia. Il vescovo Sigerico non fece sosta qui, perché con tutta probabilità fu ospitato nel vicino castello dei signori di Porcari.
L’attenzione ai pellegrini è ricordata anche dalla storia della smarrita la campana ancora intatta nel campanile che dopo il tramonto suonava per un ora per dare la direzione ai pellegrini affinché non si smarrissero nelle Cerbaie o nelle zone paludose di Fucecchio. Nelle difficili serate di nebbia o tempesta veniva anche acceso un fuoco sulla torre.
Chi è amante dei musei potrà trovare all’interno del complesso del Piaggiane, accanto alla sala del Granaio grande ‘ Il centro di documentazione sulla vita materiale dell’antica comunità. All’interno è possibile vedere alcune ceramiche con il simbolo del Tau e numerosi reperti databili tra il XIII e il XIV secolo. Altopascio è rinomata anche per il suo “pane“, da qui la denominazione “La città del Pane”; il Comune ha infatti aderito all’Associazione omonima, che ha lo scopo di promuovere il riconoscimento e la valorizzazione dei pani legati a determinati territori.

Ricco di macchie e di pasture

GALLENO

Per arrivare al piccolo borgo di Galleno la strada rivela la sua storia. L’attuale selciato ha rivelato la sua origine medievale con i lavori svolti dal Comitato Pro Via Francigena di Galleno. Leopoldo Pellegrini, detto Poldino, è stato uno degli appassionati ricercatori.
La strada ha poi subito tante trasformazioni fino agli ultimi interventi del XVIII secolo.
L’importanza prevalente del luogo è dovuta alla sua posizione geografica, è un territorio emergente, quasi si potrebbe dire galleggiante fra due depressioni, il padule di Bientina e quello di Fucecchio.
Allora il borgo era detto’Grassa Gallina’ perché ricco di macchie e di pasture.
Il re Filippo Augusto passò ‘per la Grasse Geline‘, fu ospitato a Casa Greppi antico ospitale ancora presente che a quei tempi era una corte dei Conti Cadolingi di Fucecchio.
In questo territorio ebbero per compra e per donazione vaste proprietà gli ospitaleri di Altopascio.
Il borgo si formò lungo la strada ai piedi del castello e tutta l’area d’intorno si arricchì di piccole strutture ospitaliere.
L’attuale chiesa di san Pietro, riedificata nel 1828 sul luogo dell’antica, aveva l’ospedale, San Martino in Greppio, poi trasformato in un’osteria che fu abbandonata solo alla fine del XIX secolo.

‘in Cerbaia per la fame
ci si abbaia’

CERBAIE

ll nome deriva da cerro-cerraia e indica un bosco fitto e pauroso, oppure da cervo- cervaia cioè popolato da cervi. Sono famose per essere citate come territorio insidioso per gli agguati e le ruberie a danno dei viandanti, inoltre fra gli animali c’è una presenza caratteristica: i lupi di Toscana, pericolosi aggressori che si avvicinavano alle case. Storie sui lupi sono ricordate soprattutto per episodi eccezionali come di San Graziano e Santa Zita. Riconosciamo però alle Cerbaie il loro tesoro naturale, una buona riserva di caccia e di pesca fondamentale nel medio evo per la proprietà delle chiese, degli ospedali e dei comuni.Il popolare detto ‘in Cerbaia per la fame ci si abbaia ‘si riferisce ad epoche meno lontane ma sempre grame per gli abitanti della zona. Se il pellegrino oltre al suo fervore possiede anche un po’ di immaginazione, mentre cammina per questo sentiero può potrebbe facilmente identificarsi con il suo omonimo dei secoli passati, ma a se a lui sembra bello camminare in mezzo alla natura, per l’antico pellegrino attraversarle era una avventura molto pericolosa. Oggi questo territorio si individua in basse colline che si estendono tra il bacino dell’ex palude di Bientina e quella di Fucecchio ed è un’importante risorsa ecologica, essendo tuttora coperto in buona parte da una vegetazione molto ricca.
Il bosco d’alto fusto è formato da pini marittimi e querceti. I “vallini” più umidi sono caratterizzati da un particolare microclima che favorisce la sopravvivenza di specie vegetali altrove estinte. Si trovano inoltre ontani, carpini e rari esemplari di abeti bianchi oltre a un variegato sottobosco formato da agrifogli, viburni, corbezzoli, eriche, brugi e specie ormai rarissime come la Drosera rotundifolia, pianta carnivora relitto di tundra di era glaciale, o l’Osmunda regalis (Felce florida), propria invece dei climi tropicali. La fauna è quella tipica dei boschi e delle macchie toscane, con presenze di tassi, istrici, scoiattoli e, tra i volatili, gazze, picchi verdi, picchi muratori e taccole.

Un ponte con le chiuse

PONTE A CAPPIANO

Al ponte a Cappiano, le Cerbaie di levante e quelle di ponente, ravvicinandosi, chiudono quasi il padule e dividono la Valdinievole in superiore e inferiore.
Il ponte esisteva nel 1018, infatti in una ricognizione del luogo viene citato Cappiano a ultra Ponte, ma due documenti portano testimonianze ancora precedenti; nel 926 e nel 975 si parla di una chiesa con fonte battesimale dei Santi Pietro e Giovanni Battista ‘sita loco e finibus Cappiano’.
Al ponte era collegato un ospedale per pellegrini (tuttora presente) che fu mantenuto e dopo il 1325 anche completamente ricostruito.
Uno studio per la deviazione dell’Arno ci mostra come era quel territorio e questa testimonianza ci viene nientemeno che da Leonardo da Vinci ( Codice Windsor)
Posteriore è la particolare fortificazione che il pellegrino vede oggi al suo passaggio; fu costruita con i contributi di Antonio e Francesco da Sangallo nel XVI secolo. Di qui era ed è ancora possibile controllare i livelli delle acque: dopo la seconda torre si trova un edificio a mattoni che passa per tutta la lunghezza del ponte e custodisce le calle di chiusura dell’Usciana.
Risulta anche che ci sia stato un convento vallombrosano, intitolato a San Bartolomeo, ai quali era affidato l’ospedale, poi passato ai Cavalieri di Altopascio.
Importante come nodo di scorrimento della via e punto strategico da un punto di vista militare: qui si può ricordare che un esercito fiorentino fu tragicamente bloccato dai cavalieri lucchesi.
Zona questa in cui la lotta per il possesso dei territori è stata lunga e spesso crudele e purtroppo anche nel nome di Dio
A seconda del tempo e della stagione il pellegrino respira un’aria che può essere dolce o pesante, o afosa o umida o comunque quella che è, ma camminando in questa valle un sapore di fondo è forse costante: rumore di ferro e di zoccoli di cavalli..
Sigerico chiama qui la sua sosta Aqua nigra XXIV.
Arle le nair dice il re crociato e per l’abate che viaggia nella direzione opposta è Arn blakr.

Una riserva naturale unica: il padule

FUCECCHIO

Alla destra dell’Arno quasi ai piedi del lato sud occidentale del Monte Albano si trova questo paese già noto dal secolo XI. Situato a soli cinquanta metri sul livello del mare ha potuto difendersi dall’invasione del padule e con il suo ponte sull’Arno o almeno con la possibilità di traghettare e un ospitale si è trovato a vivere un ruolo importante nella viabilità del medioevo. Fu la residenza ufficiale della potente famiglia dei Cadolingi che ne danno notizia intorno all’anno mille per aver fondato la chiesa di San Salvatore in località Borgonuovo. La chiesa detta anche della misericordia era una abbazia che sostenuta da molte donazioni divenne presto una ingente proprietà e acquistò importanza per l’attenzione che le dimostrarono ben dodici pontefici e tre imperatori. Nell’anno 1105 fu trasferita sul poggio Salamartano per difenderla dalle piene a dalle alluvioni. Dal Repetti sappiamo che ..” costà, presso l’antica Badia S. Salvatore dove si passava l’Arno su un ponte di barche detto Bonfilli, per entrare nella via francigena. Il ponte crollò nel 1106 per una forte piena dell’Arno e della sua ricostruzione se ne occupò Sant’Allucio.
Sant’Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie si trovano nella cattedrale della città. Egli era nato, nell’XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina, e fin da ragazzo quando faceva il pastore dimostrava una particolare tempra spirituale. Si occupò dell’ospizio del paese che stava andando in rovina dopodoche con l’aiuto di amici caritatevoli come lui fondò altri ospizi dedicandosi per tutta la vita a soccorrere i poveri. L’impresa del ponte sull’Arno non fu facile
e non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant’Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all’altra.
Il nuovo ponte si trovava fra Fucecchio e Colle di Pietra dove c’era un castello, ma in seguito furono necessarie nuove edificazioni; dal cinquecento poi arrivano ancora descrizioni di ruderi. Con il trasferimento dalla Abbazia sul poggio il ponte sull’Arno passò prima in gestione e poi diventò possesso degli ospitaleri di Altopascio. Presso il ponte crearono anche un ospizio che aveva sul davanti un portico e una chiesa, Santa Maria al porto d’Arno. Il passaggio dell’Arno col traghetto era gratuito, il compenso al traghettatore era la concessione di un terreno attigua alla chiesa( forse questa notizia si deve intendere per il periodo in cui il ponte non era agibile). Un altro ponte c’era in corrispondenza di Ripoli, vicino alla pieve di San Leonardo.
L’accoglienza a Sigerico, qui si dice all’Arne Blanca XXIII, e anche Filippo Augusto la definisce tale Arle le blanc.
Oggi il ponte è quello di Marcignana e da quello si raggiunge Ponte a Elsa.
Nel 1258 l’abbazia passò alle monache Clarisse di Gattaiola e tutti i privilegi dell’abate passarono alla Badessa.
L’attuale Collegiata di San Giovanni Battista era sotto la giurisdizione dei monaci; è stata rifatta nel ‘700. Vi si accede attraverso una scalinata a fianco della quale si apre il piazzale di Salamartano dal quale si ha il panorama della valle.
Un interessante museo conserva opere d’arte provenienti dalla Collegiata e da altre chiese.
Nel 1260, dopo la famosa battaglia di Montaperti, Fucecchio rappresentò un rifugio per i fuorusciti fiorentini, e, alla fine, proprio in questo luogo nel 1293 si stipula la pace fra Firenze e Pisa.
L’incontro con l’Arno del pellegrino, come per gli altri fiumi che hanno un presenza fondamentale con la storia del pellegrinaggio, come e quanto quella delle chiese, richiama alla mente la tanta storia che queste acque hanno visto. E in vista dell’Arno arrivano anche i pellegrini provenienti dalle regioni più ad est, un particolare itinerario storico è quello che proviene da Aquileia , verso Modena e valicando l’appennino nei pressi di Sambuca Pistoiese, attraversa il monte Albano per congiungersi a Fucecchio alla via Francigena.
Aquileia è stata essa stessa meta di pellegrinaggi; detta il porto d’Oriente ha rappresentato un nodo viario per i paesi dell’est, dell’ovest e delle alpi. Fondata nel 181 a C. fu importante per i romani e nel 313 d.c. venne eretto il primo luogo ufficiale di culto cristiano. Sulla basilica del quarto secolo cinque secolo più tardi nasce il primo cenobio femminile dell’ordine di S. Benedetto. Oggi dopo gli scavi e le nuove strutturazioni possiamo visitare oltre alla basilica, l’interessante museo e con la guida Il sentiero del Pellegrino possiamo raggiungerla anche da pellegrini.

Sancti Genesii locus est famous agendis

SAN GENESIO

Borgo San Genesio viene definito come il Sanctinus borg dell’Abate Nikulas , e Filippo Augusto lo chiama Seint Denis de Bon Repas , il passaggio di Sigerico invece è detto Sce Dionisi XXII
Oggi il sito archeologico di San Genesio si trova nel comune di San Miniato, tra le località Ponte a Elsa e La Scala, all’incrocio tra la strada statale Tosco Romagnola e Via Capocavallo.
Gli scavi hanno portato alla luce la struttura di una pieve dell’alto medioevo e del borgo che già esisteva nell’ VIII secolo. Si può quindi risalire ad una descrizione della chiesa: lunga 46 metri e composta di tre navate che terminavano con altrettante absidi. Nell’XI secolo vi fu poi aggiunta una cripta coperta da volte sorrette da colonne monolitiche, e alla cripta che aveva un pavimento in cocciopesto si accedeva attraverso ben tre scalinate di pietra.
Questo è stato un luogo importante in epoca longobarda col nome Vico Vallari, probabilmente fondato nel secolo VI, nodo di valore strategico perché situato alla confluenza dell’Arno con l’Elsa, prossimo all’incrocio della Via Pisana con la Via Francigena che aggirava il colle di San Miniato.
Il borgo fu distrutto la prima volta nel 1198 dai potenti vicini e successivamente ricostruito con l’aiuto dei lucchesi. Ma nel 1236 il titolo di Pieve e il fonte battesimale furono trasferiti dal borgo alla vicina chiesa di Santa Maria in San Miniato, che aggiunse al proprio nome anche quello di San Genesio. Per quanto il luogo di culto fosse molto venerato come dimostra anche la grandiosità della chiesa, la posizione collinare del vicino rivale ebbe la meglio perché contrapponeva un valore predominante per motivi strategici e climatici, e così, nel 1248 avviene la definitiva distruzione di San Genesio. Finisce così la vita di un luogo che aveva sfidato in importanza persino Lucca, che aveva ospitato congressi e concilii ( 1160 marzo 20 Dieta di San Genesio indetta dal marchese Guelfo: vi partecipano i consoli di Firenze) e, non di meno aveva accolto pellegrini.
Oggi passando davanti al piccolo oratorio possiamo leggere una lapide che ricorda la sua storia.
Risulta che nelle vicinanze dell’oratorio ci sia stato anche un altro edificio dedicato a San Lazzaro.
Del santo di nome Genesio abbiamo poche notizie soprattutto per quanto riguarda la sua vita. Era originario di Arles e si dice che sia stato un martire e che il suo culto in Italia sia stato portato dai pellegrini francesi. La via francisca era così chiamata come”via percorsa da coloro che sono nati in Francia” proveniva d’Oltralpe dal Regno dei Franchi e, nel suo percorso dai passi alpini ossolani sino a Roma, toccava anche Suno che oltre ad un luogo di sosta divenne anche un punto difensivo contro le invasioni transalpine. Suno, un paese in provincia di Novara ha una antica chiesa dedicata a questo santo che fu costruita perché, come dicono i racconti popolari, intorno all’anno mille un suo cittadino, mosso da profonda fede, vi trasportò le reliquie del martire Genesio di Arles.
Dal 1561 Suno fu colpita da una epidemia di peste che durò quasi settanta anni e la basilica di San Genesio si trasformò in un lazzaretto. Nel comune di Dairago in provincia di Milano potremmo conoscere qualcosa della vita di questo santo attraverso delle pitture che descrivono la sua passione (GRSD, La passione di san Genesio nelle pitture della chiesa prepositurale, “Orizzonti”, a. VIII, giugno 1992, pp. 14-18; luglio-agosto 1992, pp. 14-18.)

Al piè m’assisi de l’eroica torre
Del mio bel San Miniato
Aleardi

SAN MINIATO

Se non si è già in cammino la città può essere facilmente raggiunta con il treno, linea Firenze – Pisa, con arrivo a San Miniato Basso e, alla stazione proseguendo in avanti dopo meno di tre chilometri, salendo si arriva a San Miniato Alto, detto, in passato più frequentemente, del Tedesco.
La zona di San Miniato è talmente ricca di storia e di eventi che tutto quanto riguarda il passaggio dei pellegrini deve essere ricercato con cura perché rimane facilmente oscurato dalle tante vicende che l’hanno vista impegnata nei primi secoli del millennio.
Cercando intorno alle origini c’è testimonianza del villaggio etrusco di San Miniato, del Quartus Romano.
Situato su tre poggi sulla pianura dell’Arno, punto importante per il controllo della via francigena , la via Pisana e degli assi fluviali dell’Arno e dell’Elsa il paese prese questo nome da una chiesa dedicata al santo martire dei tempi dell’imperatore Decio nel 250, che i longobardi avevano fondato nel 783. Ottone I volle che diventasse la sede del vicariato imperiale che controllava tutta la Toscana, pertanto fece costruire il castello.Un documento lucchese del 999 recita ‘in loco et finibus ab castello ed Monte ubi dicitur Sanminiato’
La torre in cima al colle è l’unico resto della rocca detta poi di Federico. E’ stata ben ricostruita dopo la distruzione del 1944 e mantiene il suo effetto vigilante sul Valdarno. Si può salire (euro 2,50) con facili rampe e godere ancor di più della vista dalle finestre su tre lati. Il pellegrino può da questa vista camminare con lo sguardo da Fiesole fino al mare, dalle Apuane alle balze di Volterra e comprenderà quanto questa posizione abbia pagato e subito per le alterne vicende delle lotte delle città vicine. Anche il Borgo San Genesio con il quale San Miniato era in forte rivalità, non riuscì a proteggere il suo prestigio, la sua posizione nella valle contro quella del colle lo portò a subire tanti attacchi fino alla distruzione definitiva a metà del secolo tredicesimo. Si dice che in questo luogo sia avvenuto l’episodio in cui Pier delle Vigne venne accecato, ma un’analoga testimonianza con tanto di lapide il pellegrino può averla letta a Pontremoli nella piazzetta di San Gemignano. ( di sicuro Pier delle Vigne è stato accecato sulla Via Francigena !)
Sembra certo che questo sia il luogo di nascita di Matilde di Canossa, personaggio di grande rilievo anche per il suo impegno alla protezione dei pellegrini e che viene ricordata con la massiccia torre detta di Matilde che fa da campanile al Duomo.
Nel 1211 Francesco d’Assisi arrivò a San Miniato, ma della costruzione del convento si ha notizia solo nel 1276. Il potere religioso ebbe nel tredicesimo secolo un effetto di controllo sui contrasti fra magnati e popolani, ovvero fra Guelfi e Ghibellini; I Domenicani, gli Agostiniani e gli Umiliati erano impegnati nella vita parrocchiale del comune mentre gli ordini mendicanti si occupavano dell’accoglienza dei poveri.
Dell’Ospedale di Santa Croce al fondo oggi ci sono solo dei resti.
La sagoma dei tre o cinque archi gotici individuano il loggiato esterno di un antico edificio che era gestito dagli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, luogo di rifugio e protezione per i bisognosi dal XIV secolo alla fine del XVIII, nell’ultimo periodo sostenuto anche dal Comune.
A San Miniato si trova un’altra devozione per un crocifisso ligneo per il quale nel XVIII secolo fu edificato un santuario: l’Oratorio del S.S. Crocifisso che si trova alla sinistra del Duomo. Il culto ha origini molto lontane, inizialmente era conservato nella chiesa dei S.S. Giusto e Clemente, nel 1339 fu trasferito nel Loretino, l’oratorio della Madonna di Loreto, ma nel 1630 i sanminiatesi fecero un voto di costruire un nuovo santuario per poter riportare l’urna. Il 26 luglio del 1718 finalmente il crocifisso vi fu trasferito.
Questa città ha il merito che il pellegrino apprezzerà moltissimo di consentire di visitare le chiese per tutta la giornata. Oggi è molto più frequente trovare orari piuttosto limitati ancorché ci sia la possibilità di visitarle e quando il pellegrino si trova di fronte ad una chiesa chiusa senza poter conoscere l’aspetto di quella navata ha forse il timore di perdere proprio li quello che cercava.
Nel borgo occidentale si può veder disegnata un’epoca successiva nel bellissimo palazzo Grifoni, ma del tempo più vecchio la città possiede così tanto da comunicare una appartenenza a quello che per la storia del pellegrino è il tempo d’oro.
San Miniato Basso ha il particolare ‘Museo della Scrittura’. E se la stagione è al caso quella autunnale la dolcezza dei colori potrà essere ancor più impreziosita dal gusto sopraffino che si diffonde con la sagra del tartufo.
Quando i pellegrini lasciano il valdarno per arrivare in valdelsa, nel loro panorama trovano il monte Albano ed è giusto anche raccontare che in quella zona visse un eremita che nel sesto secolo dalla Francia era andato pellegrino a Roma. Sulla strada di ritorno si fermò a Pisa e cercò un luogo per vivere di solitudine e di preghiera. Sul Monte Albano trovò il posto adatto, trovò una fonte d’acqua e li rimase per il resto della vita, “….Visse in solitudine finchè non si venne a conoscenza della sua presenza e fu raggiunto, dalla città di Pistoia, da Desiderio, e dopo di lui da altri quattro giovani.
Si racconta che per loro gli abitanti delle zone vicine costruirono delle piccole celle ed in seguito una chiesa. Il luogo cominciò a richiamare pellegrini per la devozione a quel piccolo oratorio nel quale trovarono poi sepoltura quei monaci. Da allora cominciarono racconti di prodigi e i pellegrini arrivavano da lontano. Nacque un monastero che fu retto da benedettini cluniacensi.
Si ha testimonianza che il Vescovo di Pistoia, Restardo, il 27 marzo 1018 fece dare una sepoltura ufficiale ai corpi dei santi.
Il monastero ebbe molta importanza come è documentato da atti ufficiali che registrano le donazioni e i lasciti che venivano fatti dalle persone di fede.
Nella seconda metà del mille e cinquecento fu affidato alla Badia Fiorentina.
Nel secolo diciottesimo ne avviene la soppressione .”
Del monastero non è rimasta traccia ma è rimasto il paese che porta il suo nome, S.Baronto, e la sua tomba nella cripta della chiesa.
Guardando sempre il Montalbano ma spostando lo sguardo un po’ più a destra, si potrebbe scorgere un fenomeno strano, qualche effetto magico o una luce particolare, insomma forse non si vede niente, ma, sappiate che da quel luogo è nato il genio più versatile di tutti i tempi e di tutti i popoli, il nostro Leonardo. Non sappiamo se Leonardo da Vinci abbia mai fatto il pellegrino, ma è per poter conoscere i suoi capolavori che tanti si fanno pellegrini e viaggiatori da tutto il mondo.

dedicata ad un apostolo

CAMPRIANO

Percorrendo il crinale fra i torrenti Egola ed Elsa si arriva a Campriano, sede di una chiesa parrocchiale dedicata a San Bartolomeo già esistente nell’ 862. La storia di san Bartolomeo ha delle analogie con quella di San Giacomo per quello che riguarda la sua sepoltura, infatti martire in Armenia, il suo corpo, dopo varie traslazioni sarebbe venuto a riposare in Roma, nel santuario a lui dedicato nell’isola tiberina. Molte opere importanti raffigurano l’apostolo, la più antica è fra i mosaici di Ravenna.

La severità della pietra e il colore dei mattoni rossi

COIANO

Al tempo del passaggio di Sigerico Sce Peire Currant XXI al posto della bellissima Pieve di Coiano c’era probabilmente solo una piccola costruzione adibita a ricovero e a momenti di culto. Nel 1029 questa chiesetta diventa pieve, cioè una chiesa dove era possibile dispensare il battesimo. La sua importanza cresce e nel XIV secolo divente punto di riferimento di una ventina di luoghi religiosi e di sei ospitali, alcuni dei quali erano situati nel fondovalle dell’Elsa . La Pieve si trova sul crinale fra i torrenti Egola ed Elsa e in aggiunta è in cima ad una lunga scalinata di mattoni rossi e addossata ad un piccolo borgo. Non è difficile avere la possibilità di visitarla. Da Castelfiorentino il parroco si rende disponibile non solo a venire ad aprirla ma anche ad accogliere i pellegrini nella sua parrocchia.
E’ dedicata ai Santi Pietro e Paolo. In attesa di ristrutturazione la chiesa presenta parti in pietra e in mattoni originali, ma si riconoscono le influenze romaniche pisane con una galleria di arcate cieche e una bifore centrale. All’interno tracce di affreschi, una croce di rame dorato del XIV secolo e un ciborio del XV. Il pellegrino uscendo da questa chiesa rimane con il colore di quei mattoni rossi negli occhi; non che la pietra manchi del suo fascino, ma lasciamo a questi tutto il loro valore espressivo.Qui sorgeva anche uno dei 36 castelli di San Miniato, luogo di frontiera fra la diocesi di Volterra e di Lucca.

Gli affreschi di Benozzo Gozzoli

CASTELFIORENTINO

Percorso di fondovalle La Via Francigena dei secoli posteriori a Sigerico passava lungo il fiume Elsa per Castelfiorentino, Certaldo e Poggibonsi. La strada del crinale è l’antico percorso per Siena, ma a causa del terreno friabile ( qui era la costa del Tirreno nell’era Terziaria ) la sede stradale si modificava continuamente, pertanto si sono create varie vie francigene simili fra loro. La Valdelsa è situata fra le colline senesi e quelle volterrane, rappresentando un’area di confine tra le varie feudalità laiche ed ecclesiastiche della Toscana. Se nell’alto Medioevo Volterra governava la sinistra dell’Elsa, spartendosi le colline fra pisani e lucchesi, la destra spettava a Firenze, mentre più a sud era Siena a stabilire i confini. La zona non fu mai pacifica, ma la Via Francigena poco risentì di questa mancanza di sicurezza e i pellegrini continuarono a transitare per le diverse strade intorno a questi paesi tanto per loro i pericoli non riguardavano il potere, principalmente dovevano occuparsi della loro sopravvivenza e della possibilità di portare a termine la loro impresa, a volte più rischiosa di una partecipazione alle lotte di potere.
Nel 1149 troviamo la denominazione di Castelfiorentino e il luogo è la testa di ponte di Firenze sulla Via Francigena a discapito di Siena.
La cittadina ha un aspetto di fortezza e le fortificazioni del castello racchiudevano la chiesa di Sant’Ippolito edificata nel 1195 al posto della antica San Biagio, risalente al tempo delle invasioni barbariche, prima del X secolo.La chiesa è ad una navata con abside circolare e dal retro si possono identificare i tratti della cerchia delle mura del castello.
Un antico oratorio centro della vita religiosa e civile del medioevo è la collegiata dedicata ai Santi Lorenzo e Leonardo. Su un antico oratorio dedicato a San Antonio è stata edificata la chiesa di S. Verdiana, patrona della città, alla cui devozione si rivolge in prevalenza la popolazione contadina. Alla chiesa è annesso un museo a lei dedicato con un interessante patrimonio di dipinti.
La prima notizia di un ponte a Castelfiorentino risale al 1280; un ponte di legno fu costruito dagli Ospedalieri di Altopascio. Nella biblioteca comunale sono da ammirare due cappelle di Benozzo Bozzoli (1484 .1491 )che rappresentano il culto mariano.
L’asse Castelfiorentino, Staggia e Poggibonsi risulta essere percorso sia dall’Abate Nikulas nella direzione verso Roma che quella opposta di Filippo Augusto: deinde Castellum Florentin.

SANTA MARIA A CHIANNI

Il nome di questa chiesa si riferisce ad una contrada detta Chianti.
Per Sigerico questa è Sce Maria Glan XX, ma questa bellissima chiesa non era stata ancora costruita al tempo del suo passaggio. La prima notizia di questa pieve si trova in un documento del 988 dove è stato registrato che il territorio viene regalato al Vescovo di Volterra. In seguito la chiesa è nuovamente nominata nel 1033 come luogo nel quale viene fatta ancora una donazione alla chiesa di Volterra.
La chiesa ha dei periodo di maggiore vivacità e ricchezza che si alternano con altri di decadenza, ma quando il vescovo di Volterra volle che fosse riedificata e che portasse sulla sua facciata i segni del suo potere, assunse l’aspetto che tuttora possiamo ammirare.
Lontana dalla Via Francigena Volterra con la politica dei suoi vescovi ebbe una forte influenza, anche se indiretta, su di essa.
La città di Volterra si trova in cima a un alto colle (555 m.s.l.m.), in straordinaria posizione panoramica fra le valli del Cecina e dell’Era, e domina quasi isolata un vasto territorio ricco quanto eterogeneo di risorse storiche, artistiche e ambientali.
Nei IX-XI sec., per il favore degli imperatori carolingi, sassoni e franconi, inizia e si sviluppa la signoria civile dei vescovi volterrani, che, forti di privilegi e immunità, finirono per imporre la loro civile autorità su un territorio molto vasto. La potente famiglia dei Pannocchieschi con i suoi tre vescovi portò avanti anche una lunga e aspra lotta con il comune e per molto tempo e in un vasto gioco di rapporti troviamo menzionati i vescovi di Volterra con le loro imposizioni verso le zone circostanti.
Nella chiesa si individuano nella facciata tre ordini orizzontali costituiti il primo dal portale delineato da tre archi che copiano esattamente il duomo di Volterra, il secondo e l’ultimo con due gallerie d’arcature cieche nelle quali il pellegrino può riconoscere la chiesa di Lucca.
L’interno è diviso in tre navate. Le colonne che dividono le navate hanno capitelli variamente scolpiti. Importante si presenta anche la canonica che si trova sul lato destro della Pieve. Tutta la struttura è ricca di spazi e locali che potrebbero essere di nuovo utilizzati per una accoglienza ai pellegrini. La sua posizione oltre ad essere preziosa è piena di storia e anche particolarmente bella. Dall’altare il sacerdote che si rivolgerà verso i fedeli vede dal vano dell’entrata uno scorcio del paesaggio toscano: le sue omelie avranno una bella ispirazione e i fedeli usciranno da questa chiesa certo con il cuore molto leggero.

… per gli cammini andando e tornando..
Villani, cron., VIII,36

GAMBASSI

La via francigena s’incrocia con la via Volterrana nel centro di Gambassi.
Una documentazione del 1037 racconta di una chiesa di Santo Stefano che fu la chiesa del castrus vetus di Gambassi, distrutta dal più potente San Gimignano insieme al castello intorno agli anni 70 del XIII secolo. Nel 1183 è ricordata una chiesa di San Iacopo (..in castello nuovo..) Nel 1413 si parla di ‘ ecclesia ss Iacobi et Stephani de Gambasso ‘. Dell’edificio romano in cotto, oggi Chiesa di Cristo Re, rimangono evidenti tracce sulla facciata e su di un muro perimetrale. Nelle vicinanze la porta detta: a Chianni.
Nel comune di Gambassi si trova la Badia di San Pietro a Cerreto che fu donata da un abate di Camaldoli. Sulla facciata è presente uno stemma dei camaldolesi.
Attualmente il paese è un centro turistico e anche termale, con un moderno stabilimento che si avvale delle acque della sorgente di Pillo.

di fronte a cose vecchie si può
distinguere fra vecchie ed eterne

SANTO PIETRO

Sola, sopra un poggio il pellegrino incontra una piccola chiesa, Santo Pietro, che sembra lo attenda, ma che purtroppo non potrà visitare, oggi è una casa privata. C’è una citazione nel 1109 che la nomina come luogo di culto sulla Via Romea, e nel secolo XIV assume il titolo di canonica, cioè un luogo con edificio che poteva ospitare una piccola comunità monastica dedita alla cura e all’alloggio dei viandanti.
Un segno di riconoscibilità di queste canoniche era il simbolo della croce greca che si poteva trovare in una scultura o nelle forma di una feritoia. Il pellegrino potrà fare la sua piccola ricerca.

una volta c’era un tempio dedicato al dio Pa

PANCOLE

E’ posto fra il torrente Malena e Arbia e in fondo al colle passa la strada che sbocca sul fiume ove era il ponte di Pancole. Il Casale di Pancole con la corte e la chiesa ha una citazione datata 1119.
Il 1313 vede il passaggio dell’esercito dell’imperatore Arrigo VII e nel 1479 vi passò invece l’armata papale che portava guerra ai fiorentini ( congiura de’ Pazzi ).
L’attuale santuario di Santa Maria Assunta a Pancole è stato costruito sul luogo dove era un’edicola con un affresco del XV secolo della Madonna che allatta il Bambino. A questo dipinto sono stati attribuiti molti miracoli, in particolare quello del 1668 nel quale una ragazza acquistò l’uso della parola. Il fatto ebbe una forte risonanza, fu richiamo di pellegrini e in breve fu costruita la chiesa.
Un caratteristico presepe con le statue a grandezza naturale è quasi una sorpresa che si trova sotto la chiesa.

…la chiesetta sfolgora di mistica luce..
da ‘Suor Angelica’ Puccini

CELLOLE PIEVE

Siamo sul percorso della via Francigena, quella via di comunicazione segnata dai Longobardi e successivamente frequentata dai Franchi dai quali ha preso il nome, ma tracce di insediamenti più antichi dimostrano su questo territorio anche la precedente presenza etrusca e romana.
Quando nel secolo del mille la religione cerca una sua maggiore affermazione facendo nascere una complessa rete di santuari e luoghi di culto, qui si trova una piccola chiesa.
Ricordata da questa iscrizione che si trova in prossimità del campanile

+REMOTA.FUIT.H.PLEBS.A.M.CXC.
IN. ITA FACTA. TEMPORE . ILD
PLE

al suo posto viene eretta

La Pieve di Cellole

Anticamente detta Piviere e dedicata a Santa Maria la chiesa non ha una precisa data di costruzione, sicuramente si può collocare nel XII secolo. In un primo momento ebbe una sola navata e in seguito, forse con l’arrivo di nuove donazioni, fu arricchita delle due navate laterali. Sulla facciata, a sinistra del portone d’ingresso troviamo un’altra iscrizione che riporta la data ufficiale del termine dei primi lavori

A.D. MCCXXXVIII CONSUMAZIO PLEBIS

La solida struttura muraria in travertino ha una copertura a capriate a vista; presenta una dimensione sviluppata più in larghezza che in altezza, che disegna quasi una forma a capanna. Circondata da un piazzale in terra battuta sotto l’ombra di numerosi cipressi comunica un effetto di serena sacralità in una bella ed elegante cornice che non lascerà indifferente anche il pellegrino d’oggi.
La facciata ha un unico portale squadrato e sormontato da una architrave che poggia su due capitelli decorati. L’arco cieco che è posto al di sopra è al tempo stesso ricco e sobrio, assieme alla bifora soprastante completa l’eleganza della struttura ed un interessante effetto di profondità. Le due finestre ai lati del portale sono posteriori .L’interno mostra le due file parallele di colonne in pietra che delineano le navate. I capitelli e i basamenti che ornano le colonne si presentano di diversa fattura e per quanto questo si riscontri in altre chiese dello stesso periodo, si suppone che il materiale usato possa avere origine da precedenti costruzioni.
Due soglie e due gradini in pietra portano ad un sobrio altare .
L’abside, distrutta nel 1600 da un fulmine, ha avuto la prima ricostruzione nel 1879, che ha riproposto le ricche decorazioni geometriche e figure di vegetali e animali oltre a mensole con archetti ciechi. Ai lati dell’abside due finestre laterali mostrano uno spigolo vivo rimasto inalterato. Hanno una dimensione di 10 cm per 1 metro e 70 e il davanzale e l’architrave sono due blocchi monolitici. La posizione di queste finestre orientate a levante consente che la prima luce dell’alba arrivi da queste sottili fessure con una intensità di grande effetto suggestivo: invito al pellegrino di riprendere il cammino dopo la sosta notturna.
La porta interna che serve di comunicazione con la sacrestia è, secondo alcuni, una delle parti più antiche, ed è arricchita da mensole con archetto cieco. Sempre sul lato ovest, più centrale c’è la porta che si apre sul quello che è stato l’antico cimitero, anche se nel primo periodo le sepolture venivano fatte dentro la chiesa stessa. Tutto questo lato in muratura della pieve è rimasto l’originale. La parte esterna dell’abside mostra gli effetti della ricomposizione del restauro per cui alcuni elementi geometrici si presentano una direzione sfalsata.
Sempre durante il restauro fu demolito il campanile che era un’alta torre in pietra con una grossa vela dove erano inserite le campane, simile a quella di Collemuccioli, con funzione di avvistamento, utile per un luogo così isolato.
In quello spazio è stato collocato un fonte battesimale ricavato da un unico blocco di pietra. L’odierno campanile è situato poco distante dalla chiesa e mostra l’utilizzo di elementi asportati dalla vecchia costruzione.
Pezzi di marmi pregiati con ricche decorazioni e forme di capitelli sono stati rinvenuti dispersi nel territorio circostante, testimoniando la grande produzione effettuata per la costruzione della chiesa.
La grande affluenza di pellegrini che si dirigevano a Roma e anche alla volta di Gerusalemme nel dodicesimo secolo poteva trovare in questa pieve sostegno spirituale e accoglienza per la sosta. Papa Onorio III nel 1220 definì il raggio delle competenze della chiesa, che nel corso del tempo diventò matrice di molte parrocchie dislocate nel territorio circostante.
I pievani che nel corso dei secoli si occupati della chiesa meriterebbero di essere ricordati, soprattutto per il loro impegno delle difficoltà incontrate a reperire i fondi necessari per i vari restauri. I nuovi cipressi che ammiriamo sul sagrato, dopo la demolizione di quelli precedenti ai lavori, rappresentano ognuno una famiglia della parrocchia che ha contribuito a reperire dei fondi preziosi.
Oggi, nonostante le variazioni subite nel tempo questa chiesa rimane a segnare una tappa importante nella storia dell’arte del romanico toscano, nonché un documento della vita culturale e spirituale vissuta dai pellegrini.

“Fiore delle castella

SAN GIMIGNANO

Sul fianco settentrionale di una delle più ridenti colline della Valdelsa è situata la terra del paese di S. Gimignano. La sua fortuna, la sua storia ha trovato un grande contributo dalla natura per il clima dolce, il terreno fertile e la bellezza delle colline. All’origine del suo nome sta la leggenda che il vescovo Gimignano nel IV secolo d.C. combattè le eresie percorrendo le vie della penisola e che la sua fama giunse in questo luogo ma anche è detto San Gemignano, vescovo di Modena, avrebbe salvata il borgo dalle orde barbariche.
Prima dell’anno mille il vescovo di Volterra ottiene il possesso di un castello sul Poggio della Torre e nel 934 è presente un luogo di sosta sulla via longobarda – francigena – romea presso la Magione dei Cavalieri del Tempio in Forliano, e nel 990 è annotato il passaggio di Sigerico Sce Geminiane XIX. L’asse della via francigena che attraversa l’intero abitato dalla Porta S. Matteo a nord a quella S.Giovanni a sud diventa fondamentale per l’importanza del luogo, e troviamo che nel 1034 il conte Adelmo fa costruire una Abbazia su uno dei diverticoli della francigena, e alla fine del secolo viene fondata una chiesa con mansio, dedicata a San Giacomo. Nel 1199 il paese diventa un libero comune e s’impegnò con molta abilità nelle lotte di potere con il Vescovo di Volterra ed i comuni limitrofi privilegiando il valore delle pace come produttiva per il consolidamento della sicurezza locale. L’originaria identità agricola si amplia creando in un forte sviluppo un ambiente ricco e colto: nel momento del massimo sviluppo urbano la città possiede più di settanta torri, la maggioranza delle quali sono erette fra il XII e XIII secolo entro i limiti del nucleo più antico.
Oggi ne rimangono solo quattordici: Torre Cugnanesi, Torre Lupi (o del diavolo),Torre Cortesi, Torre Cetti, Torre mozza del Palazzo del Popolo, Torre Becci, le due torri Ardinghelli,Torre grossa del Podestà, La Rognosa, Le torri gemelle Salvucci, Torre Useppi – Ghigi e la gran casa torre dei Pesciolini. Grande crisi colpì il territorio per la peste del 1348, vi fu un gran spopolamento ma nel 1405 il comune operò con leggi appropriata per favorire il ritorno della popolazione.
Oggi il pellegrino che arriva su questo colle di 334 metri arricchisce il suo cammino sia che possa visitare le sue ricchezze artistiche sia che si lasci anche solo ammaliare da ciò che vede passando.
Il Duomo o Chiesa Collegiata di Santa Maria Assunta è il più antico luogo di culto ricordato nel castrum vetus, nella metà del X secolo, fu consacrato da papa Eugenio III nel 1148.
L’antica pieve era di modeste dimensioni, mentre l’attuale struttura ha persino un diverso orientamento, con la facciata rivolta verso la via francigena con due portali sormontati da lunette a tutto sesto e decorate. Il suo valore nei secoli non è mai stato trascurato ed è stata arricchita via via di importanti lavori e opere.
Interessante ricordare all’interno la cappella di Santa Fina dove troviamo i lavori di Benedetto da Maiano e del Ghirlandaio. Accanto alla collegiata la chiesa della misericordia, in origine era un piccolo edificio dell’abbazia di San Galgano, ha la sua storia legata al culti della ospitalità dei pellegrini.
La chiesa di San Bartolo fuori porta Cellolese era una vecchia chiesa accorpata ad un spedale gerosolimitano dedicata a San Matteo. San Pietro è un ‘altra struttura che ha modificato molto le primitive dimensioni, e poco distante si incontra l’imponente chiesa gotica di San Agostino edificata nel 1280. Come non sottolineare gli affreschi nella cappella maggiore di Benozzo Bozzoli che racconta la vita del Santo, mentre l’altare maggiore arricchito dall’Incoronazione della Vergine e santi, i santi della città Santa Fina, San Bartolo e il vescovo patrono della città, ad opera di Piero Pollaiolo datata 1483.
All’interno del castrum vetus fu edificata San Lorenzo in Ponte ( un ponte levatoio collegava il castrum con il castello del vescovo)dove sulla parete destra del loggiato si può ammirare la Madonna in Gloria dipinta da Simone Martini. La chiesa di San Francesco nacque come spedale gerosolimitano di San Giovanni. La chiesa del Quercecchio fu l’antica sede della confraternita di Santa Fina. La storia della giovane Fina dei Ciardi morì a quindici anni e si racconta che al momento del trapasso suonarono tutte le campane della terra. Le si attribuirono molti miracoli.
Nella spezieria museo che porta il suo nome si conservano preziosi contenitori e medicinali utilizzati dall’antica pratica farmaceutica.
Al momento della partenza sarà difficile lasciare questo luogo ma dopo qualche chilometro se il pellegrino avrà l’idea, abbastanza spesso sollecitata dalla prudenza, di voltarsi indietro e guardare il cammino fatto avrà il piacere di cogliere l’insieme della città turrita in una inquadratura, forse quella che serberà per i suoi ricordi.

San Giacomo al Tempio

La chiesa è stata costruita su una struttura precedente della quale sono rimasti pochi resti, fra la fine del XII secolo e i primi decenni del XIII. Ha una facciata con la porzione inferiore realizzata in conci di travertino di ottima fattura, mentre la parte superiore é in mattoni. Il portale mostra l’eleganza dell’arco a tutto sesto che si regge su due mensole figurate. La croce posta sull’architrave testimonia l’appartenenza all’Ordine dei Templari.
Il rosone nella parte superiore della facciata formato da pietre lavorate di fine fattura, completa la grazia che manifesta questo luogo.Ancora sui fianchi si trovano monofore abbellite da un arco monolitico.
In alto una decorazione proveniente dalla Tunisia che è facile riscontrare anche a Pisa e a Volterra, è creata da tredici ceramiche collocate sotto le mensole che reggono una cornice a mattoni.
L’interno è coperto da volte impostate su semipilastri addossati ai lati più lunghi dell’edificio. Opere del trecento in forma di affreschi completano la preziosità del luogo: di Memmo di Filippuccio è La Madonna col Bambino fra i Santi Giacomo Maggiore e Giovanni Evangelista, del Maestro della Madonna di Strass, in basso è La Crocifissione e una Deposizione nel Sepolcro. Sul pilastro sinistro è un San Giovanni Battista dello stesso maestro, su quello di destra un San Jacopo Maggiore di Francesco Fiorentino. In corrispondenza della tribuna si trova una monofora più ampia ed un altro piccolo oculo. Il terreno a fianco della chiesa, come consuetudine del tempo, fu usato come cimitero ma nel corso dei secoli l’utilizzo del luogo ha avuto anche altre finalità.
La chiesa è stata sia luogo di culto, ma, testimone ne è anche la dedica, riferimento per l’accoglienza e ospitalità dei pellegrini che transitavano la Via Francigena. Ne è importante testimonianza il ritrovamento durante i lavori di ristrutturazione di una conchiglia trovata vicina alla spalla di un corpo sepolto in un angolo della facciata: un pellegrino quindi e con il simbolo che portavano coloro che andavano o tornavano da Santiago di Compostela in Spagna.
Come tutti gli ospitali per pellegrini la chiesa era posta nella periferia dell’abitato, ma quando fu fatta una nuova e seconda cinta muraria della città, si trovò all’interno, in una posizione più protetta e tutelata da una porta di accesso che prese il nome della chiesa stessa.
Fino al 1311 fu di competenza dell’ordine dei Templari. Si racconta in un poema di un certo Lupi che i Baccinelli andarono alla prima crociata, e che al loro ritorno eressero questa mansione dei Cavalieri Templari, intorno all’anno 1096. Il primo è citato come F. Ruggero. Nel medio evo vi furono a San Gemignano molte famiglie importanti, ma anche persone comuni che dedicarono alle opere sociali parte delle loro sostanze o lasciti testamentari, ma la nobiltà degli intenti dei donatori non sempre si è espressa nella onestà degli esecutori; e, infatti, dalle cronache del tempo è più facile trovare testimonianze di denunce di malservizi che racconti di buone opere.
Comunque si registrano, oltre alla Mansione de’Frieri Templari e Ospitaleri, che cessò la sua opera soprattutto a causa della implacabile persecuzione fatta da Filippo il Bello di Francia nel 1308, in San Gimignano sostenuti da finanziamenti pubblici: lo Spedale di Santa Fina (attualmente museo che conserva preziosi contenitori e medicinali utilizzati all’epoca), lo Spedale degli Innocenti che dipendeva da Santa Maria della Scala di Siena, lo Spedale dei lebbrosi, lo Spedale dei pellegrini curato dai Frati di San Francesco, divenuto poi Convento di San Francesco e soppresso dal magistrato del Bigallo nel 1747. Dopo la soppressione dell’Ordine che l’aveva creata, per un breve periodo la chiesa di San Giacomo al Tempio passò sotto il controllo dei Gerosolimitani, ma intanto il rituale del pellegrinaggio perse il suo richiamo e la Via Francigena venne meno frequentata, al contempo la città di San Gimignano si trovò ad affrontare molte volte il flagello della peste che arrivò a decimare la popolazione, e alla fine del 1500 non fu risparmiata neppure dalla grande carestia che afflisse tutta l’Italia, per cui tutta l’attività rivolta al nobile scopo dell’accoglienza si spense. La preziosa chiesa fu trascurata e oltre all’utilizzo improprio, rischiò la rovina totale.
Ma dal 1337 un monastero, casa con chiostro, davanti alla Magione del Tempio, era diventata sede del Convento delle Suore Benedettine Vallombrosane; tre secoli dopo la chiesa di San Giacomo al Tempio fu affidata alla loro proprietà.
Presso questo Convento oggi i pellegrini trovano il luogo di sosta ma si auspica che possa essere ricostruito l’antico Pellegrinaio a completare la ricchezza, la bellezza e l’onore di questa città che conserva una così preziosa testimonianza del passato.

G.Villani :Questo Poggibonizzi fu il più bello castello,
e de’ più forti d’Itali.. e con molte belle chiese e pieve.

POGGIBONSI

L’abitato medievale fortificato intorno all’Abbazia di San Michele è Castrum Marturi, ai suoi piedi nasce successivamente il borgo Marturi con la Pieve di santa Maria: l’odierno Poggibonsi.
E’ il 6 dicembre del 1021 che l’Abbazia di San Michele è la sosta di Enrico II in viaggio ‘per la via dei romei e dei franchi’. Un’altra data da riportare è quella del 1089 nella quale l’Abate Uberto designa un edificio della Badia ad uso ospedale dedicandolo a San Michele.
Nel 1151 Martinus Borg viene raccontata dall’abate islandese Nikulas come tappa del viaggio verso Roma. Di pochi anni dopo è una bolla pontificia di Papa Adriano IV con la quale conferma la cura parrocchiale della nuova città al pievano di S.Maria a Marturi e gli riconferma la cappella di San Michele dentro il castello, la cappella di santa Croce e l’ospedale del ponte sul fiume Staggia, e la casa di detto ospedale edificato in memoria della Contessa Matilde.
Nel 1156 otto borghi costituiscono una nuova città che viene donata dal conte Guido al popolo senese. Ogni contrada ha la sua chiesa. La chiesa di S. Maria Assunta è posta sulla via principale, proprio la Via Francigena che entra da Porta S. Michele e attraversa la città fino all’altra porta dei senesi.
S. Michel Castellum‘ sosta Filippo Augusto nel 1191 e nel 1204 transita il patriarca di Aquileia.
1210 l’ospedale di san Michele lo troviamo sotto la diretta protezione imperiale.
Tutte queste date danno al territorio una identità di importanza perché situato sulla biforcazione della Via Francigena, a sud est verso Siena, a nord verso Firenze, a ovest verso Lucca e Pisa e sempre rilevante è essere un punto di confluenza di due corsi d’acqua :lo Staggia sull’Elsa.
Le alterne vicende di appartenenza a Siena e a Firenze si possono leggere attraverso i resti delle costruzioni delle mura più volte demolite e ricostruite,anche se sono quasi dei tutto scomparse.
Il Castello di Poggio Bonzo, famoso per le forti mura e le torri e le famose sorgenti, fuori dal castello che fu distrutto dai Guelfi fiorentini nel 1270.
La data 1465 viene ricordata per la chiesa di S.Lorenzo dove avviene l’incontro fra il frate Girolamo Savoranola e Carlo VIII.
Nelle vicinanze è Torri dove c’era uno spedale gerosolimitano, ora semplicemente una casa colonica; sulle sponde del fiume Staggia è la chiesa di San Giovanni in Jerusalem. L’edificio che risulta databile ai primi decenni del Duecento è affiancato da una torre, un pellegrinaio e il convento. A questa chiesa apparteneva la tavola di Taddeo Gaddi raffigurante la Madonna col Bambino e Angeli, ora alla Galleria degli Uffizi a Firenze.
Nel 1529 Poggibonsi viene presa e semidistrutta dall’esercito pontificio di Clemente VII .
Il castello di Staggia con la torre, a guardia del guado, il borgo con la chiesa di Santa Maria in direzione di Siena è la testimonianza di un altro baluardo del confine senese contro Firenze, che , come avviene per Poggibonsi alterna la sua appartenenza fra le due città rivali.
Importante per il passaggio dei pellegrini fu la ricostruzione del ponte sul fiume Staggia al confine nord dell’abitato avvenuta nel 1388.

SAN MARTINO IN FOCI

Dopo aver passato il torrente Riguardi nella direzione di Molino d’Aiano, il pellegrino deve immaginare San Martino in Foci che c’era ed era sicuramente di rilievo perché fu la tappa di Sigerico Sce Martin In Fosse XVIII.
Un chiesa Romanica dedicata a San Bartolomeo è a Campiglia dei Foci.

La terra di Arnolfo di Cambio
(Colle Val d’Elsa 1245 – Firenze 1303)

COLLE VAL D’ELSA

Situata sulla sponda sinistra del fiume. La città è formata di tre nuclei corrispondenti alle fasi formative tra il X e il XIII secolo. In basso sta il Piano che si presenta con un aspetto moderno ma per la storia ha avuto la sede dell’antica Chiesa della Spugna, sopra di essa la badia di Spugna o abbazia di San Salvatore oggi è una fattoria ma al tempo fu famosa e ricca.
Dietro la chiesa scorre l’Elsa sulla cui sponda si scorge un pilone di un ponte scomparso, detto di Arnolfo. La strada dal basso aggira l’abitato a nord e connette i due poggi sui quali si attestano il nucleo originario e la successiva espansione del borgo.
Il territorio è nel X secolo feudo della potente famiglia Aldobrandeschi, luogo particolare per la sua stessa posizione naturale, e importante per quella strategica nella contesa fra Siena e Firenze.
Nel 1107 gli abitanti di Piticciano o Colle nuovo si pongono sotto la protezione dei fiorentini.
Il castello viene cinto di mura e muta il nome in quello di Castrum Collis.
Dopo lo sdoppiamento della via francigena alla metà del secolo XII il Colle viene a trovarsi in posizione di equidistanza rispetto ai due tracciati e questo se non rappresenta un punto di riferimento ed un sostegno per i pellegrini serve invece al paese per espandersi e aumentare la propria strategia. La città include il fondovalle che era il borgo dei Franchi. Il pellegrino non si meravigli alla nota che dice che nella costruzione del nuovo circuito murario fu mescolato alla calce il sangue dei rappresentanti dei comuni di Firenze e di Colle per suggellare una perpetua alleanza, le crudezze di oggi sono diverse ma non migliori.
Nel corso del secolo successivo arrivano gli ordini mendicanti: i Francescani su un colle egli Agostiniani nella pieve di pianura. La città ebbe una crescita costante di importanza e si arricchì di chiese e palazzi ma la sua floridezza e notorietà per le industrie già in età medioevale, per la lana e per le cartiere è dovuta allo sfruttamento delle acque dell’Elsa. Le Gore risalgono al IX e X secolo ed è un ingegnoso metodo di canalizzazione delle acque per utilizzarne la forza motrice.
La città vanta la presenza di un museo archeologico , uno dei più importanti musei etruschi d’Italia, ed un museo con bellissime raccolte di Arte sacra.
Grande onore è essere stata il luogo di nascita di Arnolfo di Cambio, scultore e architetto la cui storia raccontata da Giorgio Vasari rappresenta un personaggio di grandi qualità. Fu discepolo di Nicolo Pisano e collaborò al pulpito del Duomo di Siena e all’Arca di San Domenico a Bologna.
Un altro attributo particolare di questa città riguarda la produzione del vetro che iniziata nel 1331la porta oggi ad essere denominata la Boemia D’Italia, ovvero La Città Del Cristallo.

Ma pur levato, piede innanzi piede,
pien di molti pensieri per la rivera
si mise vèr l’ostello…
Giovanni Boccaccio

CERTALDO

Paese natale di Giovanni Boccaccio, questo paese in provincia di Firenze, è noto a tutti.
La casa del poeta conserva solo tracce della primitiva struttura medievale, è stata ricostruita dopo i danneggiamenti dell’ultima guerra e possiede una biblioteca specializzata sul ‘Decamerone ‘. Nel complesso conventuale dei Santi Iacopo e Filippo c’è la tomba dello scrittore.
Il poeta non è estraneo al nostro orizzonte, nelle sue cento novelle ci ha offerto tante notizie del suo tempo e ci ha provato in qualche peregrinazione nei momenti di studio, ma non è solo per ricordare il luogo di nascita che diamo al pellegrino notizie di questo paese. Anche lui ha il suo fascino, soprattutto per il borgo medioevale di Certaldo Alto, anche lui è importante perché si trova sulla direttrice di una delle diramazioni della Via Francigena. Accenniamo alla sua storia cominciando dal 1164 quando diventa feudo dei conti Alberti di Prato per concessione di Federico Barbarossa, e poi vedere che nel 1184 si deve sottomettere a Firenze. Durante il periodo mediceo fu il centro politico e giudiziario più importante della Val d’Elsa
Il nucleo alto dell’impianto urbanisticoo medievale è rimasto inalterato,è raccolto entro le mura ben conservate su cui si aprono la Porta Alberti, la Porta al Sole,e la Porta al Rivellino. In cima si trova il Palazzo Pretorio che fu probabilmente la dimora dei Conti Alberti; è una importante struttura merlata in mattoni rossi con la facciata adornata di stemmi e targhe sia in pietra che di marmo, due dei quali provengono dalla bottega dei Della Robbia.
Presso il torrente Agliena , nella piazza dei Macelli si trova un tabernacolo detto ‘ Dei Giustiziati’ che aveva una ricca serie di affreschi attribuiti a Benozzo Bozzoli in data 1446; era il luogo dove i condannati a morte potevano ricevere l’ultimo conforto religioso. Adesso gli affreschi sono stati collocati nella chiesa dei Santi Iacopo e Filippo.

eco di inni antichi

PIEVE A CONEO

In cima alla collina il pellegrino la vede da lontano: è una pieve molto bella che domina il paesaggio ed è dedicata ai santi Ippolito e Cassiano.
L’associazione di questi due santi si trova in un inno, l’XI del Peristephanon di Prudenzio, al quale a sua volta fece riferimento per un poema del 940 lo storico Flodoardo di Reims.
Nell’inno la narrazione della vita di Ippolito presenta elementi del mito della principessa cretese Fedra e del povero figliastro che venne travolto e ucciso da una coppia di cavalli. Già la figura del santo si confonde in tre diverse versioni: Ippolito di Porto, Ippolito di Roma e Ippolito soldato, ma la maggioranza delle sue rappresentazioni lo presentano con i cavalli come elementi del suo martirio. Interessante quasi curioso sarà per il pellegrino sapere inoltre che Cassiano, martire del VI secolo per le persecuzioni di Diocleziano, era un maestro di stenografia. Una leggenda del XII secolo ne parla come primo vescovo di Sabiona ( presso Bressanone )
La chiesa che risale al X secolo ha una facciata che ricorda lo stile pisano per l’alternarsi delle bande orizzontali di laterizio con il bianco alberese.

Incontro di molti tracciati

BADIA A CONEO

I monaci vallombrosani consacrarono nel 1123 questa abbazia in Val D’Elsa, il cui ingresso era alla destra della chiesa, dedicata a Santa Maria, che è l’unica parte rimasta. La chiesa ha un’unica navata con un transetto a tre absidi, e l’aspetto ha quella solenne severità che è insieme elemento di antico e di sacro. La facciata è decorata da semicolonne e piccole arcate di stile borgognone, mentre il carattere longobardo lo si potrebbe riscontrare nella grande cupola che poggia su un tamburo ottagonale. Questo luogo ha avuto molta importanza territoriale, soprattutto come punto in cui confluiscono diversi tracciati della Via Francigena.

E se stati non fosser d’acqua d’Elsa
Li pensier vani intorno alla tua mente
XXXIII Purgatorio 67
‘Feci un legno porre ,lungo e sottile, e pria che fosse un mese
grosso era e pietra quando lo venni a torre’ Fazio degli Uberti

GRACCIANO DELL’ELSA

Percorso storico Intorno al fiume Elsa non possiamo tralasciare il racconto dell’Elsa morta e dell’Elsa viva. Si tratta di una bocca d’acqua ricca e limpida che trasforma una parte detta morta da renderla viva, inoltre è tiepida e satura di acido carbonico così che trasporta della calce del suolo sottostante.
‘lo ‘ntelletto fatto di pietra’ simboleggiato da dante nel purgatorio.
Queste acque sorgive sono state preziose come forza idraulica alle cartiere e ai molini di Colle.
Presso il ponte sull’Elsa si trova il santuario dedicato a san Marziale. Del santo sappiamo
che era un orientale, probabilmente proveniente dall’Asia Minore e che fu l’evangelizzatore dell’Aquitania nel terzo secolo. A partire dall’epoca carolingia, i monaci dell’abbazia fondata sulla tomba del santo vissero e prosperarono grazie ai doni dei pellegrini e dei devoti. Intorno all’anno mille nacque una complicata diatriba fra chi sosteneva che era un apostolo e chi lo riteneva vissuto in secoli successivi. Si delineò persino una concorrenza del pellegrinaggio a Santiago di Compostella, e lo storico rinomato e intellettuale Ademaro di Chabannes, formulò per lui nel periodo 1027-1028 una nuova liturgia apostolica. Probabilmente Ademaro, nella creazione del suo falso agiografico, ebbe l’appoggio non solo dei monaci, ma anche del duca e del suo vescovo.
San Marziale è venerato nella Valle dell’Elsa, dove egli operò il primo miracolo e la prima evangelizzazione. Si può ipotizzare che san Marziale, patrono di Limoges, rientri nella categoria dei santi “importati” dai pellegrini franchi, ma c’è anche una tradizione locale, infatti ogni anno il primo giorno del mese di Luglio a Gracciano c’è la festa di san Marziale, del quale si racconta che vi fece il suo miracolo quando sulla strada di ritorno da Roma risuscitò Austricliniano, suo compagno di viaggio.
Aesle XVII è il passaggio di Sigerico.
Dopo la statale si trovano i resti archeologici conosciuti come i Bagni delle Caldane ( 181 m.), si vede un’ampia vasca tuttora ricolma d’acqua circondata da vegetazione palustre, sono stati famosi in epoca etrusca e romana.

Lotte fra invidiosi

STROVE

Il paese (210 m.) al quale si arriva da Gracciano dalla strada della Cerreta, è una frazione di Monteriggioni
Nell’alto Medio Evo questo territorio era una palude che si chiamava Canneto e arrivava, a nord, alla base del poggio di Castiglion Ghinibaldi e fino ai piedi di Ca’pita e del grande casale che oggi si chiama Casone. Forse questo era il luogo dell’antico monastero S. Antonio al Bosco.
Situato fra le due postazioni dove fece sosta Sigerico , Abbadia a Isola e Pieve a Elsa (Gracciano d’Elsa ) segna un punto dove la Cassia si raccordava alla Via Francigena.
Dove oggi c’è il podere San Giovanni si arriva dopo aver passato un bosco, per poi scendere alla località Valmaggiore. Qui nell’Alto Medioevo vi era una rocca con una torre e forse un albergo ed una osteria come si deduce da una casa di grandi dimensioni molto vicina alla strada.
Un personaggio descritto nel purgatorio di Dante Alighieri, di nome Sapia ha avuto i natali in questa valle. Si individua nelle lotte continue fra i senesi e i fiorentini, fu lieta di vedere la disfatta dei suoi concittadini e non se ne sa il perché; nel suo luogo di penitenza si racconta di essere stata: più lieta dei danni altrui che della propria fortuna.

 

 

 

L’isola dei pellegrini

ABBADIA A ISOLA

Percorso storico L’itinerario del vescovo ha la stazione Burgenove XVI in questa località, chiamata ‘ isola’ perché sorta su un rialzo del terreno nella piana paludosa di Canneto, poi bonificata. Il grande complesso abbaziale fu fondato un decennio dopo il transito di Sigerico, nel 1001 dalla contessa Ava della famiglia longobarda signori di Staggia, di Montemaggio e della Val di Strove.
Prima fu fondata la chiesa dedicata a San Salvatore e in seguito anche a Cirino,poi il monastero con la preesistente chiesa di San Cristoforo nel Borgonuovo.
Tutto il complesso compresi vasti poderi e la vicinanza della corte di strofe signori ebbe grande risonanza nel XII secolo; poté contare su un cospicui patrimonio con il quale provvedere anche all’accoglienza ed assistenza ai pellegrini
Nel 1198 vengono conservata nella chiesa le reliquie di S.Cirino provenienti dalla chiesa di Staggia
Nel XV secolo il villaggio, con declinare della Via Francigena, perde la sua importanza fino a decadere.
Le mura della abbazia esistono ancora, da quelle si entra da un arco in una grande piazza nella quale si fermavano i pellegrini. Al centro si trova la chiesa in stile lombardo dell’XI e XII secolo,ma non è quella fatta costruire da Ava. L’antica si trova sotto l’attuale nella cripta, era più piccola e tre navate con un’unica abside. Ne è stato rinnovato il basamento e le basi di alcune colonne.
La chiesa di adesso ha una facciata che mostra ampie tracce di un singolare portale doppio affiancato da due robuste semicolonne, soluzione assai diffusa tra le chiese romaniche legate ai pellegrinaggi. All’interno la suddivisione delle navate con colonne alternate a pilastri polilobati dimostra la derivazione lombarda. Ricco di opere pittoriche di Taddeo di Bartolo, Sano di Pietro e del Tamagni il luogo raccoglie varie influenze, arrivate e poi diffuse anche per merito dei pellegrini. Una iscrizione del 1198 attesta la presenza delle ossa di San Cirino raccolte in un’urna etrusca. Un opera di Duccio di Boninsegna, o di un allievo, Madonna con Bambino, si trova nel Museo Diocesano di Colle Val d’Elsa.
Successivo, del secolo XIV è il chiostro, dove si notano i resti di una torre campanaria. Il luogo ha un fascino particolare e il pellegrino lo lascerà a malincuore sperando di trovare ancora un clima come questo. Ma sarà accontentato!

Monteriggion di torri si corona,
XXXI, 41 Inferno

MONTERIGGIONI

Siamo a circa metà strada fra Siena e Colle Val D’Elsa, all’altezza di una uscita della superstrada Firenze – Siena, o utilizzando il treno si scende alla stazione di Castellina Scalo, e dopo circa 3 chilimetri a piedi possiamo incontrare un altro luogo speciale, e per di più unico. Così nacque:
il monaco Ugo di Badia a Isola riceve un podere da Bernardino di Bernardo di Ardengo nel 1126, e
diciassette anni dopo il nuovo abate Bernardo riceve altri terreni da parte di Bernardo e Barna di Giovanni Mozzini. Su queste terre nel 1213 il governo di Siena comincia la costruzione del castello di Monteriggioni che durerà sei anni, come dimostra una lapide sulla porta Romea.
Monteriggioni nasce quindi come castello a forma di città per la sua particolare posizione strategica, ed ha lo scopo di ospitare una guarnigione lungo la via francigena e di poter esercitare la funzione di controllo sulle valli dell’Elsa e dello Staggia in direzione di Firenze, storica rivale di Siena.
Il vescovo di Volterra in quegli anni segue una politica di espansione che parte da S. Gemignano , ma sul questo territorio rinuncia nel 1215 a tutti i diritti. Invece da parte di Firenze si manifestano subito contrasti per la costruzione poiché rappresentava uno sbarramento verso Siena.
In seguito per il suo possesso si combatté tra senesi e fiorentini nel 1244 e nel 1254.
Nel 1269 dopo la battaglia di colle (citata da Dante nel XIII canto del Purgatorio) i Senesi vinti si rifugiarono a Monteriggioni invano attaccato dai Fiorentini.
La cinta muraria è di forma ellittica, lunga circa mezzo chilometro, con 14 torri più una interna che si elevano per 15 metri al di sopra della cinta muraria. La vista e l’effetto di questo borgo anche da lontano è imponente e suggestivo, al tempo poi si avvaleva di altri elementi di difesa più ricercati:
Le mura erano fornite sia di merlature quadrate sia delle ” bertesche ” cioè strutture in legno che sporgevano dal filo delle costruzioni nei punti di maggiore impegno difensivo, e un fossato riempito di carbone circondava il castello per essere incendiato nei momenti a rischio di assalto
Questo castello ripete in piccolo la ripartizione tipica di Siena, vi si accedeva da due porte, una a levante che guardava verso Siena, ” porta romea o franca “, l’altra a ponente verso Firenze , diametralmente opposta alla prima ” porta S. Giovanni o Fiorentina”
La porta senese è quella che ha maggiore valore sia strategico che scenografico. Sarà il contrario a San Quirico dove la porta senese è a rivolta verso nord è posta in modo tale che inquadra direttamente la facciata della Pieve.
La chiesa di Santa Maria fu eretta in concomitanza del castello. Nel 1296 la chiesa viene fornita di un fonte battesimale e prende il titolo di Canonica.
Nel 1360 la chiesa diventa Pieve ed ha ben dieci dipendenze. E’ un edificio tardoromanico con una semplice facciata a capanna con paramento in travertino a corsi orizzontali. Il portale conserva di originale solo l’arco a tutto sesto. L’interno non conserva arredi antichi.
Il borgo è un affascinante documento storico e quello che il pellegrino trova oggi è essenzialmente autentico e all’interno troverà il carattere rustico e semplice che trasmette l’idea e la tranquillità del mondo medioevale.

Sulle torri i merli a nido di rondine:
torre ghibellina!

SIENA

La città è situata in una zona collinare che divide il bacino dell’Arno da quello dell’Ombrone .
Presenta per l’organizzazione urbana una matrice etrusca: la città con tre porte che si trova anche in altri insediamenti del contado nel periodo duecentesco. Nel età romana la città non evidenzia ancora la grande importanza che avrà in seguito, principalmente perché si trova fuori dalle vie di transito maggiori, la Cassia e la direttrice costiera dell’Aurelia, ma con l’affermazione della via Francigena il suo ruolo diventa determinante e lo sarà per molti secoli.
E’ facilmente constatabile che l’incrocio delle tre strade, verso Firenze, verso Roma e verso la Maremma, convergono nel suo centro e che corrispondono ai tre assi che strutturano le tre parti della città; le porte necessarie alla direttrice di attraversamento sono solo due, una rivolta verso Firenze e una verso Roma.La via Francigena entrava in città attraverso la porta Camoglia verso Porta Romana attraverso i Banchi di sopra, l’incrocio della croce al travaglio e i Banchi di sotto (San Martino).
E’ alla fine dell’undicesimo secolo che Siena, contando su un forte potere vescovile, comincia la sua grande espansione. In tale fervore anche le iniziative di accoglienza e di sostegno per i pellegrini che la attraversavano si inseriscono fra le attività culturali ed economiche; e un contributo viene anche dalla presenza del il mito del Beato Sorore..
La leggenda di questo ciabattino, morto già nel 898, che, rimasto senza famiglia, si dedicò ad ospitare i pellegrini e i viandanti in casa sua, cercando poi di ingrandirla per rispondere meglio alle tante necessità che vedeva, fino a farla diventare un vero e proprio ospedale, si dice riguardi la nascita ddell’istituzione di Santa Maria della Scala. La leggenda continua con l’arrivo del diavolo che di fronte a tanta bontà volle adoperarsi per annientarla e si fece ospitare da pellegrino per poi accusare Sorore di averlo depurato. Il beato stava per essere giustiziato ma invocando il nome di Dio in suo aiuto, fece scappare il diavolo e mostrare l’inganno. Da allora si dice che tutti i pellegrini entrando nell’ospedale dichiaravano ciò che portavano con sé, e questa prassi in uso all’ospedale di Santa Maria della Scala ha finito per produrre tanti proventi, quasi facendo la funzione di una banca. Altri dicono che Sorore fu un santo Francese di cui parlavano i pellegrini che venivano da quei paesi e ne raccontavano la grande santità se pur diversa da quella di aver vinto il diavolo. La gestione dell’ospedale è stata contesa a lungo fra il potere religioso e quello politico; la sua fortuna deriva anche da una legge fiscale che esonerava i cittadini dal pagamento delle tasse sui beni che avessero alla loro morte lasciato in eredità all’ospedale.
Lo stemma di questo ospedale contiene una scala con sopra una croce, il pellegrino la potrà riconoscere lungo la Via Francigena e anche all’esterno di edifici, assieme a lapidi e denominazioni; la sua attività è sempre stata in crescita ed è continuata nel corso dei secoli fino a diventare l’ospedale della città gestito dalle istituzioni comunali. Non è da molto tempo che, con la costruzione di un nuovo ospedale moderno, è stato recuperato nel suo valore di testimonianza e con un opportuno restauro adesso è un museo. Chi si fa pellegrino non può passare senza entrare a vedere il pellegrinaio.
Fulcro della città è Piazza del Campo, un luogo unico e bellissimo che viene definito una conchiglia rovesciata e anche raccontato come dedicato alla Madonna di cui è il disegno del manto.
Sulla piazza disegna la sua ombra la Torre del Mangia, simbolo dell’autorità comunale costruita e nel palazzo comunale si trova al museo civico il grandioso affresco di Simone Martini del 1312 : Il Buon Governo anche interessante testimonianza della vita del tempo.
Il Duomo, la Cattedrale dell’Assunta fu iniziato nel secolo XII su una chiesa precedente, del IX, che a sua volta copriva il territorio di un tempio dedicato a Minerva. Uno scrigno di gioielli da ammirare: la struttura, la facciata, l’interno, il pavimento, il pergamo di Nicola Pisano, le cappelle.
Nel 1311 Duccio di Boninsegna presentò il suo capolavoro: La Maestà ; l’opera fu trasportata in trionfo dalla bottega alla Cattedrale con un corteo di autorità civili e religiose, nonché un grande concorso di popolo.
Siena fu con i suoi vescovi sempre sulla cresta dell’onda per difendere e aumentare il suo potere, ma assieme a questo la tradizione religiosa fu al tempo stesso preziosa nelle guerre e nelle lotte con le altre città della toscana. Santa Caterina da Siena e San Bernardino si adoperarono per placare le fazioni fratricide.
Le cose da ricordare e da visitare in questa bellissima città toscana, vanto anche del bel parlare, sono tante e di tanto valore che il nostro attraversamento non riesce nemmeno a toccare, e il pellegrino che sia riuscito a visitare i soli tre luoghi di cui abbiamo parlato si troverà già saturo di bellezza e rimanderà tutte le altre visite alle possibilità del futuro.
Per la gioia del palato si conceda un’altra conoscenza: i ricciarelli.
Siena, una buona città, dove il seggio vescovile è nella chiesa di Santa Maria, dice nel suo passaggio l’Abate Nikulas e Il ritorno di Filippo Augusto continua deinde per Senes-la-Velle civitatem episcopalem.
Seocine XV è la tappa di Sigerico.

Nessun frate posto alle grancie de lo spedale
possa… Statuto dello spedale di Siena 129

ISOLA D’ARBIA

Percorso storico Durante questo percorso il pellegrino incontrerà proprio sul ciglio della strada una chiesetta dedicata a S. Ilario di devozione dei pellegrini francesi. Il santo nato a Poitiers, di cui fu poi vescovo, nel quarto secolo fu un grande diffusore della dottrina cristiana opponendosi fortemente all’arianesimo ma studiando anche i teologi orientali ( De fide contra Arianos ).Una scultura del XII secolo lo rappresenta sulla facciata di Notre Dame la Grande a Poitiers.La facciata della chiesa è decorata con piccole arcate ad intarsio di marmo bianco e serpentino verde e sull’arco della porta si trova la croce intarsiata dell’ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. (che poi furono chiamati di Malta)
Sulle rive del torrente Tressa, poco oltre la sua confluenza con l’Arbia, c’è Cuma un borgo agricolo, circondato da mura, con un particolare edificio, una testimonianza unica, la Grancia di Cuna. Grancia è un termine derivato dal francese e dal latino volgare, che riporta a granaio. Questo metodo di raccolta fu portato dai medici francesi e quella di Cuna fu eretta nel 1224 dal comune di Siena e dallo spedale di Santa Maria della Scala.
L’edificio è veramente eccezionale, ha quattro piani, senza scale ma con rampe che potevano essere percorse dai muli con i loro carichi. Si può visitare e portarsi via una esperienza veramente speciale. Queste fortificazioni adibite alla conservazione dei cereali erano destinate a garantire le riserve di cibo per i periodi di carestia o le guerre e da qui attingevano le forniture per gli ospedali per i pellegrini, in seguito si sono diffuse intorno ad altri conventi, per esempio: ‘la grancia dei romiti di Camaldoli'( Lami )
Nel borgo c’è una piccola chiesa che essendo dedicata a S.Pietro e San Giacomo, unisce così le due grandi strade di pellegrinaggio. Al suo interno i due affreschi che raccontano il miracolo dei polli avvenuto a Santo Domingo della Calzada in Spagna dimostrano che le devozioni sono due ma la strada è una sola. Presso il Museo Condé a Chjantilly in Francia in una pagina miniata del Libro d’Ore di Etienne Chevalier datato 1450 è rappresentato il Martirio di San Giacomo Maggiore, e alla base del dipinto piccoli riquadri monocromi rappresentano il suddetto miracolo (sec XV).
Arbia XIV è la tappa di Sigerico, ma non sappiamo se sia mai andato verso il cammino spagnolo.
Qui in Val D’Arbia, nella fattoria fortificata di Cuna si parla e quindi continua la leggenda del Beato Sorore.

Fatti lavorare per forza d’acqua. raghi

MONTERONI D’ARBIA

Il paesaggio di questo territorio a sud est della città di Siena e di tipo collinare, senza vegetazione dove si alternano in modo suggestivo calanchi e biancane. Sono le crete senesi ma nel medioevo veniva chiamato Deserto di Accona. Oggi con opere di irrigazione è possibile coltivare girasoli e grano, mentre rimane inadatto per la vite e l’olivo.
Un mulino fortificato che sicuramente si trovava in corrispondenza delle grance , oggi è di proprietà privata, ma testimonia ancora l’antica attività che era prevalente nella zona. Il mulino ad acqua è comparso nel primo secolo avanti cristo, viene considerato come la prima installazione industriale della storia, della quali spesso i detentori erano i conventi che traevano da questo lavoro buona parte dei loro proventi.
Poco oltre Monteroni, sulla Cassia, si trova un bel borgo fortificato,a pianta circolare Lucignano d’Arbia che mostra la sua origine trecentesca di fortezza nelle due porte- torri e nella massiccia torre medievale trasformata in campanile nella pieve romanica di San Giovanni Battista. Prima di entrare in paese il pellegrino incontra una fonte in laterizio con una bella vasca a pianta quadrata.
( incontri preziosissimi! ). La chiesa di Santa Cristina è ricordata con un ospedale annesso fin dal X secolo.
Poco più avanti si può arrivare alla magnifica Pieve di Corsano.
Sul crinale opposto c’è il convento di Monte Oliveto Maggiore, dove i frati che vivono in clausura curano una biblioteca di libri antichi. C’è un bellissimo chiostro completamente affrescato da Luca Signorelli.
La Pieve di Sant’Innocenza alla Piana si trovava in un centro agricolo circondato da mura trecentesche. Luogo prescelto dal vescovo di Siena per trascorrere la pausa estiva e meta preferita di diversi papi. Nel castello di Percenna erano attivi spedali e ospizi in gran parte fondati grazie a lasciti di ricche famiglie. Declinò con l’affermarsi della vicina Buonconvento e fu abbandonata alla fine del secolo XV. Del famoso abitato resta solo la pieve di San Lorenzo e qualche casa.

 

 

 

Buon convento,
cattivi frati!

BUONCONVENTO

Antico luogo di sosta sorto alla foce del fiume Arbia nel fiume Ombrone.
Ha la testimonianza del passaggio del re Filippo Augusto: Deinde per Bon-Cuvent
Il nome deriva da bonus conventus, luogo felice e comunque anche attualmente ha la fama di essere definito uno dei più bei comuni d’Italia, ed centro più importante della Val d’Arbia.
Si può raggiungere con la linea ferroviaria per Grosseto, ed è situato al km 200 della Cassia, l’antica strada che attraversa tutta la valle.
Si hanno cenni storici già dal 1100, ma la fortificazione con una cinta muraria non venne fatta prima del 1371 per una precisa decisione di Siena che temeva che il luogo, così tanto frequentato da viandanti , pellegrini e marcanti, diventasse troppo importante. Il paese considerato pertanto ricco fu obbligato da Siena a dare forti contributi; si ha notizia che nel 1208 volle una notevole somma per sostenere le spese delle sue lotte con Firenze. Cambiano le esigenze strategiche e in seguito vediamo Buonconvento assumere il ruolo di porta del Contado della Città di Siena; nello stesso periodo avviene la fortificazione anche di Torrenieri, mentre Firenze di rimando fortifica Staggia di nuove mura. Nel 1313 l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo vuole riconquistare l’autorità imperiale sul luogo, lo conquista ma muore nella stessa città. Poco dopo viene assalito da Uguccione della Faggiola , e ancora gravi danni subisce nel 1358 dai Perugini che erano in lotta con i Senesi. Arriva quindi l’ importante fortificazione per la cui costruzione saranno necessari 12 anni.
Il circuito murario di Buonconvento è scandito da torri di guardia, delle nove originarie ne restano sette. La torre del palazzo civico è il fulcro dal quale parte il disegno radiale, lo stesso schema si può ritrovare a Monteriggioni.Il borgo trecentesco è perfettamente conservato, ospita il Museo di Arte Sacra della Val d’Arbia nel Palazzo Ricci. Inaugurato nel 1979 raccoglie molte opere provenienti dalle chiese della valle di artisti della tradizione senese nei vari secoli , il cui nucleo iniziale fu creato nel 1926 da Don Massari, un prezioso parroco di Buonconvento.
La chiesa parrocchiale di San Pietro e Paolo e l’Oratorio di San Sebastiano sono i monumenti di maggior rilievo. Nel muse di luglio viene fatta sotto le mura una rievocazione della trebbiatura in onore della antica tradizione agricola della città.

Vendetta guelfa

BADIA ARDENGA

Ad un bivio una indicazione invita che, a sinistra dopo un chilometro, c’è Badia Ardenga.
La strada per Roma non è mai abbastanza lunga, se il pellegrino è sensibile ai richiami .
E qui, dove di un vecchio cenobio vallombrosiano rimangono alcune costruzioni ed una grande chiesa sormontata da un campanile a vela, il luogo può essere particolarmente ideale per una sosta.
Della chiesa ora rimane solo una navata ed è mantenuta in vita grazie ad una struttura di agriturismo dalla quale può reperire dei fondi. E’ un angolo di pace e sarà fortunato chi avrà la fortuna di scoprirlo e di goderne ma per il ‘contrappasso’, ricordiamo che il ghibellino Arrigo VII di Lussemburgo, nel giorno 24 di agosto del 1313 fu avvelenato da un frate di fede guelfa qui alla badia, addirittura dandogli la Comunione.

In cima alla salita il pellegrino
è pronto ad incontrare l’ignoto

MONTALCINO

La bianca strada che da Buonconvento conduce a Montalcino può essere di grande sollievo al pellegrino. Per quanto lo zaino sulle spalle possa farsi sentire come costante fardello e sempre e comunque con la presenza della devozione e del desiderio che spinge il pellegrino alla volta di Roma, l’identità del pellegrino si alleggerisce e può allontanarsi in questo tratto per immedesimarsi in quella di un stato di maggiore libertà. La dolce sobrietà del luogo, l’eleganza degli antichi casolari, tutto quanto ha reso questo luogo degno di venire a far parte del patrimonio dell’Unesco, non può provocare che l’ effetto di un grande compiacimento.
Si potrebbe giurare che questa terra da secoli sia esistita solo per produrre del vino anche quando i filari non erano così geometricamente perfetti e i grappoli d’uva altrettanto perfettamente orientati, e anche quando la lavorazione manuale non dava proventi tanto preziosi. Il vino di questa zona è famoso nel mondo ed è giusto il desiderio di volerlo una volta almeno assaggiare. Giusto e buono è che si celebri quest’opera d’arte che non sta nei musei e nei teatri ma sulla tavola.
Il pellegrino appassionato forse sta canticchiando l’ode al vino di Leoncavallo!
La cittadina ha un palazzo comunale di chiara ispirazione senese fatto costruire nei secoli XIII-XIV. Una rocca dello stesso periodo domina la città e la città domina le valli dell’Ombrone e dell’Asso.
Ma di un altro sollievo si può parlare a Montalcino: nel 1555 Siena dopo un lungo assedio delle truppe imperiali si arrende e trova riparo per seicentocinquanta famiglie in questo luogo.
Carlo V affida il governo della città al figlio Filippo che due anni più tardi lo cederà a Cosimo dei Medici.
Il Duomo posto al culmine del colle rifatto nel 1800 in forma neoclassica, si trova sul posto della millenaria Chiesa di San Salvatore; nel battistero e nella sacrestia si trovano frammenti architettonici e sculture romaniche della chiesa primitiva. La chiesa di San Agostino, un grandioso edificio romanico- gotico, costruita nel trecento , ha una semplice facciata a capanna con un portale marmoreo e un bel rosone. Ma poiché il pellegrino di oggi e di ieri da un’importanza primaria alla accoglienza e quindi alla storia degli ospitali- ospedali qui avrà il piacere di sapere che nel palazzo del municipio , al pianterreno c’è uno scrittoio Scrittoio dello Spedale di Santa Maria della Croce.

…qui sempiternam gratiam …

SANT’ANTIMO

Aver scelto questo itinerario che può aver allungato il percorso offre un grande risultato. Il pellegrino giunge a Castelnuovo e la vista verso il basso dell’Abbazia di San Antimo resterà certo nella sua memoria con tutto il suo fascino.
La tradizione attribuisce a Carlo Magno nel 781 la fondazione di questa basilica, e ricorda che vi portò le reliquie dei Santi Sebastiano e Antimo avute da Papa Adriano. Era nel suo viaggio di ritorno dal pellegrinaggio a Roma che l’imperatore fu costretto a fermarsi in questa zona per un’epidemia, vi fondò un monastero, donò ai monaci le reliquie dei santi che costituirono presto un grande richiamo di pellegrini,e in seguito presso quel monastero fu costruita l’Abbazia.
Il monastero seguì la regola benedettina, fu molto potente e la sua giurisdizione raggiungeva la maremma e il pistoiese; nel secolo XIII cominciò a decadere fino alla sua soppressione nel 1462.
Per la recente ristrutturazione ha avuto un forte ruolo la popolazione locale; è attualmente gestita dai Canonici Regolari Premonstratensi. La basilica è tutta di pietra, il travertino con decorazioni architettoniche in onice; è posta in una radura in mezzo alle colline in una posizione che cela la facciata, quasi voglia offrire la propria bellezza solo al momento del suo ingresso. E’ in stile romanico con un portale arricchite di sculture
L’interno della basilica è a tre navate, con l’abside ad anello, e cappelle a raggiera, forma che presenta la cultura architettonica della abbazia benedettina di Cluny. Intorno all’altare c’è lo spazio detto deambulatorio che consentiva lo scorrimento dei pellegrini.
Sulla destra della chiesa si trovano i resti del monastero con la sala capitolare e il pozzo.
Adesso il pellegrino può riposare. Seduto su una panca può aspettare il momento delle Laudi e partecipare al rito. Il luogo è un invito alla pace ed al raccoglimento, e anche il non pellegrino che arriva qui può scoprire il valore della solitudine e al tempo stesso sentirsi come nella sua casa.

S’i’ fosse papa, allor sarei giocondo,
che’ tutti cristiani imbrigarei………
Cecco Angiolieri

TORRENIERI

Ricordato nell’itinerario di Sigerico, Turreiner XIII nel 922 quando il fiume Asso veniva guadato.
Se il pellegrino avrà scelto questo percorso troverà nel paese avanzi di un castello, uno dei tanti castelli feudali nel territorio senese, costruito fra il IX e il X secolo.
Del secolo successivo sono le mura di cinta con le due porte, una verso Roma ed una verso Siena,
ma a causa della sua posizione strategica lungo la Via Francigena il castello fu spesso saccheggiato e devastato dagli eserciti di passaggio. Ciò nonostante il paese che faceva comune a sé era ritenuto da Siena molto importante e veniva tassato in modo piuttosto pesante. Solo dopo l’assalto e l’incendio che il castello subì nel 1316 dai soldati di Uguccione della Faggiola, con grande crudeltà e spregio delle donne anziane e cattura delle giovani e belle, la Repubblica di Siena si mostrò attenta e sollecita a dare aiuto agli abitanti del castello.
Successivamente Siena fece costruire una fortezza che alla fine del secolo XIV potenziò con il palazzo de’ Ballati, detto anche posta Vecchia , posto fra il ponte sull’Asso e il castello e strutturato negli angoli di quattro torri.
Questi luoghi sono citati in una novella del Boccaccio che racconta del poeta Cecco Angiolieri che volle fare come il figliol prodigo; si fece dare dal padre l’ammontare di sei mesi di provvigione per andare a cercar miglior fortuna presso un cardinale, ma si fece gabbare da Cecco di Tortarrigo Piccolomini. La novella è stata scritta intorno al 1350.
Importante è la testimonianza del 1306 che riguarda l’attraversamento del fiume Asso, come tutte quelle che riguardano i fiumi; si parla di un ‘ ponte novo de mactonibus ‘.
Ma molte altre testimonianze ci sono in questa zona per quanto riguarda gli ospitali, uno, l’ospitale di Terraneiro è citato nelle ‘Tavole delle Possessioni’ del Comune di Siena nel XIV secolo, mentre si parla dell’ospitale di Sant’Antonio e del suo servizio ai pellegrini datato 1606.
La chiesa ha una documentazione del 1216 che riguarda una bolla del papa Onorio III in cui si stabilisce la proprietà alla Badia di Sant’ Antimo di un’opera lignea la ‘ Madonna col Bambino’ di Domenico di Niccolo, scultore senese del 1300
Forse il pellegrino ha reminiscenze scolastiche quando traduceva che col vino di Falerno si disegnavano sulle tovaglie i racconti delle battaglie e delle avventure degli eroi, forse vorrebbe che qui con il vino del Chianti fossero rimasti indicati i sentieri che non ci sono più, e forse di fronte alle cantine e ai luoghi di produzione del vino sposta il pensiero e, ancora con meraviglia, ricorda quei due rubinetti, uno per l’acqua ed un per il vino messi a disposizione del pellegrino e del viandante dall’azienda vinicola nei pressi del Monastero di Irache nel suo pellegrinaggio verso Santiago di Compostela.

anche un piccolo tratto davanti a sé
può dare il senso dell’immensità

SAN QUIRICO D’ORCIA

Deinde per San Clerc Punto di convergenza della viabilità della Valdorcia e la Valdichiana ha rappresentato un punto di forte interesse da parte di Siena per il controllo della zona che si trova in prossimità dei confini territoriali con la chiesa di Roma.. L’espansione di Siena cessa nel secolo XV quando cambia la sistemazione delle viabilità.
La collegiata romanica dedicata a San Quirico e Giuditta del XII – XIII secolo davanti alla quale passava la Via francigena si presenta con dei portali di grande interesse;quello frontale è del 1080 ed è preceduto da un protiro su colonne a fascio, il laterale più tardo è ornato di sculture della scuola di Giovanni Pisano, il terzo del 1298 si presenta in stile gotico e di qualità più modesta.
Il paese conserva il suo carattere medievale protetto da una cinta muraria di cui si fornì intorno al secolo XIV,che è rimasta quasi intatta mentre delle quattro porte originali ne rimane solo una:
Porta Cappuccini.
Uscendo dal paese si trovano i resti dell’ospitale di Santa Maria della Scala, e si ha notizia di altri luoghi di accoglienza nel XV secolo
Realizzati nel 1540 gli Horti Leonini furono voluti da un nobile di cui portano il nome a vanto del luogo e conforto del viaggiatore, sempre un’accoglienza dunque! Sono dei giardini all’italiana su due livelli con siepi potate a formare il disegno della croce dei Cavalieri di Malta , al tempo stesso rivelano un modello di adattamento delle vigne e del cassero.

… a volte ne rimane solo il nome,
ma spesso quello basta!

SPEDALETTO

La strada Cassia dopo S.Quirico entra nel bacino dell’Orcia e ricalca il tracciato dell’arteria altomedievale che intorno all’VIII secolo sostituì il percorso della strada romana, che si trovava più a oriente. Su una delle varianti della Via Francigena di questa valle si creò l’insediamento di Spedaletto, una altura modesta di 281 metri, che è ricordato nelle memorie di Filippo Augusto e che fu amministrato dallo Spedale di Santa Maria della Scala fino al 1236. In seguito fu costruito un complesso castellano, probabilmente un fortilizio a funzione di grancia.
Ma il pellegrino verrà a conoscenza dai cartelli e da richiami turistici che, non distante dalla valle d’Orcia, a 10 km circa da San Quirico, si trova Pienza.
Questa desiderata come simbolo di città perfetta da Papa Pio II, Silvio Piccolomini,che vi aveva avuto i natali, fu fatta progettare da Leon Battista Alberti che la iniziò nel 1459 e doveva mostrare la vita secondo lo spirito umanistico. L’opera non fu completamente realizzata per la morte del pontefice ma è rimasto intatto il nucleo fondamentale, che si presenta come città-museo. Visitata da tanti turisti non a torto o perdita di tempo si ammanterebbe di tanto onore se trovasse la sua perfezione nel creare una accoglienza per pellegrini, che facendo tappa completerebbero il quadro della riproduzione di un mondo passato
Anche questo luogo presenta tracce presistenti, la cattedrale fu eretta sul sito di una antica pieve romanica e nella parete di fronte all’altare della cripta ci sono dei frammenti delle sculture romaniche dell’antica pieve.

Una finestra sulla valle

VIGNONI ALTA

La valle offre al pellegrino grandi panorami e nel piccolo paese che attraversa ha una magnifica vista attraverso una porta ad arco rivolta ad oriente. Qui una piccola chiesa dedicata a San Biagio, già esistente nell’anno mille alle dipendenze dell’Abbazia di Sant’ Antimo, è circondata da un gruppo di case e da un torrione. La devozione di questo luogo a questo santo si fa supporre alla sua protezione sul bestiame e sui contadini e sul grande spazio agricolo che lo circonda, ma più facilmente viene ricordato perché salvò un fanciullo che stava per essere soffocato da una lisca di pesce.
La chiesa è stata restaurata ma ha mantenuto il suo aspetto romanico con alcune influenze gotiche.
Il torrione potrebbe raccontare storie anche crudeli ma oggi si impone solo con la sua grossa struttura e il luogo sembra un oasi di serenità.

Una piazza d’acqua

BAGNO VIGNONI

A cinque chilometri da San Quirico d’ Orcia il pellegrino arriva in un paese la cui piazza è una struttura unica ed eccezionale: una grande vasca quadrata la cui acqua è anche famosa per il valore curativo delle sue acque. Conosciuta già in epoca etrusca e dai Romani, fu particolarmente frequentata nel Medio Evo proprio per la vicinanza alla via francigena.
La vasca porta il nome di Mascone di S. Caterina perché la santa a lungo soggiornò nelle vicinanze. Naturalmente di queste acque se ne beneficiarono famiglie potenti, papi e anche i Medici.
Sotto il portico di Santa Caterina una iscrizione latina esalta le proprietà terapeutiche delle fonti e le consacra alle ninfe.

Il tesoro della chiesa
Il potere della chiesa

LE BRICCOLE

Briccola ha il significato di dirupo, balza, luogo scosceso. Questa zona infatti si presenta come territorio circondato da piccole alture sulle quali nei vari tempi si sono creati percorsi diversi, e se la strada diventava più lunga e a volte anche più ardua, aveva il vantaggio di essere più sicura sia per le aggressioni che per le condizioni del terreno.
Siamo in val D’Orcia e di qui passa Sigerico annotando la sua tappa come Abricula XI.
Anche Filippo Augusto lascia scritto Deinde per la Briche.
Nei Decimari pontifici del Duecento fra le fonti che riportano gli itinerari del medioevo è ricordato l’Ospitale S. Peregrini de Obricolis, e nel Codex Diplomaticus Amiatinus ci si riferisce nel 1191 a un ‘ospitale de bricule’. Non troviamo notizie di un centro grande di riferimento, ma intorno all’Amiata ancor oggi i comuni presentano un territorio che è stato sempre soggetto alla politica di frammentazione dei poteri, con consentendo il formarsi di un agglomerato importante.
Nel Medioevo la definizione dei confini di questi territori ha vista sempre in grande competizione le autorità di Siena, con quella di Abbadia San Salvatore e dello stesso papato.
E su queste alternanze anche il passaggio dei pellegrini ha avuto un ruolo importante e preso in molta considerazione dalle diverse autorità. Il pellegrino non è persona alla quale viene dietro il concetto di grandi guadagni, però è forse ancor più importante del denaro che non spende e non possiede perché il pellegrino è la strada stessa, è quello che fa la strada più delle ruspe, che la rende conosciuta, che la tramanda, sulla quale porta contributi di conoscenza. E il pellegrino potrebbe affermare che come San Lorenzo si difese da colui che lo accusava di dare tutto il denaro in carità portandosi dietro una massa di gente povera e presentandola come ‘ il tesoro della chiesa’, così i pellegrini in questa zona potrebbero essere detti ‘ il potere della chiesa’.
Bertinoro è una cittadina della Romagna che si può vantare di una bella storia di accoglienza. Nella piazza della città esisteva nei tempi passati una colonna alla quale il forestiero, viandante o pellegrino che fosse poteva attaccare il cavallo ad un gancio; ad ogni gancio rispondeva una famiglia che si prendeva cura di questo ospite. Di recente i cittadini di Bertinoro hanno voluto fosse ricostruita questa colonna a testimonianza del valore della loro ospitalità ma anche ad onore della apertura culturale verso chi arriva con nuove informazioni e notizie.

Otto copisti
1030 pergamene

ABBADIA SAN SALVATORE

La cittadina di Abbadia San Salvatore si trova a quota 830.
I monaci cistercensi di questa abbazia nell’anno in cui hanno festeggiato i 950 anni dalla fondazione hanno redatto una guida accurata e il pellegrino nel suo passaggio può farsi una chiara idea della storia di questa terra. Così viene presentata: ‘Il territorio dell’Amiata si presenta come terra di confine fra l’impero e la Chiesa, poi fra la Repubblica di Siena e il granducato di Toscana e lo stato della chiesa, ma anche terra di tutti come transito dei pellegrini della via francigena‘.
Fondata nel 745 da un nobile longobardo, Ertone ( Ratchis ), l’abbazia dedicata a San Benedetto, rappresentò nei secoli un impegno di evangelizzazione, di protezione e bonifica del territorio circostante. La vita del monastero si allarga in villaggi aperti che crescono intorno ad essa, e nella valle del fiume Paglia ad una quota di circa 300 – 300 metri si creano una serie di insediamenti su luoghi che erano già stati popolati in epoca romana. Secolo.
Dall’XI al XIII fra gli abati di San Salvatore, gli Aldobrandeschi e altri feudatari minori vive un giuoco di potere che crea una fitta rete di castelli sui fianchi del monte, come Piancastagnaio, Santa Fiora , e in cima a poggi isolati come Radicofani e Castiglion d’Orcia .
Nel Piazzale Michelangelo si trova la chiesa. La facciata ha uno schema che deriva dall’architettura Carolingia non riscontrabile in Toscana, affiancata da due campanili ha un effetto architettonico molto bello. L’interno della chiesa a croce latina, con un’unica navata coperta a capriate, ha un presbiterio sopraelevato su un a cripta. Il pellegrino può trovare qui ancora la geometria e la purezza dello stile romanico che lo ha accompagnato in tante esperienze di pellegrinaggio. Il crocifisso dietro l’altare nella parte superiore della chiesa racconta una storia interessante: un pellegrino proveniente dall’Abbazia di Vezelay nel 1140 fece sosta all’ Abbazia e lasciò questo capolavoro della scultura romanica borgognona, poi si trattenne nel monastero per fare una copia identica da donare all’Abbazia di Sant’Antimo. Nel recente restauro sono stati trovati nella cavità della scultura lignea due oggetti , un batuffolo e un sacchetto legato con spago e chiuso con un sigillo attribuito a San Benedetto contenente le reliquie del papa S.Ponziano e di San Fortunato con due documenti scritti in caratteri carolingi e gotici.
Nella cripta il pellegrino fra il fascino della sua architettura ascolta un’altra storia. Il re Longobardo Rachis durante una partita di caccia sull’Amiata ebbe una visione che generò il dono del luogo all’Abate benedettino Ertone , vi fece il Monastero e lo dotò delle rendite di un vasto territorio.
Le trentacinque colonne della cripta sono ancora storie di simboli e di stili.
L’abbazia possiede un piccolo museo e fra i suoi tesori il pellegrino vorrebbe vedere la copia anastatica della La Bibbia Amiatina, codice scritto tra la fine del VII secolo e gli inizi dell’VIII da almeno otto copisti, composto da 1030 pergamene, il testo più antico della bibbia in versione latina. Unico esemplare rimasto delle tre copie fatte da due abati dei monasteri di Wearmouth-Jarrow provenie dalla biblioteca del monastero di Vivarium in Calabria, fondato da Cassiodoro nel 540,il codice è stato conservato chiuso nell’armadio delle reliquie fino al 1782. L’originale si trova oggi alla biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Oggi il luogo dove la natura dava per vivere il pan di legno e il vin di nuvole ( castagne e acqua )
vede interventi industriali con il bello e il brutto che ne viene dietro. La gente del luogo però mantiene forte in proprio senso di identità a proteggere la storia e il tesoro di una terra speciale, come avviene per quelle terre che sono amate da chi le abita.

Salire per la sicurezza

RADICOFANI

Per la sua particolare posizione la città di Radicofani ha avuto una storia piuttosto densa di fatti importanti. Nasce come proprietà dei monaci di Abbadia San Salvatore alla quale nel 973 viene venduto ‘Radicofanum cum suo castro ‘. In un documento aminiatino si trova la citazione del 1067, ‘Sancti Donati, scito Radicofani ‘. Nel 1139 i conti Manenti di Chiusi vendono al Vescovo di Siena la sesta parte del castello di Radicofani.La potente Siena vuole espandersi vero Roma, allargare il suo dominio verso il mare e insidia le proprietà papale, nasce così una gara di forza che durerà tre secoli .Il primo nucleo della fortezza di Radicofani fatta costruire da Papa Adriano IV era una Torre e iniziò nel 1158.
Radicofani diventa tappa della via francigena alla data 1191, affiancandosi al percorso della valle, quello che era stata di Sigerico, e da qui passa Federico Augusto, Deinde per Eke, deinde per Redecoc, per la Briche, è la sosta fra Acquapendente e Le Briccole.
Nell’anno 1253 il passaggio su questa direttiva alta è annotato dal vescovo di Rouen Eudes Rigaud,
l’itinerario è ormai preferito a quello della valle sebbene più lungo e faticoso, ma tuttavia con più sicurezza sulla strada e garanzia di trovare un miglior asilo.
Tre opere assistenziali sono operanti: l’Ospitale Bonaiucte de Radicofano, l’Ospitale S.Petri de Radicofano e la Domus Leprosorum de Radicofano, e anche il comune si fa carico della realtà del passaggio dei pellegrini: da uno statuto comunale redatto nel 1255 sono nominate regole e norme di comportamento dei cittadini nei confronti dei pellegrini romei.
C’è un’altra citazione di quattro ospedali :Bonaione, Cecola , Spineto e Sante Marie.;
Nel 1262 a Siena vanno al potere i ghibellini e le nobili famiglie guelfe si riparano a Radicofani, ma tre anni dopo Abbadia S. Salvatore viene invasa dai senesi e a Radicofani vengono abbattute le mura proprio per impedire l’accoglienza dei guelfi.
Fra le lotte di potere la presenza della strada di pellegrinaggio ha il suo valore.
Nel 1298 compare Ghino di Tacco, un senese che si stabilisce a Radicofani e incita la città ribellarsi contro il pontefice . Intorno al personaggio di Ghino di Tacco, si racconta che il brigante aveva preso in ostaggio l’Abate di Cluny. Durante la prigionia gli fu somministrata una dieta a base di legumi che lo fece guarire dei forti dolori addominali. L’Abate una volta liberato lo ricompensò e si adoperò presso il papa affinché al brigante fossero condonate le sue malefatte. Di lui si parla nella decima giornata del Decamerone del Boccaccio . Nel 1300 Ghino si converte.
Nel 1429 Siena invia tre commissari per definire i confini delle comunità situate sull’Amiata, un termine sulla via francigena divide le comunità di Radicofani, Abbadia e Campiglia, le quali sono responsabili del mantenimento della strada che le riguarda.
Nel 1443 vengono deliberate nuove concessioni, tra queste la deviazione del percorso della via francigena, e nel 1553 la via francigena nei pressi di Radicofani è descritta come tratto malsicuro.
Oggi al centro dell’abitato, quasi alla sommità del paese c’è la Chiesa romanica di San Pietro del secolo XIII, restaurata nel 1946 custodisce opere d’arte provenienti da pievi trovate nelle zone circostanti. Quasi di fronte la chiesa di Sant’Agata dove il pellegrino può ammirare le terrecotte robbiane come quelle che sono a Santa Fiora e un crocifisso ligneo del secolo XV.
Appena fuori dell’abitato lungo la via Cassia il Palazzo La Posta è una villa medicea, un luogo di sosta di famosi personaggi ma non di pellegrini.

Il ricordo di antichi ospizi

SAN PIETRO IN PAGLIA

Passaggio storico Il paesaggio fra l’Orcia e il Paglia si presenta molto diverso dal resto della Toscana. Spazi grandi lasciati ancora liberi alla natura, dimostrano poca popolazione e soprattutto speranza che possano essere conservati nella loro bellezza.
Nella vallata vicino al punto d’incontro del torrene Pagliola nel fiume Paglia si possono individuare i resti della via francigena, quelli che Sigerico segnalò come Sce Peitr In Pail X.
Il passaggio del vescovo si suppone, nel borgo di Voltole, sotto il poggio dell’Apparitoia.
In villaggio ora scomparso è rintracciabile solo in spezzoni di vie campestri abbandonate da tempo. Qui la vicina Abbadia di San Salvatore del monte Amiata aveva i suoi ospizi e ospedali.
C’era in questo villaggio la zona chiamata Callemala, forse luogo di incontri tutt’altro che di preghiera, anch’esso scomparsa.

Oltre il ponte…

PONTE GREGORIANO

Siamo per lasciare la nostra regione, il confine con il Lazio è a Centino, dopo il chilometro 142.
Sul fiume Paglia incontriamo un ponte notevole con sei arcate, voluto dal Papa Gregorio XIII nel 1578, e infatti si chiama Gregoriano.
Passato il ponte si trova una fontana, prezioso conforto per il pellegrino, oggi come nel passato, e di altrettanto valore come punto di riferimento.

Si lascia la Toscana

ACQUAPENDENTE

Fatti quattro chilometri dal ponte gregoriano siamo ad Acquapendente, già sulla parte settentrionale dei monti Volsini. Prima di lasciare il pellegrino alla vita e alla storia di un’altra regione presso la Porta a Ripa, da dove ci si incamminava verso la direzione di Siena per il viaggio nella direzione opposta, raccogliamo la storia dei Pugnaloni di Aquapendente che riguarda il 1166.
La rivolta del popolo contro il governatore Federico I Il Barbarossa , viene celebrata con una festa nella quale dei grandi mosaici fatti di fiori, detti Pugnaloni, ricordano un miracoloso rifiorire di un ciliegio, preso a simbolo della fine dell’oppressione e inizio della rivolta.
Il paese rientra in un aria culturale alto- laziale caratterizzata da grossi borghi, tutti situati nella zona tufacea fra l’Amiata e il corso del Tevere fino a Roma- un tipo di insediamento assai più comune nel meridione d’Italia. Ricordata sin dal VII secolo, poi citata negli Annales Stradenses di A. Staade ( metà del secolo XIII ), fu feudo degli imperatori Franchi e Svevi e del marchesato di Toscana sotto Matilde di Canossa e poi del papa.
Vi sopravvivono tratti delle antiche mura, ebbe anche una abbazia benedettina del Santo Sepolcro, con Casa dei Templari annessa, l’odierna cattedrale rimaneggiata nel XVIII secolo nel gusto alto-laziale; è stata poi riportata alle sue antiche forme romaniche dopo i danni subiti durante l’ultima guerra. Ancora una leggenda ricordiamo che riguarda questa basilica. Una pellegrina alla volta di Roma, un personaggio importante che si spostava con un carico molto prezioso trasportato da carri e da muli, si trovò a non poter proseguire perché gli animali si rifiutarono di andare avanti. Decise allora di usare queste ricchezze per la costruzione di una grande basilica vicina alla porta della città nella direzione di Roma; nella cripta della basilica si riprodusse il sacello del Santo Sepolcro di Gerusalemme. La cripta è una delle più antiche del Lazio, divisa in nove parti da colonne con capitelli ornati di soggetti animali fu sosta ambita dai pellegrini che potevamo esprimere la loro devozione per Gerusalemme.
L’attuale torre dell’orologio apparteneva alla antica rocca del XII secolo.
Dal racconto dell’Abate Nikulas: un giorno di viaggio da S.Quirico ad Acquapendente che è a sud di Clemunt , e ugualmente si comprende bene Filippo Augusto: deide per Ekepenndante e prima di loro Sigerico con la tappa Acquapendente XI.
Famoso il medico del periodo rinascimentale Girolamo Fabrizi, d’Acquapendente.

Al cambio di regione il pellegrino non si volta indietro. I ricordi e le emozioni sulla strada fatta, sono troppi per tenerli tutti presenti al momento, ma saranno grande patrimonio per il futuro per sé e per gli altri, e ora la base di quelli che troverà sul sentiero che continua, fino a Roma e oltre. …

e anche a Gerusalemme
che si reca il bordon di palma cinto
XXXIII Purgatorio 78